CAPITOLO IX.

Delle nuove leggi introdotte da Carlo I e dagli altri Re angioini suoi successori, che chiamiamo Capitoli del Regno.

Lasciò a noi questo Principe, oltre delle tante altre sue memorie, onde illustrò questo Regno, e molto più la città di Napoli, nuove leggi, che all'uso di Francia non Costituzioni, ma Capitolari, ovvero Capitoli del Regno furon chiamati. Per la famosa Accademia istituita da Federico II in Napoli, e poi da Carlo I arricchita di maggiori privilegi, le Pandette e gli altri libri di Giustiniano avevan invogliati i nostri Professori a studiargli in guisa, che non pure i Dottori, che in que' tempi si chiamavano Maestri, quivi l'insegnavano, ma anche gli Avvocati nel Foro pubblicamente gli allegavano per le decisioni delle cause. E quando quelle leggi non s'opponevano alle longobarde, o alle Costituzioni de' Re normanni e di Federico promulgate da poi, ovvero alle approvate consuetudini del Regno, aveano acquistata tanta forza ed autorità presso i Giudici, che secondo i lor dettami decidevano le cause; non già che vi fosse stata legge scritta, che lo comandasse, ma tratto tratto cominciarono coll'uso ad acquistar forza e vigor di legge, prima per la forza della ragione, da poi per connivenza de' nostri Principi, i quali giacchè volevano, che pubblicamente si leggessero nelle loro Accademie, e che i Giureconsulti gl'illustrassero con commentarii, doveano in conseguenza ancor commendare che s'osservassero nel Foro; e finalmente per le Costituzioni di Federico II il quale dell'autorità delle medesime spesso valevasi, anzi espressamente in più sue Costituzioni, comandò la di loro osservanza, purchè alle Longobarde, alle Costituzioni del Regno e Consuetudini non s'opponessero. Ed in progresso di tempo la loro forza ed autorità s'estese tanto, che finalmente vinse, e mandò in disusanza le leggi Longobarde. Ecco ciò, che sopra questo soggetto ne scrisse Marino di Caramanico, che fiorì a questi tempi; Licet vero Regnum desierit subesse Imperio, tamen jura Romana in Regno per annos plurimos, convenientia Regum, qui fuerunt pro tempore, servata diutius consensu tacito remanserunt, ac imo expressim servantur, et corroborantur in Compilatione Constitutionum istarum, ubi neque Constitutiones hae, seu approbatae Regni Consuetudines non obsistunt.

Non è però, che in questi tempi l'autorità delle leggi Romane fosse stata tanta, che avesse dal Foro discacciate affatto le leggi Longobarde: duravano ancor esse nel Regno di Carlo I siccome durarono ne' Regni de' suoi successori Angioini, ancorchè pian piano andassero in disusanza. In fatti Marino stesso di Caramanico, che fu uno de' maggiori Giureconsulti di questi tempi, e che, come si disse, sotto questo Principe fu nell'anno 1269 Giudice appresso il Capitano di Napoli, ci attesta, che queste leggi a' suoi dì ancor s'osservavano: Ad quod concordant Longobardae leges quae in Regno similiter obtinent. Biase di Morcone, che fiorì a' tempi del Re Roberto, tra le sue opere legali, che lasciò, una fu delle differenze tra le leggi romane e longobarde, compilata ad imitazione di Andrea da Barletta, per togliere anche a' suoi tempi occasione agl'incauti Avvocati di rimaner confusi, se soverchio invaghiti delle Romane, abbandonando le Longobarde, non cagionasser danno a' loro Clientoli, e ad essi scorno e rossore, se nel Foro rimanessero per l'ignoranza di quelle perditori. Abbiamo ancora una carta rapportata dal Tutini, tratta dall'Archivio regale della Zecca, formata in S. Germano nell'entrar, che fece Carlo nel Regno, ove a tenor delle leggi longobarde, che si allegano in quella scrittura, il Monastero di Monte Cassino e suo Abate, cede al Re la pretensione, ch'egli avea di riconoscere anche nelle cause criminali i suoi vassalli. E non pure in Terra di Lavoro, e nelle vicine province d'Apruzzo e del Contado di Molise, queste leggi erano osservate, ma eziandio in quella di Puglia, vedendosi che la compilazione delle Consuetudini di Bari, che dalle leggi Longobarde derivano, fu ne' tempi di Carlo I fatta da que' due Giureconsulti, cioè dal Giudice Andrea di Bari e dal Giudice Sparro, cotanto in pregio tenuto da Carlo, che da Giustiziere di quella provincia lo innalzò ad esser gran Protonotario del Regno. Così ancora nel Principato, in Salerno e nell'altre province osserviamo il medesimo; e se nelle province di Calabria di esse non rimase alcun vestigio, fu perchè lungamente essendo state possedute da' Greci, e poco da' Longobardi, non poterono in quelle mettere sì profonde radici, sicchè avesser potuto avere lunga durata.

