CAPITOLO III.

Spedizione d' Innocenzio IV sopra il Regno.

Composte in cotal maniera queste bisogne, il Marchese andossene in Puglia, promettendo a Manfredi di colà mandargli ogni soccorso di denaro, e di gente; ed intanto Manfredi cominciò a preparare, e disporre l'esercito per poter fronteggiare a quello del Pontefice, che a grandi giornate se ne calava nel Regno. Presidiò a questo fine San Germano con buon numero di Tedeschi, e fortificò Capua con tutte le vicine terre, che cominciavano a fluttuare, per contenerle nella sua ubbidienza.

Ma dall'altra parte Innocenzio avea fatti progressi grandi per facilitar l'impresa, avea mandati suoi messi in Sicilia a Pietro Ruffo di Calabria, che dal Marchese di Honebruch era stato lasciato Balio della Sicilia e della Calabria, perchè disponesse que' popoli ad alzar le bandiere della Chiesa; ed in fatti Pietro da Messina spedì al Papa Folco suo nipote, ed altri Ambasciadori sopra due galee a significargli, che tanto la Sicilia, quanto la Calabria s'andavan disponendo ad abbandonar Manfredi, e darsi dalla parte sua.

S'aggiungeva ancora, che Riccardo di Monte Negro per l'odio ed inimicizia, che teneva col Marchese Bertoldo, s'era dato già nel partito del Pontefice, col quale erasi confederato, e promise voler dar libero passo all'esercito papale per le sue terre, che teneva ne' confini del Regno. Molti altri Baroni ancora aveano nascostamente mandato dal Papa a giurargli fedeltà, ed a ricevere da lui la rinnovazione dell'investiture de' loro Feudi che possedevano; ed altri ottennero con facilità dal Pontefice nuove investiture, siccome Borrello di Anglono, che fu da Innocenzio in questi tempi prima d'entrar nel Regno investito del Contado di Lesina, ancorchè s'appartenesse a Manfredi, come pertinenza del Contado di Monte S. Angelo. Anzi Innocenzio avea conceduta l'investitura del Contado di Lecce a Marco Ziano figliuolo di Pietro Duca di Venezia, a cui dichiarò appartenere come discendente del Conte Tancredi suo avo, non ostante le ragioni, che vi teneva il Conte Tigrisio de Mudignana, ovvero i di lui figliuoli, per ragione d'Alberia sua moglie, che dovea nella successione a tutti preferirsi; e non per altra cagione, se non perchè il Conte Tigrisio e' suoi figliuoli aderirono all'Imperadore Federico contro la Chiesa, ed ancora non tralasciavano d'offenderla, onde Innocenzio gli reputava affatto indegni della sua grazia; e la carta di questa investitura spedita da lui in Perugia l'anno 1252 vien rapportata dall'Ughello, che dice averla riscontrata nel registro vaticano. Siccome nell'istesso anno 1252 a' 21 gennajo dimorando per anche in Perugia, investì O. Frangipane del Principato di Taranto, ancorchè fosse di Manfredi, con tutta la terra d'Otranto: sotto pretesto, ch'era stato prima dato dall'Imperadrice Costanza I normanna ad O. suo zio, come appare per privilegio dato in Perugia, rapportato da Rainaldo; ed in cotal maniera Innocenzio gratificandogli s'avea resi suoi ligi, e dependenti i migliori Baroni del Regno, e ridotti molti personaggi di conto al suo partito.

Di vantaggio erasi penetrata una congiura, che si ordiva a Capua contro Manfredi, con deliberazione, subito che l'esercito papale si fosse accostato al Regno, con impeto grande dar sopra quel Principe per imprigionarlo, o ucciderlo. Erasi ancora scoverta la poca fede del Marchese Bertoldo, il quale violando tutte le promesse fatte a Manfredi di mandargli dalla Puglia denaro e gente, non solo non adempieva alle promesse, ma discorrendo per Puglia badava solo al suo utile, gravando que' sudditi d'eccessive taglie, ed i suoi Tedeschi, per la loro rapacità gli aveano alienati dalla fede che doveano al Re, e desideravano il dominio del Papa; ed ancorchè Manfredi avesse mandato Gualvano Lancia suo zio, a narrargli le angustie, nelle quali si trovava per moverlo a dargli ajuto, fu però inutile la missione, niente curando de' suoi pericoli.

