CAPITOLO IV.

Spedizione d' Alessandro IV sopra il regno, e nuovi inviti fatti da lui al Conte di Provenza, ed al Re d'Inghilterra.

Il Legato appostolico intimorito per la vittoria ottenuta da Manfredi, abbandonando la Puglia, fece ritorno coll'esercito papale in Terra di Lavoro, incamminandosi verso Napoli, e per istrada incontrossi col Marchese Bertoldo, e continuarono uniti il cammino insino a Napoli, ove giunti trovarono, che pochi giorni prima Innocenzio era già morto. Quando i Cardinali, e tutti que' della Corte videro il Legato, ed il Marchese Bertoldo, ed intesero la ruina de' loro eserciti, furono presi di tanto timore, che volevan tosto partire da Napoli, e ritirarsi in Campagna di Roma; ma confortati dal Marchese, che non partissero, si stettero; ed all'elezione del nuovo Pontefice furono tutti rivolti. Non mancano Scrittori, che dicono esservi stato gran contrasto fra' Cardinali per questi elezione, e che perciò la Sede fosse vacata un anno. Ma l'Anonimo, il Collenuccio, Pansa ed altri, rapportano, che i Cardinali temendo non il differire l'elezione fosse cagione di maggior lor danno, tosto in Napoli uniti, di concorde volere eressero Rainaldo d'Anagni della famiglia Conti nipote di Gregorio IX che fu chiamato Alessandro IV, il quale nel Duomo di Napoli fu consecrato, ed incoronato, ed in questa città siccome pruova il Chioccarelli, vi si trattenne per un'anno.

Intanto il Principe Manfredi, reso più animoso per la morte d'Innocenzio, ridusse sotto la sua ubbidienza quasi tutte le altre città della Puglia, che aveano alzate le bandiere della Chiesa. Si sottopose a lui Barletta, da poi Venosa e finalmente Acerenza, dove Giovanni Moro fu da' Saraceni crudelmente fatto morire. Prende Rapolla; indi si resero Trani, Bari, ed in breve tutta la Puglia, toltone alcune città di Terra d'Otranto, che ancora si mantenevano sotto l'ubbidienza della Chiesa.

Il Pontefice Alessandro IV atterrito nel principio del suo Pontificato di questi progressi del Principe, spinse Tommaso Conte dell'Acerra cognato del Principe, e Riccardo Filangerio, che andassero a trovar Manfredi; i quali vennero in Puglia, spinti anche, come si diceva, da alcuni Cardinali, per insinuargli, che non mancasse mandare i suoi Ambasciadori a rallegrarsi col nuovo Pontefice della sua esaltazione a quella Cattedra, portando ammirazione, che ciò, che tutti gli altri Principi del Mondo facevano, non volesse far egli. Manfredi dubitando, siccome altra volta era accaduto, che questa sua Legazione al nuovo Pontefice non fosse interpretata per sua debolezza, e pusillanimità, loro rispose, ch'egli non avrebbe mandati altri Ambasciadori al nuovo Pontefice, se non per trattar la pace con tali condizioni: Ut Regnum in dominio, et possessione Regis Conradi II nepotis sui, sub baliatu Principis remaneret. Compositio autem super eo tantum esset, ut census pro ipso Regno Romanae Ecclesiae augeretur.

(Questo trattato fu conchiuso da Alessandro, il quale nell'anno 1255, dimorando ancora in Napoli, quivi spedì la Bolla dell'investitura ad Edmondo, che vien rapportata da Lunig).

Quando il Pontefice intese nel ritorno del Conte e di Riccardo, che Manfredi non era niente disposto a mandargli i Legati, nè a lasciare il Regno nelle mani della Chiesa, cominciò, seguitando le pedate del suo predecessore, a mostrarsegli più inimico degli altri. Fece in prima ripigliar il trattato da Maestro Alberto da Parma con Carlo Conte di Provenza, dal quale avuti riscontri, che Carlo non si trovava disposto per l'impresa del Regno, si voltò ad Errico Re d'Inghilterra, rinovando il trattato, che il suo predecessore Innocenzio avea cominciato col medesimo, offerendogli di nuovo l'investitura del Regno per Edmondo suo figliuolo, purchè venisse tosto a discacciarne Manfredi; e notasi negli Atti di quel Regno, che Papa Alessandro si riscaldò tanto per quest'impresa, che commutò il voto, che avean fatto il Re d'Inghilterra, i Re di Norvegia, ed altri, d'andare in Terra Santa, nell'andare a conquistar la Sicilia, e il Regno di Puglia in favor della Chiesa.

Mandò ancora un Vescovo in Puglia a citar Manfredi da sua parte: Ut in festo Purificationis Beatae Mariae proxime futuro ad Curiam Romanam accederet, responsurus de interfectione Burrelli de Anglono, et de injuria, quam Apostolicae Sedi intulerat, expellendo Legatum, et exercitum Ecclesiae de Apulia . A questa citazione rispose Manfredi per sua lettera diretta al Pontefice, purgandosi di ciò, che se gl'imputava della morte di Borrello, e che per quello, che toccava d'aver discacciato il Legato, e l'esercito della Chiesa da Puglia, non avea fatta niuna ingiuria alla Chiesa romana, defendendo con ciò la giustizia del suo nipote, e sua.

Durando Manfredi in tal proponimento di non mandar suoi Ambasciadori al Papa, venne da lui Maestro Giordano da Terracina Notajo della Sede Appostolica già benevolo di Manfredi, il quale mostrando dispiacere di queste contese, consigliò il Principe, che in tutte le maniere mandasse al Papa i suoi Legati, perchè da questa missione non altro, che sommo onore e comodo n'avrebbe ritratto: finalmente Manfredi mosso dal consiglio di costui, destinò due Legati al Pontefice, dandogli potere per trattar la pace, i quali furono Gervasio di Martina, e Goffredo di Cosenza suoi Secretarj.

Giunti costoro in Napoli, ove risedeva allora la Corte del Papa, cominciarono a trattar con alcuni Cardinali deputati per questo effetto la pace; ed incontrandosi delle difficoltà e de' dubbj, i quali non potevano superarsi, se non si trattasse a dirittura col Principe, i Legati persuadevano il Papa, che mandasse un Cardinale in Puglia a trattar con Manfredi, perchè in cotal maniera era molto facile, che la concordia seguisse. Ma i Cardinali gonfi per la loro dignità, e grandezza, la quale di fresco era stata da Innocenzio cotanto innalzata, dicevano id non convenire Sedis honori, ut Cardinales hoc modo mittantur . Per la qual cosa lungamente essendosi contrastato su questo punto, non poterono gli Ambasciadori del Principe in conto veruno indurre quelli della Corte a mandar un Cardinale a Manfredi.