Nel Regno adunque di Carlo niente fu mutato intorno all'autorità delle leggi romane e longobarde e non pur queste, ma le Costituzioni di Federico volle inviolabilmente, che si osservassero, quelle, che dall'Imperadore furono promulgate in tempo, che non era stato ancora dal Concilio di Lione privato dell'Imperio e del Regno di Sicilia. Rivocò bensì nell'anno 1271 ed annullò tutte le donazioni, locazioni, concessioni, atti e privilegi conceduti da Federico dopo la sua deposizione, da Corrado, da Manfredi e loro Ufficiali, che non si trovassero da lui confermati, riputandogli Principi intrusi, e tiranni, come quelli, che erano stati privati del Regno dalla Sede Appostolica, la quale n'avea lui investito. Non altrimente di ciò, che fece Giustiniano Imperadore, il quale non tutti gli atti de' Re goti annullò, non quelli di Teodorico, di Atalarico e di Teodato, ma sì bene quegli di Teia, di Totila e di Vitige, i quali avendogli contrastato, e fatta guerra, con opporsi con vigore alla conquista, che intendeva fare d'Italia, furon da lui riputati tiranni, intrusi ed usurpatori.

Carlo adunque dopo avere sconfitto e morto Manfredi, essendosi reso padrone de' Regni di Puglia e di Sicilia, volle con nuove leggi riordinare lo stato di questi Reami, per togliere i disordini, che per le precedute guerre e revoluzioni erano accaduti. Le sue leggi, che Capitoli, ovvero Capitularii si dissero ad imitazione del Regno di Francia, erano drizzate così per l'uno, come per l'altro Reame; onde Capitula Regni Siciliae s'appellarono, non meno che le Costituzioni di Federico; avendone ancora per Sicilia propriamente detta, ordinati alcuni particolari rapportati da Inveges. Ma i Siciliani dopo il famoso Vespro Siciliano, sottrattisi dal giogo de' Franzesi, non conobbero altri Capitoli, che quelli che riceverono da poi da' Re Aragonesi, onde restaron gli altri fatti da Carlo e dagli altri Re Angioini suoi successori, per lo solo Regno di Puglia, detto di Sicilia di qua del Faro; e Carlo Principe di Salerno suo figliuolo, espressamente si dichiara, che i Capitoli da lui stabiliti in tempo del suo Vicariato, erano stati promulgati per lo Regno di Sicilia di qui del Faro, non già per quell'isola.

Il disordine e la confusione, colla quale questi Capitoli furono insieme uniti e mandati poi alle stampe, merita il travaglio, che siamo per soffrire di distinguergli secondo i tempi e le occasioni, nelle quali furono promulgati. Ciocchè era anche necessario farsi per conoscere, onde nascesse tanta varietà, che s'osserva nelle massime, ch'ebbero i nostri Principi Normanni e Svevi nelle loro Costituzioni da quelle, che mostrarono avere questi Principi Angioini ne' loro Capitoli. Poichè riconoscendo Carlo questo Reame dalla Sede Appostolica, come vero Feudo, ed essendosi dichiarato suo uom ligio, ricevè nella investitura quelle dure e gravi condizioni, che sopra si notarono. I Pontefici romani perciò erano tutti accorti, che nel promulgarsi delle nuove leggi, non solo niente si derogasse alla loro pretesa immunità e libertà, ma che tutto si facesse a seconda delle loro massime e dettami; anzi quando lor veniva ben fatto, s'intrigavano ancor essi a stabilirle, come vedremo: perciò si videro nuove leggi contrarie alle Costituzioni di Federico e quindi nacque, che gli Scrittori, che fiorirono a' tempi di questi Re, imbevuti di quelle massime empissero i loro Commentari di dottrine pregiudizialissime alle regalie e preminenze del Re, ed offendessero in tante guise le ragioni dell'Imperio de' nostri Principi. Non dee recar maraviglia il vedere, che essendo Franzesi questi Re, doveano tanto più esser lontani a soffrire tanti oltraggi; poichè la Francia, siccome fu nel precedente libro veduto, a questi tempi era non men gravata, che l'Italia, e la giustizia ecclesiastica in quel Regno avea fatti progressi mirabili, e non prima dell'ordinanza dell'anno 1438 furono le sue intraprese risecate, e ridotte al giusto punto della ragione.

§. I. Capitoli del Re Carlo I.