Vedutosi perciò il Principe Manfredi in così gravi angustie, nelle quali era, più per gli occulti, che per li palesi nemici, reputando inutile ogni suo sforzo di voler colla forza contrastare al Pontefice, bisognò cedere al tempo, e ricorrere per vincer l'inimico alle simulazioni ed agl'inganni. Erasi il Pontefice Innocenzio, per accalorare l'impresa, disposto di venir egli di persona a conquistare il Regno: e fermato in Anagni era tutto inteso al grande apparecchio, e perchè non si tralasciasse strada per agevolarne l'impresa, avea mandati più Messi a tentare l'istesso Manfredi, affinchè lasciasse il governo del Regno, e quello ponesse in mano della Chiesa. Manfredi con somma accortezza andava differendo la risposta; ma ora vedutosi in queste angustie, deliberò fargli tornare al Pontefice con risposte tutte umili e riverenti, dicendogli, che rapportassero al Papa, ch'egli fidando al suo gran zelo e pietà, che aveva verso il Re pupillo suo nipote, e reputando esser proprio della Sede Appostolica di proteggerlo, e riceverlo nel suo seno con paternal amore e grazia, non ripugnava abbandonar il governo del Regno, e ponerlo in mano della Chiesa madre pietosa di tutti, e più de' pupilli; e che sperava che con ciò si fossero adempiuti i voti di Corrado padre del fanciullo Re, che nel suo testamento avea ardentemente desiderato, che la Santa Sede ricevesse sotto la sua protezione e grazia l'innocente fanciullo: che egli non solo non contrasterebbe, ma darebbe ogni ajuto alla sua entrata, e possessione del Regno, senza però, che dovesse recarsi con tal atto alcun pregiudicio alle ragioni sue, e del Re pupillo.

Il Pontefice ricevuta questa risposta con indicibile allegrezza, si lodò tanto di Manfredi, che quando prima tenne quel Principe per iscomunicato, e niente cattolico, ora lo ricevè in sua grazia ed in quella della Sede Appostolica, dimenticando ogni offesa; ed avendogli fatto animo, che fidasse in lui che con porsi il Regno in mano della Chiesa, non si sarebber punto pregiudicate le ragioni del Re pupillo, e sue; e che quando sarebbe quegli venuto alla età maggiore, la Sede Appostolica gli avrebbe renduta sua ragione, si dispose ad entrare nel Regno col suo esercito. Inviò intanto Manfredi, per maggiormente assicurarlo della sua fedeltà, Gualvano Lancia suo zio ad Anagni ad umiliarsi col Pontefice; e, se deve riputarsi vera quella Bolla rapportata dal Tutini, si vede che Innocenzio per mostrargli all'incontro ugual corrispondenza, a' 27 settembre di quest'anno 1254 in Anagni gli confermò l'investitura, colla quale per mezzo dell'istesso Gualvano investì, e confermò a Manfredi il Principato di Taranto (del quale prima avea investito O. Frangipane), il Contado di Gravina, e di Tricarico, con l'onore del Monte S. Angelo, con tutte le supreme regalie ed onori e preminenze, colle quali l'Imperador Federico suo padre gliel'avea conceduto, e che Corrado gli avea tolte. E per mostrargli maggior benevolenza, possedendosi allora il Contado di Montescaglioso dal Marchese Bertoldo, in iscambio di quello gli diede il Contado d'Andria, investendone in pubblico Concistoro in suo nome il sopraddetto Gualvano Lancia, dandogli in segno dell'Investitura un anello, come si legge nella Bolla dell'investitura, rapportata dal Tutini nel libro de' Contestabili del Regno.