Il Principe intanto, vedendo che si portava in lungo il trattato, non volle perder tempo di reintegrare al suo Contado d'Andria, ciò che con ragione speziale se gli apparteneva; e perciò restituì a quello la Guardia Lombarda, ch'era delle pertinenze di quel Contado, e che ancora era rimasa in potere delle genti Papali. Si mostrarono i Cardinali, avuta tal notizia, offesi per tal novità, e ch'era volergli deludere e rompere con ciò ogni trattato. I Legati del Principe rispondevano, che ciò non era violar i trattati, perchè Manfredi, ciò che avea fatto, avealo fatto come Conte di Andria, non già come Balio; non avendo fatto altro, che reintegrare al suo Stato quella Terra, la quale, come narra l'Anonimo, erat de speciali jure ipsius Principis, e che ciò non dovea dispiacere al Pontefice.

Ma ancorchè i Cardinali sotto questo pretesto mostrassero le loro doglianze, non era però per altro la loro dispiacenza, se non perchè vedendo approssimarsi tanto Manfredi col suo esercito, temevano che finalmente non s'incamminasse verso Napoli: ed in fatti erano entrati perciò in tanta costernazione, che il Pontefice con tutta la sua Corte pensavano imbarcarsi, ed uscire da quella città; per la qual cosa avvertirono gli Ambasciadori del Principe, a dovergli fare intendere, che se veramente egli voleva la pace colla Chiesa, partisse col suo esercito dalla Guardia Lombarda, e ritornasse in Puglia.

Gli Ambasciadori, accortisi del lor timore, gli promisero di voler scrivere a Manfredi, che ritornasse in Puglia, come fecero; ma nell'istesso tempo in secreto gli significarono, che se egli s'incamminava verso Napoli, per la paura entrata nelle genti del Papa, con facilità l'avrebbe disfatte, e si sarebbe impadronito di Terra di Lavoro. Manfredi avuta tal notizia, era disposto, ancorchè impedito dalle tante nevi cadute di passare in Terra di Lavoro: ma lo ritenne l'avviso importuno in quell'istante sopraggiuntogli d'una sollevazione scoverta in Terra d'Otranto di coloro di Brindisi, i quali essendosi sollevati, aveano sorpresa Nardò, e fatta molta strage di que' Cittadini e di soldati, ch'erano comandati da Manfredi Lancia, che il Principe suo consanguineo avea creato Capitano in Terra d'Otranto; laonde convenne a Manfredi rivocar il suo proponimento, e volle incamminarsi verso Brindisi, come fece, lasciando la Guardia, e venne con ciò a soddisfare alla volontà del Pontefice.

I Cardinali, veduto lui allontanato, ed implicato a questa nuova impresa in Terra d'Otranto, si raffreddarono per la pace, nè per ciò i Legati di Manfredi poterono conchiuder niente; anzi il Papa creò allora un'altro Legato della Sede Appostolica per lo Regno, che fu Ottaviano di Santa Maria in Via Lata, Diacono Cardinale, il quale appena fu fatto, che subito cominciò ad unire gente, per formar un competente esercito da opporsi a Manfredi: di che avvedutisi i suoi Legati, tosto partirono da Napoli, e andarono a ritrovar il Principe, il quale già era per incamminarsi verso Brindisi, e gli esposero ciò che il Papa per mezzo del nuovo Legato intendeva di fare, e di essersi rotto ogni trattato.

Manfredi, perciò non intimorito, volle proseguire l'impresa; e cinse d'assedio Brindisi capo della ribellione, alla qual città eransi unite molte altre di Terra d'Otranto come Oria, Otranto, Lecce e Mesagna, e devastando il terreno d'intorno, abbattè e demolì Mesagna, fece ritornar Lecce sotto la sua ubbidienza, ed all'assedio d'Oria tutto si rivolse.

Or mentre questo Principe era tutto inteso a sedare queste rivolte, altre nuove revoluzioni lo chiamarono in altre più rimote parti, in Sicilia ed in Calabria.

Era a questi tempi il governo di queste Regioni commesso ad un solo Moderatore, il qual era, come si disse, Pietro Ruffo di Calabria Conte di Catanzaro. Questi essendo di fortuna assai povera, fu a' tempi dell'Imperador Federico ammesso nella sua Corte; indi tratto tratto crescendo nella grazia di Federico, fu fatto suo intimo Consigliero, e finalmente Maresciallo del Regno di Sicilia. Morto Federico, fu da Manfredi dato per Balio ad Errico, perchè governasse la Calabria e la Sicilia in suo nome. Fu da poi da Corrado fatto Conte di Catanzaro, e confermato nel governo di quelle province; ma morto Corrado, mal sofferendo il Baliato di Manfredi, diede di se gravi sospetti d'essersi confederato col Pontefice Innocenzio IV a' danni del Re Corradino; e mostrò sempre avversione con Manfredi, ed ora più che mai, che lo vedeva potente in Puglia, gli avea sconvolta la Sicilia non meno che la Calabria per mezzo di Giordano Ruffo suo nipote. Questi essendosi con molta gente afforzato in Cosenza, teneva sotto la sua divozione tutta la provincia di Val di Crati, e Terra Jordana, in guisa che il nome del Principe Manfredi, non solo non era temuto, ma avuto in niun conto; anzi erasi scoverto un trattato, che passava con molta secretezza tra lui ed il Pontefice Alessandro, di darsi la Calabria in mano della Chiesa, e già andavano, e ritornavano messi per compire il trattato.

Manfredi avvisato di queste insidie da alcuni Cosentini, e da Gervasio di Martina, tosto mandò sue truppe in Calabria, e ne fece Capitano Corrado Truich, al quale insieme col suddetto Gervasio impose, che guardasse quella provincia. Furono da questi valorosi guerrieri dopo varj successi, descritti diffusamente dall'Anonimo, finalmente poste quelle province sotto l'ubbidienza del Re Corrado; ed avendo l'esercito di Manfredi soggiogata quasi tutta la Calabria, fu anche espugnata Messina; e Reggio tosto si pose sotto l'ubbidienza del Principe, il quale intanto mentre per suoi Ministri guerreggiava in Calabria e in Sicilia, non tralasciò l'assedio d'Oria, e di ridurre le città di Terra d'Otranto ribellanti alla sua divozione.