Tutti gli Scrittori convengono, che il Regno di Carlo non durasse più che diciannove anni e pochi giorni, ma alcuni nostri Professori cominciarono a noverargli dall'anno 1265 con manifesto errore, essendo presso i più appurati Autori costantissimo, che questo Principe a' 6 gennaio, giorno dell'Epifania, dell'anno 1266 fu incoronato Re da Papa Clemente in Roma, e che a' 26 febbraio del medesimo anno fu da lui Manfredi morto, ed occupò il Regno. Altri errarono nell'anno della morte di questo Principe; poichè scrissero che morisse a' 7 gennaio dell'anno 1284. Ciò ch'è falso, essendo egli trapassato in Foggia in gennaio dell'anno seguente 1285. Quindi derivano i tanti errori, che s'osservano nelle vulgate edizioni di questi Capitoli, per non essersi saputo ben fissare gli anni del Regno di questo Principe, come anderemo notando in alcuni.

Moltissimi altri errori s'osservano ancora nel notarsi gli anni del suo Regno di Gerusalemme. Alcuni credettero, che Carlo nell'istesso tempo, che in Roma fu incoronato Re di Sicilia, fosse stato anche intitolato Re di Gerusalemme. Altri, che conobbero quest'errore, ancorchè confessino, che molto tempo da poi per la cessione di Maria, Carlo acquistasse quel titolo, nulladimanco non sono costanti in fissare l'anno, che fu veramente l'anno 1277 come si disse.

Coloro che unirono insieme questi Capitoli nella maniera, che oggi si leggono, non serbarono ordine alcuno nè di tempo, nè di materia; ma alla rinfusa l'affastellarono. Antonio de Nigris , che gli commentò, conobbe il disordine, ma non seppe emendarlo, e volle dietro quelli seguire il suo commento, come gli trovò. Dovendosi adunque attendere l'ordine de' tempi, il primo deve riputarsi quello, che fu da Carlo promulgato per la riforma dello Studio generale di Napoli. Fu quello stabilito per mano del famoso Roberto di Bari Protonotario del Regno di Sicilia nel 1266 primo anno del suo Regno in Nocera de' Pagani, detta però de' Cristiani, dove Carlo colla sua moglie Beatrice erasi portato, la quale in questa città morì, e fu sepolta. Fu inserito da Roberto suo nipote ne' suoi Capitoli, sotto il titolo, Privilegium Collegii Neapolitani Studii, dove si legge con questa data Dat. in Castro Nuceriae Christianorum per manus Domini Roberti de Baro, Regni Protontotarii anno 1266. Di questo Capitolo lungamente fu già da noi discorso, parlando dell'Accademia di Napoli ristorata da Carlo.

Nel secondo e terzo anno non se ne leggono; ma seguono da poi alcuni altri Capitoli stabiliti nel quarto anno del suo Regno, cioè nel 1269 sotto i titoli: De Furtis. De assecurandis hominibus illorum, qui turbationis tempore Corradini a fide regia defecerunt. De poena, et vindicta proditorum, etc. Tutti questi furono stabiliti in Trani, e nell'istesso anno alcuni rinovati in Foggia dopo la rotta data a Corradino, per li quali si dà sicurtà a coloro che avendo aderito alla fazion di quel Principe, cercando perdono, ritornassero all'ubbidienza del Re, eccettuando i Tedeschi, Spagnuoli, Catalani e Pisani, i quali volle, che tosto uscissero dal Regno. Si danno ancora altri provvedimenti per riparare a' disordini accaduti in quel turbatissimo tempo, e s'impongono gravi pene a coloro, che non manifestassero i ribelli.

Nel sesto anno, cioè nel 1271 mentre il Re dimorava in Aversa, ne fu promulgato un altro contro chi ardiva contraer matrimonio co' figliuoli de' ribelli senza licenza della sua Corte: si legge sotto il titolo, Quod nullus contrahat matrimonium, etc. e porta la data in Aversa A. D. 1271, dove con errore si legge Regni nostri anno 7 dovendo dire, anno sexto.

Nel settimo anno, cioè nel 1272 ne furono emanati moltissimi: alcuni in Napoli, altri in Aversa, ed altri in Venosa. Que' stabiliti in Napoli nel mese di marzo di quest'anno, ed in Aversa pure nel medesimo anno, si leggono sotto i titoli: De Violentiis. De poena Violentorum, etc. Per li medesimi si procede con molto rigore contro i perturbatori della pubblica e privata quiete, e si reprime l'audacia di coloro, che assuefatti nelle passate rivoluzioni a vivere di rapina e di violenza, perturbavano lo Stato, allor che era in pace. Quello dato in Aversa sotto il titolo de poena Violentorum, porta nella vulgata questa data: Datum Aversae A. D. 1262 anno octavo: ove si scorgono due errori, uno che in vece di dirsi A. D. 1272 si riporta in dietro dieci anni, quando in quel tempo al Re Carlo non era ancor caduta in pensiero l'impresa del Regno: l'altro errore è, che dovea notarsi il settimo, non l'ottavo anno del suo Regno di Sicilia. L'altro capitolo dato in Napoli porta la data giusta, dicendosi: A. D. 1272 Regni nostri anno septimo. Un altro capitolo leggiamo di Carlo dato in quest'istesso anno a Venosa nel mese di giugno sotto il titolo, De occupantibus res demanii. In quello si conservano le ragioni fiscali, delle quali Re Carlo fu molto geloso, ed attento. Porta la data esatta, leggendosi: Datum Venusiis A. D. 1272 Regni nostri anno septimo.