Il Principe Manfredi, ancorchè dal tenore di questa investitura, e da altri fatti comprendesse, che l'animo d'Innocenzio era non di governare come Balio il Regno insino all'età maggiore di Corradino, ma supponendolo devoluto alla Sede Appostolica, dominarlo con assoluto, ed indipendente imperio, nulladimanco con mirabile astuzia dissimulava il tutto; e per maggiormente farlo cadere nelle sue reti, vie più mostravasi di lui tutto umile ed ubbidiente; anzi per segno di maggior venerazione, essendosi Innocenzio già incamminato, volle andare ad incontrarlo, insino a Cepperano, e quivi incontratolo, volle inginocchione adorarlo, e prendendo da poi il freno del suo cavallo, lo servì in cotal maniera per un pezzo di strada insino che passasse il ponte di Garigliano.

Innocenzio gradì tanto queste umili dimostrazioni, che ancorchè vecchio, e per esperienza prudentissimo, si lasciò ingannare, in guisa, che oltre aver conferito con lui quasi tutti i suoi più riposti pensieri, credendo, che conserverebbe la più sopraffina divozione alla Sede Appostolica, volle cumularlo di maggiori onori; poichè oltre avergli dato il primo luogo fra tutti i Baroni, lo creò Vicario del Regno, dal Faro insino al fiume Sele, e per tutto il Contado di Molise, e terra Beneventana, eccettuatone il Giustizierato d'Abruzzo, costituendogli ottomila oncie d'oro l'anno di mercede; e la carta di questa concessione la rapporta ancora il Tutini; ed essendosi già sparsa fama per tutto il Regno, che il Papa con accordo e permissione di Manfredi era entrato nel Regno per amministrarlo, i popoli, che stavano infastiditi de' trattamenti, che ricevevan da' Tedeschi, erano già tutti disposti per riceverlo, riputando in cotal guisa poter uscire dalla loro servitù, ed esser fuori di periglio d'esser più interdetti dagli Ufficiali sacri. E questo fu cagione, che Manfredi con grandissime astuzie consigliò il Papa, che compartisse il suo esercito per le più ricche province del Regno: dal quale consiglio ne avvenne, che i Capitani tedeschi, parte per timore dell'esercito del Papa, parte per la mala volontà, che conosceano ne' popoli, i quali ricusavano di pagare a' Tedeschi cos'alcuna, si partirono dal Regno, e tornarono in Germania delusi da Manfredi, con lasciarne solo in Puglia, ed in terra d'Otranto alcuni, i quali appena potendo vivere, non avendo paghe, andavano sempre più mancando di numero. Così Manfredi toltisi dattorno i Tedeschi, i quali gli davano maggior sospetto, che i nemici palesi, e tratto tratto acquistando forza in quelle province, ove era egli stato creato Vicario dal Papa, cercava ora opportunità, come potesse discacciarne i costui soldati, che compartiti in più luoghi, infra di loro divisi, credeva con più facilità debellare.

Intanto il Pontefice entrato nel Regno, prima fermossi a Teano per picciola indisposizione, e poi giunse in Capua, ove fu ricevuto con molta pompa e celebrità; e quivi fermatosi, era tutto inteso ad unire sotto il dominio della Sede Appostolica tutte le altre province del Regno di Puglia e di Sicilia, come avea fatto dell'Abruzzo, di Terra di Lavoro, parte della Puglia, e d'alcune altre. Avea egli fatto Legato della Sede Appostolica sopra il Regno il Cardinal di S. Eustachio, suo nipote, al quale avea data tutta la sua autorità e potere per amministrarlo. Questi essendo giovane, e congiunto ad Innocenzio, cominciò con alterigia a governarlo, non come Governadore, ma come assoluto padrone, ed obbligava i Conti, i Baroni e tutti gli altri a dargli il giuramento di fedeltà, nullo jure Regis, et Principis salvo (come dice l'Anonimo) ma assolutamente a lui, come Legato della Sede Appostolica, a cui era il Regno devoluto. Per questa cagione pretendeva ancora, che il Principe Manfredi, siccome avean fatto gli altri Baroni, dovesse prestar a lui consimil giuramento di fedeltà.