Ma mentre Manfredi era intento all'assedio d'Oria, e teneva le sue forze divise in varie parti di Calabria e di Sicilia, Ottaviano Legato della Sede Appostolica avea già ragunato un grand'esercito per invadere la Puglia; ed era il numero delle truppe, che lo componevano, sì grande, che obbligarono Manfredi abbandonare quell'assedio, e portarsi in Melfi, per resistere a quel torrente, che veniva ad inondarlo. Unì per tanto il Principe, come potè meglio, i suoi Tedeschi e Saraceni: ed ancorchè il suo esercito di numero cedesse a quello del Legato; nulladimeno per lo valore de' suoi soldati, con intrepidezza mirabile se gli fece incontro, invitandolo a battaglia. Ma l'esercito papale, alla cui testa era il Legato, non volle mai accettar l'invito, e sol fronteggiava quello del Principe, non venendosi per più tempo a niun fatto d'arme.

Intanto sotto la condotta dell'Arciprete di Padova, che il Legato avea fatto suo Vicario, erasi ragunato un altro esercito per l'impresa di Calabria; poichè Pietro Ruffo scacciato da Messina, e fuggitivo da Calabria era ricorso al Pontefice Alessandro, animandolo all'impresa di Calabria. S'aggiunsero ancora gli acuti stimoli di Bartolommeo Pignatelli, creato allora dal Papa Arcivescovo di Cosenza, il quale per l'odio implacabile, che teneva con Manfredi, fu dal Pontefice Alessandro riputato istromento abilissimo per poterlo impiegare insieme con Pietro Ruffo a quella impresa. Accoppiossi ancora a costoro Bertoldo Marchese di Honebruch, al quale Alessandro, per maggiormente adescarlo, avea conceduta l'investitura del Contado di Catanzaro, tolto da Manfredi a Pietro Ruffo.

Or mentre questi erano per incamminarsi in Calabria, fu dal Legato richiamato indietro l'Arciprete, per dover colle sue truppe accrescere l'esercito, che fronteggiava con quello di Manfredi; e s'avviarono l'Arcivescovo di Cosenza, e Pietro Ruffo in Cosenza, ove giunti, avendo prima sparse molte finte novelle, per atterrire que' Popoli, finalmente gli richiesero, che si rendessero al Papa. Ma stando alla difesa di que' confini Gervasio di Martina, fece loro valida resistenza; e poichè, per la mancanza delle genti dell'Arciprete, l'esercito dell'Arcivescovo era molto estenuato, questo Prelato per accrescere il numero, tenendone facoltà dal Papa, cominciò a crocesignare quanti Calabresi potè avere per que' contorni, togliendogli dalla zappa, dall'aratro e dal remo, i quali correvano in folla a farsi crocesignare; poichè l'Arcivescovo avea pubblicata la Crociata contro Manfredi, con remissione di tutti i loro peccati, e indulgenze così plenarie, come se pigliassero la Croce contro Infedeli per discacciargli da Terra Santa, e dal Sepolcro di Cristo. Si crocesignarono perciò da duemila Calabresi, che uniti colle genti dell'Arcivescovo, ancorchè mal in arnese d'armi e cavalli, nulladimanco come se andassero a prender il martirio per la Fede, mostrarono intrepidezza tale che stimolavano l'Arcivescovo a dover in tutti i modi uscire e combattere l'esercito contrario. Ma Gervasio di Martina disprezzando le loro forze, dopo varie vicende descritte minutamente dall'Anonimo, alla perfine gli pose in fuga, gli dissipò tutti, e costrinse l'Arcivescovo e Pietro Ruffo a scappar via, il quale ricovratosi in Lipari, tornò poi in Terra di Lavoro nella Corte del Papa. Questi avvenimenti stabilirono le Calabrie saldamente nella fede del Principe Manfredi, e tutte pacate sotto la sua ubbidienza tornarono.

Intanto questo Principe campeggiava col suo esercito in Puglia presso Guardia Lombarda a fronte dell'esercito del Legato, il quale non volendo venir mai a battaglia, stavasi a vista di quello di Manfredi osservando l'uno gli andamenti, ed i moti dell'altro.

Ma mentre questi eserciti erano in cotal stato, ecco che giunse in Puglia a Manfredi un Maresciallo del Duca di Baviera zio del fanciullo Re Corrado mandato dalla Regina Elisabetta madre del Re, e dal Duca istesso, per trattare con Manfredi, e colla Corte romana di questi interessi, ch'erano proprii di quel Principe.

Subito che il Legato ed il Marchese Bertoldo seppero l'arrivo del Maresciallo, e la cagione per la quale era stato inviato, mandarono al Principe Manfredi a cercargli una tregua e sospension d'arme, affine di potersi trattar la pace tra il Papa Alessandro ed il Re Corrado per mezzo del Maresciallo; Manfredi glie la accordò; ed essendosi per molti Nobili e Baroni dell'una parte e l'altra giurata la tregua per insino che durasse il trattato, e per cinque dì da poi, nel caso niente si conchiudesse: il Legato, niente rispondendo circa la dilazione di cinque giorni, diede di se sospetto, non volesse ingannarlo, siccome l'evento dimostrò; poichè essendosi Manfredi (fermata che fu la tregua) allontanato col suo esercito da quel luogo, e scorrendo per le marine di Bari, il Legato, contro i patti della tregua, entrò col suo esercito in Capitanata, e sorprese Foggia; pose in costernazione tutte le altre città di questa provincia; e la città di S. Angelo posta nel sopracciglio del Monte Gargano, all'arrivo dell'esercito papale in Foggia, si ribellò contro il Principe. Manfredi, ch'era a Trani, pien di stupore per la violata fede del Legato, non credè in prima la sorpresa di Foggia; ma accertato da poi di sì grave attentato, tutto pien d'ira velocemente passò col suo esercito a Barletta, ed avendola mantenuta in fede, ritornò in Lucera; indi passò al Gargano, ove presa per assalto quella città ribellante, la ridusse alla sua ubbidienza; e ristorato il suo esercito, si appressa a Foggia, ove assedia l'esercito papale, ch'erasi ritirato in quella città. Intanto il Marchese Bertoldo era accorso colle sue truppe in ajuto del Legato: Manfredi lo prevenne, e datagli una fiera rotta, lo pone in fuga, e prende tutto il suo bagaglio.