Nell'ottavo anno del suo Regno, cioè nel 1273 leggiamo un altro suo capitolo sotto il titolo, De testimonio publicorum disrobatorum, etc. Si dà la norma intorno alla pruova di questo delitto, e si stabilisce, che la testimonianza di tre malfattori faccia contro essi tanta fede, quanto quella di due uomini probi. Porta la data: Datum Cav. A. 1273 etc. Regni nostri anno 9. L'Addizionatore Bottis, che numera gli anni di Carlo dal 1265 non è maraviglia, che passasse quest'anno per lo nono del Regno di Carlo, ma dovendosi cominciare dal 1266 deve emendarsi il suo errore, e dirsi: Regni nostri anno ottavo.

Nel nono anno, cioè nel 1274 deve riporsi il primo capitolo, che incontriamo in questo Volume stabilito in Napoli nel mese di febbrajo di quest'anno 1274 che si legge sotto il primo titolo, Statutum editum super Portubus. De Bottis stando nel medesimo errore alla data aggiunge: Regnorum nostrorum anno decimo, dovendo dire anno nono. Si danno in esso molte provvidenze intorno all'estrazione del sale e delle vettovaglie da' porti del Regno, ed alcune istruzioni a' Portolani colle quali devono regolarsi. L'altro capitolo, che segue concernente il medesimo soggetto, sotto la rubrica, Aliud statutum super extractione victualium, stabilito in Brindisi, è molto probabile, che da Carlo in quella città si fosse emanato in questo medesimo anno.

Ne' tre seguenti anni niente si legge di questo Principe; ma nel decimoterzo anno del Regno di Sicilia, e secondo del Regno di Gerusalemme, cioè nel 1278 molti capitoli furono da lui fatti in Napoli, che si leggono sotto il titolo, Quod Officiales jurare debent, con gli altri tre seguenti, che portano questa data: Dat. Neap. A. 1278 die 26 januarii. Gli altri che seguono insino al titolo, De poena rei ablatae, furono parimente in quest'anno fatti in Napoli, leggendosi: Dat. Neap. 2 Decembris. In essi si danno vari provvedimenti intorno a' Giustizieri, ed altri Ufficiali, a' quali, fra l'altre cose, vien rigorosamente proibito di darsi ogni qualunque dono, non ostante qualsivoglia consuetudine. Sotto quest'anno deve collocarsi quell'altro capitolo di questo Re, che si legge in fine de' Capitoli del re Carlo II sotto la rubrica, Ad obviandum fraudibus. Fu quello stabilito da Carlo nell'entrar di passaggio nella Terra di S. Eramo vicino Capua, e porta questa data: Anno D. 1278 mense aprilis sept. ejusdem 6. indictionis. Regnorum nostrorum Hierusalem anno 2 Siciliae vero decimotertio.

Nel decimoquinto, cioè nel 1280, si leggono due capitoli fatti a Lago Pensile, il primo ch'è sotto la rubrica, De non mittendo ignem in restuchiis camporum, fu fatto a' 27 luglio di quell'anno; il secondo a' 9 di agosto, e porta nelle vulgate questa scorrettissima data: Data apud Lacum Pensilem. Anno D. 1222 die 9 augusti 7 Indictionis: Regnorum nostrorum, Hierusalem anno 3 Siciliae vero 15 deve leggersi, A. D. 1280 et Hierusalem anno quarto.

Nel decimosesto, cioè nel 1281, si legge un altro Capitolo pubblicato contro i monetari sotto il titolo, De poena infligenda falsariis monetarum. Fu quello stabilito in Brindisi, e porta questa data: Dat. Brundusii A. D. 1281 mense januarii, ec. Regnorum nostrorum, Hierusalem an. 4 Siciliae vero 17 che deve emendarsi e leggersi, Hierusalem an. 5 Siciliae vero an. 16.

(Fu stabilito in Brindisi; perchè questa Città sin da' tempi dell'Imperadore Federico II avea la Regia Zecca, dove anche Federico fece coniar nuove monete, siccome rapporta Riccardo di S. Germano: Anno 1228 mense Januario denarii novi Brundusii per Ursonem Castaldum in S. Germano dati sunt).