Allora fu, che Manfredi opportunamente cominciò pian piano a togliersi il velo della simulazione, ed a resistere apertamente al Legato con dirgli, che le convenzioni avute col Pontefice erano state, che si lasciasse in mano della Chiesa il governo del Regno, salve però le sue ragioni e quelle del nipote, ed infino a tanto che il pupillo non sarà fatto pubere, non dovesse mutarsi cos'alcuna dello stato, nel quale era il Regno: per la qual cosa non volle dar il ricercato giuramento, non ostante le moleste dimande del Legato. Non fu però, come dice l'Anonimo, che per tali contese Manfredi non venisse a perdere molto della sua stima presso gli altri Baroni del Regno: poichè questi vedendo, che il Legato niente riguardando alla sua regale stirpe, voleva trattarlo di pari, e nell'istessa guisa che gli altri, cominciarono a perdere quella riverenza ed ossequio, che prima gli portavano.

Per questa cagione avvenne, che avendo Borrello di Anglono ottenuto dal Pontefice Innocenzio, prima che entrasse nel Regno, l'investitura del Contado di Lesina, perchè abbandonasse le parti Regie, e seguitasse quelle della Chiesa, siccome avea fatto con molti altri Baroni, per tirargli al suo partito, pretendeva egli in vigor di tal investitura, che quel Contado a lui appartenesse; ma Manfredi pretendendo giustamente, che essendo quello tra le pertinenze del suo dominio, non dovesse in quello esserne turbato, gli fece prima amichevolmente intendere, che se ne astenesse; anzi di certa altra terra, che teneva, appartenente al Contado di Monte S. Angelo, gli fece sentire, che la godesse pure, ma che almeno ne ricevesse da lui l'investitura, con la ricognizione, e con dargli il solito giuramento della assicurazione, altrimenti, che la lasciasse. Borrello insuperbito per lo favore del Papa, disprezzando l'ambasciata di Manfredi, con molta arroganza gli rispose, ch'egli non era nè per lasciar il Contado, nè per riconoscer lui per quella terra, nè per dargli giuramento alcuno. Manfredi ancorchè acerbamente ricevesse tal risposta, non volendo contendere col disuguale, dissimulò l'ingiuria: ed avendo inteso, che Borrello avea mandata molta gente ad invadere il Contado di Lesina, con aver già occupate due terre di quel Contado, non volle usar la forza, ma ebbe ricorso al Pontefice Innocenzio, ch'era allora a Teano, al quale espose il torto fattogli dal Borrello, che sotto pretesto d'aver avuta da lui la concessione di quel Contado, voleva appropriarselo, quando, come appartenente a quello del Monte S. Angelo, era di suo dominio: pregava perciò il Papa, che vi riparasse, perchè non sortissero inconvenienti maggiori.

Il Pontefice, secondo le solite ambiguità di quella Corte, gli rispose a guisa d'oracolo in tal maniera: Se praefato Burrello nihil de Juribus Principis concessisse . Manfredi ben intese da questa risposta, che l'animo del Pontefice era per favorire Borrello, con tutto ciò premendo sempre, che gli fosse renduta sua ragione, gli fu risposto che, giunto a Capua avrebbe fatto esaminare per termini di giustizia quest'affare.

Intanto s'ebbe notizia, che il Marchese Bertoldo da Puglia erasi incamminato per Capua per inchinarsi al Pontefice, onde Manfredi, per non incontrarsi col medesimo, prese commiato dal Papa per tornarsene; e mentr'era in cammino, ecco che da lungi videsi Borrello, che con molta gente armata era in agguato per assalire ad un luogo angusto il Principe. Dicchè avvedutisi que' della comitiva di Manfredi, gli diedero sopra, e postolo in fuga, rimase in quel rumore ucciso Borrello dalle genti del Principe, niente sapendo Manfredi intanto della sua morte.

Essendo arrivato il Papa a Capua, tosto i suoi emuli variando il fatto, facevano reo di questo delitto Manfredi; ed ancorchè per mezzo del Marchese Bertoldo proccurasse purgarsi col Papa, con dire, che attorto ciò se gl'imputava, nulladimanco, avendo scoverto che il Marchese in vece di difenderlo proccurava la sua prigionia, mandò nella Corte del Papa, ch'era allora in Capua, Gualvano Lancia suo zio per difendersi; ed egli intanto nell'Acerra in casa di quel Conte suo cognato ricovrossi.