Il Legato si chiude in Foggia col suo esercito; e Manfredi cinge la città di stretto assedio, e vi cagiona una penuria grandissima di viveri, tanto che si dava un cavallo per una gallina, e sopra questi mali vi s'aggiunse altro peggiore d'una infermità così grave, che ne perivano molti del suo esercito, e l'istesso Legato cadde anch'egli infermo.

Vedutosi perciò in quest'angustie, conoscendo, che non poteva più resistere alla fortuna e valore del Principe, per non veder perire tutte le sue genti angustiate con quel stretto assedio, mandò suoi Messi a Manfredi pregandolo della pace. Non fu il Principe renitente ad abbracciarla; onde dopo varj trattati infra di loro avuti, fu la pace conchiusa con queste condizioni.

Che il Principe tenesse il Regno per se e per parte del Re Corrado suo nipote, eccetto Terra di Lavoro: che questa provincia dovesse tenersi dalla Chiesa: che se Papa Alessandro non volesse forse accettar questa concordia e transazione, fosse lecito al Principe ricuperare tutta quella Terra, ch'appartiene al suo dominio.

Fermata che fu dal Principe e dal Legato questa pace, fu da costui Manfredi instantemente pregato, che volesse ad imitazione del nostro buon Redentore perdonare a que' gentiluomini del Regno, che nel tempo dell'Imperador Federico suo padre erano stati esiliati dal Regno, e che allora erano col Legato. Manfredi, ancorchè questo non fosse compreso ne' capitoli della pace, nulladimanco usando della sua clemenza concedè a tutti il perdono, e non solamente lor diede la sua grazia, ma restituì loro tutte le Terre, che in pena della fellonia loro erano state giustamente tolte, con che però nell'avvenire colla loro fedeltà ed onore cancellassero le passate offese.

Nè volle, che da questa grazia fosse eccettuato il Marchese Bertoldo, co' suoi fratelli, ma con ampio perdono gli ammise nuovamente nella sua familiarità, permettendo, che potessero ritenere i loro Stati, dei quali per le loro colpe avrebbono meritato esserne perpetuamente privi.

Conchiusa in cotal maniera questa pace, l'esercito papale col Legato partì da Foggia, ed andò in Terra di Lavoro; e Manfredi avendo perciò tolto l'assedio da quella città, andò a divertirsi alla caccia in quelle vicine pianure; ma nell'istesso tempo del riposo, non trascurò mandare suoi Ambasciadori al Papa a chiedergli l'accettazione di quanto erasi col Legato concordato; altrimente rifiutando l'accordo, in esecuzion di quello avrebbe proccurato ridurre sotto la sua ubbidienza Terra di Lavoro.

Ma ecco come tosto svanirono questi concordati; poichè giunti gli Ambasciadori del Principe in Napoli, trovarono nella Corte del Papa il Conte Guaserbuch, il quale scoprì loro una congiura, che coll'intelligenza di quella Corte, il Marchese Bertoldo, e suoi fratelli con alcuni Nobili del Regno tramavano contro la persona di Manfredi, al quale bisognava tosto avvisarla, perchè se ne guardasse. S'avvidero ancora, che il Papa Alessandro a tutto altro era inchinato, che a confermar l'accordo avuto col suo Legato; onde tosto dell'uno e dell'altro ne avvertirono Manfredi.

Il Principe sorpreso da tal notizia, ricercati altri indizj di tal congiura, s'avvide, che era vero ciò che gli aveano avvisato i suoi Ambasciadori; onde fece tosto imprigionare il Marchese e' suoi fratelli. Ed essendo ritornati dalla Corte del Papa gli Ambasciadori senza conchiuder niente, stante la ripugnanza d'Alessandro ad accettare la preceduta concordia: per riparare a' mali gravissimi, che se gli minacciavano, intimò una general Corte a tutti i Conti e Baroni del Regno da tenersi in Barletta in febbrajo nel dì della Purificazione del seguente anno 1256. Ed intanto perchè dal suo canto niente da far rimanesse, per togliere ogni scusa, tornò a mandare nuovi Ambasciadori al Pontefice a ricercarlo di nuovo, se volesse confermar la concordia, ma Alessandro espressamente negando di fermarla, ne rimandò i Legati.

Allora fu, che Manfredi nel stabilito tempo convocò in Barletta il general Parlamento, nel quale in presenza di tutti i Conti e Baroni del Regno furono varj, e gravi affari risoluti.

Fu privato per sentenza de' medesimi Pietro di Calabria, tanto dell'onore del Contado di Catanzaro, quanto dell'Ufficio della Marescialleria regia del Regno di Sicilia, per la sua fellonìa.

Fu creato Conte del Principato di Salerno Gualvano Lancia zio del Principe, al quale fu anche conceduto l'Ufficio di Gran Maresciallo del Regno di Sicilia, di cui era stato Pietro spogliato.

Nell'istesso Parlamento, il fratello di Gualvano zio parimente di Manfredi fu fatto Conte di Squillaci; ed ad Errico da Spernaria fu conceduto il Contado di Marsico.

Fu parimente in questa general Corte agitata e discussa la causa del Marchese Bertoldo e de' suoi fratelli, i quali convinti della congiura macchinata contro il Principe, con concorde voto de' Conti e de' Baroni del Regno, furono con lor sentenza condennati a morte. Ma Manfredi volendo usar loro clemenza, commutò la pena in carcere perpetua, ove miseramente finirono la loro vita.

Disbrigato che fu il Principe Manfredi da questa Corte, ove diede molti provedimenti Politia per la quiete del Regno, fu poi tutto rivolto all'impresa di Terra di Lavoro, ed a spegnere affatto dalla Calabria, e più dalla Sicilia la fazione del Papa, il quale in quell'isola ancor vi teneva Frate Rufino dell'Ordine de' Minori per Legato della Sede Appostolica, il quale poneva in isconvolgimenti continui quell'isola avendosi resi molti Siciliani benevoli, i quali scossa la fede regia, ubbidivano a lui, come a Signore dell'isola in nome della Chiesa romana. A riparar questi mali creò Manfredi per suo general Vicario di Calabria e di Sicilia Federico Lanzia suo zio, il quale con mirabile destrezza e gran valore ripose le città di Calabria fluttuanti interamente in pace e quiete, e sotto l'ubbidienza del Re, e dando animo all'esercito regio, ch'era in Palermo, fece sì, che il Legato Rufino, e' suoi seguaci fossero fatti tutti prigioni, e fosse restituita Palermo, e tutti que' luoghi all'ubbidienza del Re; e passato poi in Messina ridusse parimente quella città alla fede regia.