Nel decimo settimo anno del Regno di Carlo, cioè nel 1282, furono da questo Principe moltissimi Capitoli stabiliti in Napoli, che furono gli ultimi. Cominciano da quella rubrica: Constitutiones aliae factae per praedictum D. Carolum Regem Siciliae super bono statu: ove si legge un lungo proemio, che a quelle prepone, nel quale esagera il pensiero, e cura che vuol tenere de' suoi Ufficiali, e di distribuire con ordine a ciascuno le sue funzioni, e prefiggere i limiti, perchè senza nota d'avarizia, ed ambizione adempiano le loro parti. Questi Capitoli sotto varie rubriche collocati, arrivano al numero di cinquantotto. I Principi non si ricordano di governar con giustizia i loro sudditi, se non quando ne sono ammoniti per qualche disgrazia loro sopraggiunta, per la quale si veggono costituiti in istato d'aver bisogno di quelli. La rivoluzione di Sicilia spinse Carlo a dar a' suoi sudditi queste nuove leggi, nelle quali si danno molti lodevoli e saggi provvedimenti per la retta amministrazione della giustizia, per evitare le frodi, ed inique esazioni degli Ufficiali, e per lo buono stato della Repubblica; ordinò perciò che fossero pubblicati per tutti i Giustizierati, e per ciascuna città, terra e castello de' medesimi. Furono con somma maturità, e prudenza stabiliti in Napoli, e portano questa esattissima data: Actum Neapoli A. D. 1282 mense Jun. 10 ejusdem indict. Regnorum nostrorum, Hierusalem anno 6, Siciliae vero 17.

Questi furono gli ultimi Capitoli del Re Carlo, il quale in quest'anno con suo cordoglio vedutosi rivoltata la Sicilia, ed a più avversi casi esposto, distratto perciò in cose di maggior importanza, a tutto altro furono poi rivolti i suoi pensieri, che a far leggi. Fu per gravi, ed importanti affari tutto occupato in Roma, e poi in Francia, ed in Bordeos per quelle cagioni, che si sono dette; e lasciando il governo di questo Regno al Principe di Salerno suo figliuolo, lo creò suo Vicario con pieno ed assoluto potere, ed autorità. Questo Principe nel tempo del suo Vicariato molti provvedimenti diede per lo buon governo, onde avea più che mai bisogno questo Reame, e più Capitoli furono perciò da lui stabiliti.

§. II. Capitoli del Principe di Salerno promulgati in tempo del suo Vicariato, mentre Re Carlo suo padre era assente.

Dappoichè per lo famoso Vespro Siciliano si sottrasse la Sicilia dall'ubbidienza del Re Carlo, il Principe di Salerno tardi s'avvide, che una delle principali cagioni di esso fu l'aspro governo, che i Franzesi facevano di quell'Isola; ed all'incontro avendo saputo, che Re Pietro avea sollevati i Siciliani dall'angarie e pagamenti introdotti a tempo del Re suo padre, e che di buoni e salutari statuti avea fornito quel Regno: volle ancor egli (per rendersi benevoli i Popoli del Regno rimasogli, e togliere dall'opinion di costoro il sinistro concetto, che aveano avuto di suo padre) di nuovi Capitoli pieni di liberalità ed indulgenza provvederlo: avverando ancor egli quella massima, che allora i Principi si ravvedono, e procuran il buon governo de' Popoli, quando le avversità gl'inducono ad aver bisogno di loro, e dubitano della loro fedeltà; e considerando ancora l'obbligo ed il bisogno che si teneva allora del Pontefice Martino, il quale favorendo le parti di Carlo, era tutto impegnato alla ricuperazione del perduto Regno, volle per questi nuovi Capitoli soddisfare così agli uni come all'altro, con dar provvedimenti molto favorevoli per la Chiesa e persone ecclesiastiche, per li Baroni e per li Popoli. Perciò avendo in quest'anno 1283 convocato un Parlamento di Prelati, Conti, Baroni e di molti Regnicoli nel Piano di S. Martino, terra posta in Calabria citra, non già in Apruzzo, come credette il Reggente Moles, ove dopo la partita del padre trovavasi col suo esercito: col consiglio de' medesimi stabilì a questo fine quarantasei Capitoli che portano questo titolo: Constitutiones Illustris D. Caroli II, Principis Salernitani. Vi premette un ben lungo proemio, nel quale va esagerando il pensiero e la cura, che tanto egli, quanto suo padre han tenuto sempre di ben governar i suoi popoli, e rilevargli dalle oppressioni de' suoi Ministri; ma che distratti in cose più ardue e gravi non avean potuto mandar in effetto questo loro proponimento; ma che era già venuto il giorno di lor salute, nel quale egli come esecutore della volontà paterna era per dare ad essi buon guiderdone della loro fede; del che non sarebbero stati partecipi i Siciliani ribelli, i quali per la loro iniquità, essendo mancati dalla ubbidienza e fedeltà, se n'erano resi incapaci ed indegni.