Il Papa pretendeva che Manfredi si presentasse avanti di lui per conoscere della di lui inquisizione; Manfredi non ripugnava venire, purchè se gli fosse promessa sicurtà della sua persona; ma Gualvano Lancia, avendo penetrato, che il Papa voleva imprigionarlo, nè voleva dargli sicurtà, ma che si fosse presentato avanti il suo Legato; avvisò a Manfredi, che tosto partisse dall'Acerra, non stando ivi sicuro, e che proccurasse andarsene in Puglia, ove coll'intelligenza dei Saraceni, ch'ivi erano suoi partigiani, proccurasse entrar in Lucera, e quivi afforzarsi. Manfredi avuto quest'avviso partì di notte, e seco portossi due fidati giovani Nobili napoletani, che con se avea, i quali furono Marino Capece, e Corrado suo fratello. Questi furono i suoi fidi compagni, che non l'abbandonaron mai in tutto quel pericoloso e disagevol viaggio.

Passati molti pericoli e disagi, finalmente Manfredi giunse in Lucera, ove coll'ajuto de' suoi Saraceni, che erano dentro, infrante le porte, entrò ivi pien di gloria, e da tutta la città fu acclamato, e gridato per lor Principe e Signore, a' quali esponendo le cagioni per le quali erasi allontanato dalle parti del Pontefice, che non come Governadore, ma come Signore voleva usurpare il Regno al Re pupillo suo nipote, dichiarò, la volontà sua non essere altra, che jura Regis nepotis sui, et sua, et libertatem, bonumque statum Regni, et Civitatis ipsius viriliter manutenere, atque defendere, come scrive l'Anonimo. Per la qual cosa tutti gli prestarono giuramento di fedeltà, e d'omaggio, pro parie Regis, et sua.

Il Marchese Bertoldo, Odone suo fratello ed il Legato del Pontefice, udita la sorpresa di Lucera, tosto uniti insieme s'afforzarono colle loro truppe in Troja per resistergli; ma Manfredi, essendosi indi a poco impadronito di Foggia, avanzava alla giornata di forze, e reso formidabile il suo esercito, dopo varie vicende, ruppe finalmente il Legato e l'esercito Papale, prese Troja, disperse le genti d'Odone e del Marchese Bertoldo; e sopra di esse ottenne rimarchevol vittoria. Allora fu, che Manfredi scrisse a' Baroni del Regno suoi partigiani quella lettera, che si legge presso il Summonte, avutala da Pier Vincenti di Brindisi, nella quale minutamente descrivesi questa vittoria, che bisogna averla per vera, siccome per tale l'ebbe Rainaldo ne' suoi Annali: giacchè è conforme a quel, che di tal vittoria diffusamente ne scrisse l'Anonimo.

I. Innocenzio abbandona il Re d'Inghilterra, ed invita il fratello del Re di Francia alla conquista del Regno: se ne muore in Napoli, e svaniscono i suoi disegni.

Innocenzio sin dal mese di giugno dell'anno 1253 erasi colla sua Corte portato in Napoli, dove sentendo i progressi di Manfredi fatti in Puglia, temè non finalmente dovesse discacciarlo da tutte l'altre province del Regno, ch'erano nell'ubbidienza della Chiesa: e vedendo essere inutile ricorrere in Inghilterra, avendo avuta contezza in quel tempo che fu in Francia del valore e prudenza di Carlo d'Angiò Conte della Provenza, fratello del S. Re Lodovico di Francia, spedì a quello Maestro Alberto da Parma suo Cappellano e Segretario, per trattare la sua venuta in Regno, offerendogliene l'investitura. Ma per trovarsi il Re Luigi in Oriente implicato nella guerra Sagra, non potendo dargli ajuto, non potè niente conchiudersi: rimase non perciò Alberto in Francia, e trattò quest'affare sotto i Pontefici successori d'Innocenzio per quattordici anni a fin di ridurre il trattato ad effetto, siccome sotto il Pontificato d'Urbano IV fu ridotto.