Intanto il Principe Manfredi avendo intimata la guerra al Papa, che allontanatosi dal Regno, avea prima in Anagni, e poi in Viterbo trasferita la sua Corte, s'accinse all'impresa di Terra di Lavoro, per restituirla sotto il suo dominio. Spiegò li suoi stendardi, e con potente esercito entrò ne' confini di Terra di Lavoro, e verso Napoli incamminossi. Fu veramente cosa maravigliosa, come notò il Costanzo, che la città di Napoli, la quale pochi anni prima avea tanto ostinatamente chiuse le porte e negata l'ubbidienza a Corrado, ora, mandasse fuori messi a Manfredi, mentre era ancor lontano, a spontaneamente offerirsegli. Nè si crede che ne fosse stata altra cosa cagione, che le poche forze e vigore del Papa, e la fresca memoria, che sotto la speranza di Papa Innocenzio IV erano stati saccheggiati, e miseramente disfatti. Nè vi è dubbio, che vi cooperarono molto le promesse di Manfredi, il quale mandò a dire a molti gentiluomini suoi conoscenti, quanto gli uomini valorosi poteano sperare maggior esaltazione da lui, che dal governo de' Preti; il che si potea vedere per esempio di molti di Puglia e di Calabria e d'altre province, ch'egli con somma liberalità e munificenza avea esaltati con ordine di cavalleria, e con altre dignità e preminenze. In fatti i Napoletani riceverono con gran festa e giubilo Manfredi nella lor città; il quale, perchè l'effetto fosse conforme alle promesse, entrato che vi fu, fece tutto il contrario di quel, che avea fatto Corrado, rinovando a sue spese gli edificj pubblici, assecurando tutti coloro, che a tempo di Corrado ed a tempo suo s'erano mostrati inimici della Casa di Svevia, ed onorando molti Nobili, con pigliargli, secondo l'età e la virtù, o per Consiglieri, o per Cortegiani appresso la sua persona.

L'esempio di Napoli mosse anche i Capuani di rendergli parimente la loro città, ed il simile fecero tutte l'altre città convicine. Solo Aversa per la fazione, che v'aveano le genti del Papa, fece alquanto resistenza; ma finalmente bisognò, che cedesse alla forza di Manfredi, ed in breve tutta la provincia di Terra di Lavoro si sottopose alla sua ubbidienza. Ridotta questa provincia, passò in Capitanata, ed indi in Brindisi per reprimere la sedizione, che l'Arcivescovo di quella città aveagli fomentata: la ridusse in sua fede, ed imprigionò l'Arcivescovo. Ariano e l'Aquila, che furono l'ultime e le più ostinate a mantenersi in ribellione, furono da lui arse e distrutte.

Così avendo questo Principe restituito con tanto valore al suo dominio tutto il Regno di Puglia, si dispose di passare in Sicilia per maggiormente stabilirla nella fede regia, e purgare quell'isola d'ogni vestigio, che mai vi rimanesse della fazion contraria. Navigò lo stretto, ed in Messina giunto, fecevi dimora per pochi giorni, ed indi passò a Palermo regia Sede degli antichi Re di Sicilia.

Intanto il Pontefice Alessandro, non potendo per se solo rintuzzare le forze di Manfredi, rinovò in quest'anno 1257 le pratiche in Inghilterra, per ridurre quel Re ad accettar l'investitura del Regno offertagli per Edmondo suo figliuolo; e narra Matteo Paris, che Errico vi condescese; ma perchè le forze non erano pari all'impresa, il Re desiderava, che gl'Inglesi gli dessero validi ajuti: per la qual cosa fece egli unire un Parlamento, e fecevi in quello comparire Edmondo vestito alla Pugliese, per maggiormente spingergli a soccorrerlo, acciocchè il Regno offertogli, per cagion loro non si perdesse; ma gl'Inglesi niente conchiusero, e come diremo, nell'anno 1259 il trattato rimase affatto estinto; e Manfredi per vano rumore, essere Corradino morto, fattosi incoronare a Palermo, si stabilì nel Trono di Sicilia: ciò che bisogna rapportare nel seguente libro di quest'istoria.

(Si leggono presso Lunig due Brevi d'Alessandro IV uno scritto ad Errico Re d'Inghilterra padre d'Edmondo, ed un altro al Vescovo di Erford, perchè in vigor dell'investitura si sollecitassero per questa spedizione, e mandassero gente e 'l denaro promesso per discacciar Manfredi del Regno).

FINE DEL LIBRO DECIMOTTAVO

STORIA CIVILE

DEL

REGNO DI NAPOLI

LIBRO DECIMONONO

Mentre Manfredi era in Palermo, giunse quivi novella, che il Re Corradino fosse morto in Alemagna; ma in questo passo d'istoria gli Scrittori, secondo le fazioni contrarie, non convengono. I Guelfi, come Giovanni Villani Fiorentino, e gli altri Italiani di quel partito narrano, che Manfredi per eseguire il suo scellerato pensiero, che lungo tempo sotto contrario manto nascondeva d'usurpar il Regno al Re suo nipote, avendo tentato invano di farlo avvelenare, avesse ordinato alcuni falsi messi, che gli portassero nuova di Germania, prima dell'infermità, e poi della morte di Corradino, e che questo rumore sparso in Palermo, ed in tutte le città del Regno, fosse stato tutto per sua astuzia ed inganno; e che perciò, per maggiormente farlo credere, con dissimulazione grandissima di dolore inviò a' Baroni e Sindici delle terre dell'uno e l'altro Regno cotal avviso, pubblicando per vera la morte di Corradino, e che avendo in Palermo fatto celebrare con pompa reale, e con dimostrazione di grandissimo lutto i funerali per la finta morte di quel Principe, avesse egli in presenza di tutti i Conti, Baroni e Prelati ivi concorsi, fatta una gravissima orazione, colla quale connumerando i beneficj de' Principi Normanni, e degli Imperadori Svevi suoi progenitori verso l'uno e l'altro Regno, e l'opere fatte da lui a tempo di Corradino, e nell'infanzia di Corradino suo figliuolo, pregò tutti, che poichè la fortuna in sì poco spazio, mostrandosi nemica al sangue loro, avea mandato sotterra sì grande Imperadore, com'era stato Federico suo padre, con tanta numerosa progenie, non volessero fraudar lui di quella successione, che la volontà di Dio, e quella di suo padre dichiarata nel di lui testamento, l'avea destinata, avendolo lasciato vivo per sua misericordia, dopo la morte di tanti altri Regali. Ed aggiungendo poi la poca speranza, o il poco timore, che s'avea da tenere de' Pontefici romani, per essere il di lor governo breve e mutabile, nel quale la morte d'uno guasta quanto è fatto in molti anni di vita, e lascia al successore necessità di cominciare ogni cosa da capo: vogliono, che queste cose dette da lui con somma grazia e con mirabil arte, fossero state di tanta efficacia e vigore, che fu immantenente da tutti salutato per loro Re e Signore.