Sieguono da poi venti Capitoli riguardanti i privilegii e le immunità delle Chiese, e delle persone ecclesiastiche collocati sotto questa rubrica: De privilegiis, et immunitatibus Ecclesiarum, et Ecclesiasticarum personarum. Primieramente con termini forti e precisi s'incarica il pagamento delle decime, che si devono alle Chiese ed alle persone ecclesiastiche. II. Che secondo la convenzione avuta tra la Sede Appostolica, ed il Re suo padre (intendendo de' patti accordati, quando il Papa Clemente gli diede l'investitura) i Cherici non siano tratti avanti i Magistrati secolari, se non se per li beni feudali. III. Che le Chiese di tutto il Regno godano de' privilegi conceduti ad esse dalle leggi comuni; cioè che i rei, che a quelle ricorrono per asilo, non possano a forza estraersi, se non ne' casi permessi dalla legge. IV. Che le case de' Prelati, Religiosi e delle altre persone ecclesiastiche, senza la loro volontà non possano dagli Ufficiali occuparsi per cagione di ospidalità; nè in quelle esercitarsi giudizj criminali, anche nel caso che di loro buon volere si dassero. V. Che gli Ufficiali, Conti, Baroni e qualsivoglia altra persona laica non s'intromettano nelle elezioni dei Prelati, nelle collazioni de' Beneficj ecclesiastici, ed in tutto ciò appartenente alle cose spirituali, se non per privilegio o per ragione di jus patronato ad essi s'appartenga. VI. Che i Cherici che vivono chericalmente, non siano astretti comunicare con gli altri nelle collette o in altra qualsisia esazione, non solo per li beni ecclesiastici, ma nemmeno per li patrimoniali, per le porzioni ad essi legittimamente spettanti. VII. Che ciascuno liberamente possa dare, donare o legare alle Chiese le possessioni o altre robe che gli piacerà, purchè non siano in qualche cosa tenute alla sua regal Corte; e se saranno talmente obbligate, sicchè non possa impedirsi la distrazione, s'intendano passare alle Chiese con gl'istessi pesi. VIII. Che i vassalli delle Chiese che sono alle medesime obbligati alla prestazione de' servizi personali, non possano, senza licenza de' loro Prelati, dalla sua Corte, da' Conti, Baroni o qualsivoglia altro, costringersi ad accettar uffici o altri pesi personali. IX. Che tutte le ragioni e privilegi conceduti alle Chiese, ed alle persone ecclesiastiche da' Cattolici ed antichi Re di Sicilia, nella cui possessione sono, si debbano conservare illesi ed intatti: di quelli, de' quali non sono in possesso, si farà nelle Corti competenti senza difficoltà pronta e spedita giustizia. X. Che debbano i Prelati denunziare alla sua Corte tutti coloro, i quali passato l'anno pertinacemente ed in contumacia, persevereranno nelle scomuniche, affinchè per la sua Corte si possa loro imporre le debite pene. XI. Che gli Ufficiali e Commissari della sua Corte non presumano contro la giustizia per turbare le possessioni e le robe che si possedono dalle Chiese, e molto meno toglier loro i beni suddetti. XII. Che gli Ufficiali o altre persone laiche, in niuna maniera s'intromettano nella cognizione de' delitti ecclesiastici; nè impediscano i Prelati o i loro Ufficiali, affinchè quelli liberamente conoscano e puniscano, com'è di ragione. XIII. Che i Prelati, e l'altre persone ecclesiastiche possano far trasportar per mare da una terra all'altra dentro il Regno, grano, legumi ed altre vettovaglie, che pervengano dalle loro massarie, senza pagar dogana e dritto d'esitura. Per le robe comprate siano obbligate pagar solo il dritto della dogana, non già quello dell'esitura: purchè però s'estraggano da' porti leciti e statuiti, e con picciole barche di cento some a basso, e si vadano a scaricare similmente in porti leciti e stabiliti colle debite cautele di responsali e piegiarie. XIV. Che i Giustizieri o altri Ufficiali non traggano ne' giudicii avanti di loro i vassalli delle Chiese, se non se nelle cause criminali, di asportazioni d'armi, di violate difese ed altri delitti, la cognizione de' quali s'appartiene alla Corte regia e suoi Ufficiali. XV. Che i Prelati delle Chiese e le persone ecclesiastiche, ovvero i loro Ufficiali possano per modi legittimi costringere i loro debitori al pagamento de' loro debiti. XVI. Che se i vassalli delle Chiese, che sono obbligati a personali servizi, fuggiranno dai luoghi ove sono tenuti permanere, possano i Prelati e le persone ecclesiastiche, costringergli a fargli tornare a' luoghi onde partirono, e forzargli a permanere in quelli. XVII. Che a' Giudei che fossero vassalli della Chiesa, non si commettano uffici, nè si inferisca gravame o oppressione alcuna. XVIII. Che delle ingiurie, offese e maleficii fatti in persona di Religiosi, Cherici ed altre persone ecclesiastiche, quando non vi siano accusatori, si proceda dalla sua Corte ex inquisitione ed ex officio, affinchè gl'ingiuriatori, e malfattori siano colle debite pene castigati. XIX. Abolendo, cassando, ed irritando la Costituzione di Federico honorem nostri diadematis, ordina, che dovendo i matrimonj esser liberi, sia lecito a' Baroni, Conti ed altri, che posseggon Feudi, ed in generale a tutte le persone, di contraere liberamente essi e loro figliuoli matrimonj, e casare le loro figlie, zie, sorelle e nepoti, senz'assenso della sua Corte, purchè però non si diano i Feudi in dote, ed i matrimonj non si trattino con persone al Re infedeli e sospette. XX. Che i Prelati delle Chiese, che per ragion di quelle tengono Feudi, siccome i Conti e tutti gli altri Baroni possano ne' casi stabiliti nelle Costituzioni del Regno esigere da' loro vassalli i debiti e moderati adjutorj, senza impetrarne altre lettere particolari, bastando questo editto, che a tal fine vien promulgato.