Vi è anche chi scrisse che, infermatosi Innocenzio in Napoli, avendo intesa la novella della vittoria ottenuta da Manfredi, se ne morisse di cordoglio a' 7 o, come altri rapportano, a' 13 dicembre di quest'anno 1254. Giace sepolto questo Pontefice nel Duomo di Napoli, ove ancor oggi s'addita il suo tumulo. Pontefice, che potè darsi questo vanto, d'essere stato il primo, che unisse alle pretensioni, che han tenuto sempre i Pontefici romani sopra questo Reame, l'attual possesso di quello. Tutte le spedizioni degli altri Pontefici per conquistarlo furono, o infelicemente terminate o appena mosse dissipate e spente; d'Innocenzio IV può solamente dirsi che per più mesi ne avesse avuto il corporal possesso, e che per altri tanti lo tramandasse al suo successore Alessandro IV. Perciò si leggono di lui tante investiture concedute a molti nostri Baroni, delle quali si è fatta memoria. Pontefice ancor egli intendentissimo di ragion civile, e che ornò la nostra giurisprudenza di molti trattati e volumi.

Fioriva in Italia in questi anni l'Accademia di Bologna sopra tutte le altre; dove Innocenzio essendo giovane apprese la disciplina legale, e nelle leggi civili ebbe per Maestri Azone, Accursio e Jacopo Balduino; siccome nel jus canonico Lorenzo Spagnuolo, Giovanni Teutonico, Jacopo d'Albasio ed Uguccione, principali Dottori di quella età; onde ne divenne un dei più perfetti legisti del suo tempo. E volendo emulare Innocenzio III pur famoso Giureconsulto de' suoi tempi, in mezzo alle cure di quel turbolento ed inquieto Pontificato, non tralasciò questi studj, perchè stando in Lione, scrisse sopra i cinque libri de' Decretali gli Apparati, di che tanto i Canonisti si servono: fondando il principio sopra l'autorità d'Ezechiel profeta: della qual Opera scrivendo S. Antonino dice, ch'ella è di maggior autorità, che la lezione di ciascun libro degli altri Dottori, onde ne venne chiamato padre e monarca delle divine ed umane leggi.

Scrisse le Costituzioni, che fece nel Concilio di Lione, parte delle quali s'hanno nel Sesto libro dei Decretali. Compose un libro, che Ostiense nella sua Somma chiama Autentiche. Ed un altro intitolato Apologetico, contro a Pietro delle Vigne, intorno alla giurisdizione dell'Imperio ed autorità del Papa; e compose anco i Commentarj del vecchio e del nuovo Testamento.

Ebbe in molto pregio gli uomini virtuosi, e letterati, fra' quali Alessandro d'Ales di nazione inglese, ch'essendo già vecchio prese l'abito de' Frati Minori; dal quale fece comporre la Somma della Teologia, ed altre grandi opere, onde ebbe il cognome di Dottore Irrefragabile. Spinse Bernardo da Parma, ed il Compostellano, ch'erano suoi Cappellani, perchè scrivessero sopra il Decretale, e componessero altre opere.

Amava molto le religioni, e fra le altre quella di S. Benedetto, e le due di S. Domenico, e di S. Francesco, le quali a guisa di novelle piante allora fiorivano. Riformò la Regola a' Frati Carmelitani, dandone la cura al Cardinal Ugo. Ordinò, che tutti i Romiti viventi senza Regola, e particolarmente quelli ch'erano per la Toscana, ed anche molti Religiosi di S. Agostino, uniti sotto un Generale, si chiamassero Eremitani. Rinovò in Francia, ed anche in Italia la Religione de' Cruciferi, ch'era quasi spenta; tal che in Italia si rifecero alcuni Monasteri di nuovo, ed in Napoli particolarmente ebbero poi quello di S. Maria delle Vergini fuori della Porta di S. Gennaro, dato loro dalla famiglia Carmignana, e da' Vespoli. Concesse a' Cavalieri de' SS. Maurizio e Lazaro autorità d'eleggere il Gran Maestro nella religion loro; e concesse a' Canonici dell'Arcivescovado di Napoli l'uso della Mitra bianca, quando l'Arcivescovo celebra; ed al Clero le franchigie, che insino ad oggi gode per tutto il Regno.

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