Dall'altra parte l'Anonimo, ancorchè Scrittor contemporaneo, ma tutto Ghibellino, e coloro che lo seguirono, narrano, che niente Manfredi usasse di simil inganni ed astuzie; ma che sparsosi nel Regno cotal rumore della morte di Corradino, quasi tutti i Conti, e gli altri Magnati del Regno, i Prelati ancora delle Chiese s'avviarono immantenente in Sicilia a trovar Manfredi, siccome fecero tutte le altre città dell'uno e l'altro Regno, con mandar i loro Sindici, e messi in Palermo: dove insieme uniti, di concorde volere tutti lo richiesero, che avendo egli sinora con tanta prudenza governato il Regno per parte sua, e di Corradino suo nipote, essendo questi mancato, dovesse egli come vero erede di quello, prenderne il governo, e coronarsi Re di Sicilia; che alle grida e a' desiderii di tutti, essendo concorso i Conti, i Baroni e tutti i Prelati del Regno l'avessero gridato Re, e colle solite cerimonie l'incoronassero nel Duomo di Palermo agli 11 del mese di agosto di quest'anno 1258.

Che che ne sia, se Manfredi colle sue arti s'avesse ciò proccurato, come è più verisimile a chiunque riguarda l'ambizione ch'ebbe di dominare, o fosse caso o volontà de' sudditi, fu egli con solenne cerimonia, secondo il costume de' maggiori concorrendovi tutti i Conti, Baroni, e gli altri Magnati del Regno, con molti Prelati, gridato e coronato Re, assistendo a questa sua incoronazione infiniti Vescovi e Prelati; e Rinaldo Vescovo d'Agrigento, che celebrò la messa, l'unse del sacro olio, assistendovi l'Arcivescovo di Sorrento, e l'Abate Cassinense, e poscia dagli Arcivescovi di Salerno, di Taranto e di Monreale gli fu posta, nel Trono assiso, la corona Reale. Alcuni sognarono, che Manfredi si fosse fatto anche incoronare Re di Puglia in Bari colla corona di ferro, siccome dissero di Errico e di Costanza; ma ancorchè il Beatillo nella vita di S. Niccolò di Bari, con autorità d'alquanti moderni Scrittori s'ingegni provarlo, è ciò tutta favola, non essendovi niuno Scrittore antico o contemporaneo, che lo rapporti.

Tosto che il Re Manfredi fu assunto al solio del Regno, per obbligarsi maggiormente i popoli, ed acquistarsi nome di benefico, e di liberale, nella festa della sua coronazione, a tutti i Sindici delle città e terre, che ivi si trovarono, fece splendidissimi doni, diede uffici e molti promosse a gradi ed onori di cavalleria. Indi di Palermo ritornò tosto in Puglia con alcuni Saraceni, per tener in freno i Tedeschi; ma scorgendo esser tutte le province pacate, e liete del nuovo suo dominio, e che erano in placidissima pace, celebrò un general Parlamento a Barletta, ove onorò molti dell'ordine di cavalleria, e molt'altri investì di vari Contadi, dando loro per lo stendardo l'investitura. Dopo questo intimò un'altra general Corte in Foggia, ove avendo convocati i Baroni, e' gentiluomini, ornò molti altri del cingolo della milizia, e profusamente concedè ad altri onori, ufficj e preminenze; e con magnifici giuochi, feste ed illuminazioni tenne i popoli tutti allegri e festanti, e pieni di gioja.

Il Pontefice Alessandro di mal animo vedendo i progressi di Manfredi, ed il poco conto che s'avea di lui, pensando che per reprimere le costui forze non erano sufficienti quelle della Chiesa, avea già sin dal passat'anno 1257 ripreso il trattato con Errico Re di Inghilterra, invitando Edmondo suo figliuolo alla conquista del Regno: ed in effetto, come si disse, avea mandati suoi Legati in Inghilterra a portargli l'investitura, per la quale investiva del Regno il Re Errico in nome d'Edmondo suo figliuolo, che allora era di minor età. E già Errico in nome di suo figliuolo diede il giuramento di fedeltà al Legato; e si erano stabiliti i patti ed il censo, che dovea pagarsi alla Sede Appostolica, ed avea promesso di presto venire con potente armata in Regno per discacciarne Manfredi. Ma o che questo Principe, meglio pensando, non volesse intrigarsi in questa nuova guerra, o che il censo stabilito ne' patti dell'investitura fosse veramente grave ed esorbitante, differiva l'espedizione, e sollecitato da Alessandro, rispondeva, che bisognava moderar il censo, ch'era esorbitante, prima d'ogni altra cosa. Il Papa impaziente designò tosto di mandare in Inghilterra Arlotto Sottodiacono della Sede Appostolica, ed il suo Cappellano per trattar di questa moderazione; ma non fu ciò di mestieri, perchè nell'istesso tempo dal Re Errico furono spediti suoi Ambasciadori al Papa l'Arcivescovo di Tarantasia, i Vescovi di Bottun, e Roffense, e Maestro Nicolò di Francia suo Cappellano Regio per trattare di quest'istesso affare; ma essendosi costoro affaticati in vano, per li nuovi torbidi insorti in Inghilterra, finalmente nel seguente anno 1259 svanì ogni trattato; nè da poi si pensò più in Inghilterra, ma in Francia furono rivolti i pensieri d'Alessandro non meno, che del suo successore Urbano.