Soddisfatto ch'ebbe il Principe Carlo in cotal guisa il Papa e le persone ecclesiastiche del Regno, passa ora con altri Capitoli a rendersi benevoli i Baroni di quello; concede perciò a' medesimi molti privilegi che si leggono sotto questa rubrica: De privilegiis, et immunitatibus Comitum, Baronum, et aliorum Feuda tenentium. Ordina in prima che oltrepassati tre mesi, non siano obbligati servire più alla sua Corte a proprie spese; ma se oltre di questo tempo la Corte vorrà ritenergli al suo servigio, debba somministrar loro i gaggi e soliti stipendi. II. Toglie anche a lor riguardo l'assenso ricercato da Federico nella allegata Costituzione honorem, perchè possano liberamente contraere i matrimoni. III. Che senza cercar lettere particolari, possano esigere da' loro vassalli i debiti e moderati adjutorj. IV. Che le loro liti, così criminali come civili, che s'agiteranno nella regal Corte, siano essi attori o rei, accusatori o accusati, debbano giudicarsi, assolversi e condennarsi per li Pari della Curia; e le loro cause saranno più pronte e speditamente terminate. V. Si comanda premurosamente a' Giustizieri ed agli altri Ufficiali di Corte, che non commettan a' Baroni niuna esecuzione, che dovesse mai farsi attinente a' servizi della medesima, che non convenga allo Stato ed alla loro nobile condizione.

Rimaneva unicamente, che si fosse, oltre a' Prelati ed a' Baroni, dato compenso a tutti i Cittadini, borghesi ed agli altri uomini del Regno universalmente, affinchè tutti si rilevassero dalle passate gravezze, e tutti sperimentassero la clemenza e benignità del Principe; perciò egli che intendeva cattivarsi la benevolenza di tutti, concedè a' medesimi molti privilegi, e per mezzo di molti utili provvedimenti riordinò lo stato delle cose, togliendo molte gravezze e molti altri perniziosi abusi. Questi altri Capitoli vengono perciò arrolati sotto quella rubrica: De privilegiis, et immunitatibus Civium, burgensium, et aliorum hominum, a Faro citra.

Il primo e principal beneficio era da tutti reputato di rilevar i popoli dalle tante imposizioni, ond'erano gravati. Perciò egli con particolar editto, da doversi inviolabilmente osservare, statuì e comandò che nelle collette, taglie, pesi, imposizioni generali o speziali, ovvero sovvenzioni di qualsivoglia nome, s'osservi lo stato, l'uso ed il modo, il quale nel tempo del Re Guglielmo II era osservato, secondo che nelle convenzioni avute tra la Sede Appostolica ed il Re suo padre, nel tempo della collazione ad esso fatta del Regno, più pienamente si contiene; il quale stato, modo ed uso, perchè non può costare, essendo che niuno o pochi sopravvivono, li quali possono di ciò rendere testimonianza: ordinò il Principe che s'osservasse quello, che dal Pontefice Martino sarà dichiarato, determinato e disposto; e perchè presto s'ottenesse tal determinazione, promette di mandar tosto al Papa suoi Ambasciadori, dimodochè per tutto il mese di maggio vegnente al più tardi siano là; tra il qual termine gli uomini di qualsivoglia provincia mandino pure due Ambasciadori de' migliori, più ricchi e fedeli di tutta la provincia ad assistere, ed impetrare la suddetta; la quale seguìta, egli promette per parte del Re suo padre e sua, e de' suoi eredi, di inviolabilmente osservare. Di vantaggio da ora rimette totalmente tutti i residui di qualsivoglia colletta, a' quali fossero tenute alcune province e terre, nè di molestarle nemmeno avanti la suddetta determinazione. Promette in fine di non dimandar cos'alcuna; eccetto ne' casi compresi nelle Costituzioni, e che non saranno astretti, nemmeno a titolo di prestanza, non volendo, a prestazione alcuna.