Mentre per queste cagioni si differiva tal espedizione, Manfredi intanto avea già discacciate le genti del Papa da Puglia, da Terra di Lavoro e da Sicilia: avea presi e puniti i ribelli, ed erasi già, come si è detto, fatto incoronare Re in Palermo. Per la qual cosa Papa Alessandro adirato più che mai, non volendo trascurare via di vendicarsi, e vedendo che le armi temporali niente giovavano, fu tutto rivolto alle spirituali, onde alle scomuniche, ed interdetti fece ricorso.

Prefigge in prima certo termine al Re Manfredi, perchè comparisse avanti di lui e dassegli soddisfazione, ed ammenda di tutto ciò, che contro la Sede Appostolica avea attentato, altramente l'avrebbe deposto, scomunicato e privato di tutti gli onori; ma non comparendo Manfredi, poco curante di queste minaccie, egli lo scomunica, lo dichiara ribelle, inimico della romana Chiesa, e sacrilego occupatore e predone delle sue ragioni, e che avea stretta confederazione co' Saraceni, de quali s'era fatto Capo. Lo priva del Principato di Taranto e di tutti i feudi, ragioni, onori e preminenze. Lo dichiara reo di esecrandi delitti, di aver preso, ed in oscuro carcere posto Fra Ruffino suo Cappellano, e suo Legato in Sicilia e Calabria; d'aver stese le sacrileghe mani sopra i beni delle Chiese del Regno di Sicilia; d'aver preso, e con dure catene tenuto in istrette prigioni l'Arcivescovo di Brindisi, con ispogliarlo di tutte le sue robe; e d'avere con esecrando ed orribile attentato aspirato al soglio regale di Sicilia, con aver occupato quel Regno devoluto alla Sede Appostolica, e sacrilegamente fattosene incoronare Re, senza sua permissione e consenso. Dichiarava perciò col voto, e consiglio de' suoi Cardinali Manfredi scomunicato, nulla ed irrìta la sua incoronazione, e tutti gli atti di unzione, ed ogni altro attinente a quella.

Interdisse tutte le città, luoghi e castelli, che ricevessero Manfredi, e lo avessero per Re. Proibì a tutti gli Arcivescovi, Vescovi, Abati e qualunque altra persona ecclesiastica di celebrare i divini uffici presente Manfredi, e che non ricevessero da lui beneficii ecclesiastici, e niuna amministrazione di Chiesa o monasteri; e che coloro, che si trovassero avergli ricevuti, fra due mesi dovessero onninamente resignargli.

Oltre ciò, asserendo egli, che mentr'era in Napoli rigorosamente avea ordinato a tutti i Prelati, ed a qualsivoglia persona ecclesiastica, che non s'accostassero a Manfredi, nè gli mandassero ambasciadori, nè ricevessero messi da lui inviati, nè gli prestassero ajuto, o consiglio; che ciò non ostante, contro questo suo divieto, quasi tutti gli Arcivescovi, Vescovi, Abati ed altri Prelati del Regno di Sicilia s'erano portati a Palermo, ed erano intervenuti alla di lui incoronazione: perciò avea fatti citar generalmente tutti coloro, che v'erano intervenuti, e nominatamente alcuni, che dovessero comparire personalmente fra certo termine avanti di lui; ma perchè niuno era comparso, niente curando della intimazione fattagli; perciò scomunicava Rinaldo Vescovo d'Agrigento, e lo deponeva dalla vescovil dignità, per aver colle sacrileghe sue mani unto in Re quel Principe, ed avea nel giorno dell'incoronazione solennemente celebrata la messa. Scomunicava ancora l'Arcivescovo di Sorrento, e lo deponeva della sua Chiesa come anche l'Abate Cassinense, privandolo del governo di quel monasterio per aver assistito a detta unzione e coronazione; comandando a' Capitoli delle Chiese d'Agrigento e di Sorrento, al Convento del monasterio di Cassino, ed a tutti i vassalli delle Chiese e monasterio suddetti che non li ubbidissero nè li riconoscessero per tali; nè più gli contribuissero l'entrate e loro ragioni. Agli Arcivescovi di Salerno, di Taranto e di Monreale, ch'erano parimente intervenuti alla coronazione, li quali all'indegno capo di Manfredi avean posta la real corona, e l'aveano posto nel regal Trono di Palermo, citò con termine perentorio e prefisso, che dovessero personalmente presentarsi avanti di lui nella prossima festività dell'ottava de' SS. Pietro e Paolo. La carta di queste terribili censure che Alessandro scagliò contro Manfredi e suoi partigiani, ove con formole orrende si lanciano tanti fulmini ed interdetti, vien rapportata dal Tutino e si legge nel suo trattato de' Contestabili del Regno.

Ma di questi fulmini non si facea alcun conto, erano riputati vani e senza ragionevol cagione scagliati; onde non si mossero punto nè Manfredi nè le città del Regno nè i Prelati, nè que' Popoli ad obbedirgli; anzi Manfredi godendo il frutto delle tante sue vigilie e sudori, sovente divertivasi in giuochi e nelle caccie rigorosamente comandando che si proseguissero per tutte le Chiese del Regno, come prima i divini uffici, nel che non incontrò veruna repugnanza ne' Prelati, ed in tutte l'altre persone ecclesiastiche. E resosi da per tutto potente e glorioso, già stendeva le sue forze fuori dei confini del Regno, e nell'altre parti d'Italia avea reso celebre e famoso il suo nome, tanto che per lui la fazione Ghibellina cominciò a sollevarsi sopra la Guelfa; ed in Lombardia ed in Fiorenza avea fatti mirabili progressi.

E perchè vedeva, che l'opulenza dell'uno e l'altro Regno, ancorchè fosse grande, non avrebbe bastato a mantenere grandi eserciti come bisognava, che e' tenesse per l'inimicizia de' Pontefici romani, prese partito di mandare parte dell'esercito in Toscana e parte in Lombardia in sussidio de' Ghibellini; onde venia insieme ad evitar la spesa, ed a divertire il pensiero del Papa dal molestarlo, al quale era più necessario attendere alla conservazione de' Guelfi, del patrimonio di S. Pietro, di Romagna e della Marca. Ed egli rimase nel Regno, dove trattanto viveva quel tempo con molta felicità e splendidezza: dimorando nelle città marittime di Puglia e più d'ogni altra in Barletta.

Or mentr'egli dimorava in questa città giunsero quivi gli Ambasciadori della Regina Elisabetta, secondo l'Anonimo, ovvero di Margherita (secondo per una carta che rapporta, crede il Summonte) madre del Re Corradino e del Duca di Baviera, i quali esposero a Manfredi la loro ambasciata dicendogli, che Corradino era vivo, e che si doveano punire quelli che falsamente aveano pubblicata la sua morte; onde in nome della Regina e del Duca lo pregavano che volesse lasciare il Regno, che legittimamente era di Corradino. Manfredi ricevè gli Ambasciadori con grand'onore e stima; e come molto accorto e prudente avendo prevista l'ambasciata, prontamente loro rispose: ch'era già notorio e palese a tutti, che il Regno era perduto per Corradino, e che egli con tanti sudori e vigilie per viva forza avealo ricuperato dalle mani di due Pontefici: ch'essendo Corradino di poca età tornerebbe facilmente a perderlo; ed i Pontefici romani fieri inimici della casa Sveva con facilità glielo ritoglierebbero; oltre che le genti del Regno non avrebbero comportato, dovendosi egli valere de' Tedeschi, dei quali aveano orrore, che dominasse più in quello la nazion tedesca; che non bisognava ora che i popoli erano assuefatti al suo dominio, ed alle sue maniere placide ed all'Italiana, con dar loro nuovo Principe, mettersi in pericolo di nuove rivoluzioni; e perchè si scorgesse, che non per ambizion di regnare, ma per maggior utile del piccolo Re, egli non lasciava il Regno, prometteva di conservarlo per lui e governarlo per lui, e mentr'egli vivea, e da poi lasciarlo a Corradino: che perciò avrebbe la Reina fatto assai prudentemente di mandarlo a lui ad allevare, acciocchè apprendesse i costumi italiani perch'egli l'avrebbe tenuto, non come nipote, ma come proprio suo figliuolo. Gli Ambasciadori ricevuta tal risposta, chiesta licenza, si partirono riccamente presentati; e mandò al Duca di Baviera dieci corsieri bellissimi, ed al picciolo Corradino molte gioie.

Rimandati con queste risposte i Legati del Duca e della Regina, riputando questa infelice Principessa esser molto dura e difficil impresa poter colle sue forze ritoglier ora dalle mani di Manfredi il Regno, le fu forza dissimular il tutto, riserbando a tempo migliore di poter vedere il piccolo Re suo figliuolo restituito al Trono di Sicilia.

Intanto Manfredi stabilito ora più che mai nel Regno, avendo abbassate le forze del Pontefice, e dei Guelfi in Italia, s'era reso formidabile a tutta Italia, avea esteso oltre quella la sua fama e grido per tutte le altre Nazioni d'Europa per lo suo coraggio, munificenza e splendidezza, e per tutte le altre virtù, che adornavano la sua persona, veramente regie. Si vide perciò favorito e stimato da quasi tutti i Principi di Europa, co' quali egli trattava con estraordinaria magnificenza e splendore; ed accadde in questi tempi, ch'essendo venuto a Bari Baldovino Imperador di Costantinopoli, trovandosi egli in Barletta, andò subito cortesemente a riceverlo, e lo trattenne in splendidissime feste e diversi giuochi d'armi; e non perdonando a spese, fece far superbi apparati e giostre continue, ove furono invitati i Signori più riguardevoli così dell'uno, come dell'altro reame.

Per la celebrità della fama, che aveasi con sì generosi modi acquistata, fu mosso il Re Giacomo d'Aragona a volersi imparentar con lui, sposando il suo primogenito Pietro d'Aragona alla sua figliuola Costanza, ch'egli avea generata di Beatrice figliuola di Amadeo Conte di Savoja sua prima moglie, presa in tempo, che ancor vivea l'Imperadore suo padre; ed il Marchese di Monferrato si sposò un'altra sua figliuola.

Dispiacquero al Pontefice Alessandro queste parentele, e per impedire quella col Re d'Aragona ingiunse a Raimondo di Pennaforte Frate Domenicano, e celebre per la sua Compilazione delle Decretali, che s'adoperasse con ardore, ed efficacia appresso quel Re, di cui egli era Confessore, per frastornarla; ma tutti gl'impegni del Papa, e le insinuazioni di Fra Raimondo a nulla valsero; laonde vedutosi Alessandro fuor di speranza, non ebbe ardire per quel tempo, che sopravvisse, di mai più molestarlo; per la qual cosa Manfredi insino alla morte d'Alessandro, regnò con molta quiete e felicità, riordinando le cose del Regno; e nato per opre magnifiche, volle anco presso di noi lasciar di se perenne ed immortal memoria, con fondare alla falda del Gargano ne' lidi del mare Lina magnifica città, che estinse affatto l'antica Siponto, e che dal suo insino ad ora ritiene il nome di Manfredonia, ancorchè Carlo d'Angiò occupato il Regno, ed i romani Pontefici per l'implacabil odio al nome di Manfredi, avessero fatto ogni studio, perchè non Manfredonia, ma Nuovo Siponto s'appellasse.

Il Pontefice Alessandro non potendo sostener di vantaggio i continui dispiaceri, che per le prosperità di Manfredi, e de' Ghibellini riceveva nell'animo, vinto finalmente da grave cordoglio, mentr'era colla sua Corte a Viterbo, gravemente infermossi, ed indi a poco uscì di vita in quest'anno 1260 secondo l'Anonimo, perchè il Sigonio, Inveges ed altri comunemente riportano la sua morte nell'anno seguente 1261.

I Cardinali nell'elezione del successore furono in grandissimi contrasti; e finalmente non potendo infra di loro convenire, dopo tre mesi elessero persona fuori del lor Collegio. Questi fu Giacomo Patriarca di Gerusalemme, che si trovava allora in Viterbo per promovere col Papa alcuni interessi della sua Chiesa. Egli era di nazione franzese, uomo di grande spirito, zelantissimo di promovere le pretensioni della romana Corte, ed in conseguenza fiero inimico di Manfredi, e de' suoi Ghibellini. Urbano IV nomossi; nome assai luttuoso, e memorando all'infelice Casa di Svevia.

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