Questa determinazione però non seguì nel tempo del Pontefice Martino, ma sì bene ne' tempi di Papa Onorio suo successore, come diremo; la quale nemmeno ebbe effetto; poichè ne' tempi di Napodano a questi prossimi, non osservavasi niente di ciò, anzi questo Scrittore esclama, che in ciaschedun mese sei collette si esigevano, scorticando gli Ufficiali regi i poveri Regnicoli usque ad sacculum et peram, et tegularum evulsionem .

Secondo, ordinò, che si coniasse nuova moneta di buon conio, non gravando perciò i popoli di nuova colletta, ma che si sarebbe data a' Mercadanti e cambiatori, che vorranno spontaneamente riceverla: e che quella non s'altererebbe, ma il suo valore sarebbe stato perpetuo ed immutabile. III. Minorò la pena stabilita per li clandestini omicidi. IV. Volle, che il capitolo statuito per li baroni intorno la libertà de' matrimonj, s'osservasse per tutti indistintamente. V. Che non più s'ammettessero le calunniose accuse dagli Ufficiali della sua Corte. VI. Che tenendo alcuno occupata qualche possessione appartenente alla Corte, non sia di fatto di quella privato, se non prima sarà in giudicio stato convinto con modi legittimi e dalla legge richiesti. VII. Che non siano i Popoli gravati dagli Ufficiali per li servizi della Corte, che non sono convenienti allo stato e grado delle persone. VIII. Che niente si paghi per le soscrizioni delle sentenze, così quelle profferite dalla G. Corte, come da' Tribunali di tutti gli altri Giustizieri e Giudici. IX. Che l'Università non sieno tenute all'emenda de' furti fatti da persone particolari. X. Che l'Università non siano costrette a proprie spese portar il denaro alla Corte, ma a spese della medesima. XI. Che non siano gravate per lo vitto degli Ufficiali, quando si porteranno ivi a regger Corte. XII. Si dà norma, e prescrivesi tassa di quanto debba pagarsi per li diritti delle lettere regie e degli altri atti e spedizioni. XIII. Che gli Ufficiali della Regia Corte non comprino cavalli o muli in quella provincia ove sono, ma se ne provvedano fuori della provincia. XIV. Che le figliuole de' ribelli, che non han seguitato, nè seguitano la paterna malizia, si possano maritare de' beni non feudali senza l'assenso della Corte. XV. Che niente si paghi per lo suggello del Giustiziero o d'altro Ufficiale. XVI. Che i Carcerieri niente più esigano da' carcerati se non quanto fu tassato dal Re Carlo suo padre. XVII. Che l'Ufficio del Maestro Giurato colla Bagliva non s'esponga venale. XVIII. Che non siano molestate nelle loro doti le mogli di coloro, che per le loro colpe furono banditi dal Regno. XIX. Che non si costringa alcuno a riparare i vascelli della Corte per certo prezzo. XX. Che dall'Università delle terre deputate alla reparazione de' castelli, s'esiga solamente tanto denaro, quanto sarà necessario, nè s'obblighino a nuovi edificii. XXI. Che affinchè i fedeli del Regno non siano gravati da' Forastieri, si facciano inquisizioni per trovar i termini antichi delle Foreste, e si pongano i confini alle medesime ed i custodi. Per ultimo, che i Giustizieri delle Regioni non facciano presedere nelle Fiere, i loro famigliari, ma i Maestri Giurati de' luoghi, ove si fanno, debbano custodirle.

Stabiliti in cotal modo questi Capitoli, comandò il Principe Carlo, che insieme colle Costituzioni novelle da suo padre promulgate in Napoli l'anno precedente 1282 s'osservassero inviolabilmente, siccome divenuto Re volle ancora confermargli; e perchè con effetto da ora ciò si mandasse in esecuzione, ne mandò a' Prelati, Baroni ed alle Università de' luoghi più esemplari, perchè per tutto si pubblicassero. Ecco com'egli dice nel fine: Ut autem ea quae communi utilitate sancita sunt, communiter sciantur ab hominibus et generaliter observentur, de eisdem Constitutionibus singulis Praelatis, Baronibus, ac locorum Universitatibus sub sigillo pendenti Vicariae copiam fieri volumus et mandamus. Data in Campis in planitie S. Martini A. D. 1283 die penult. martii undecimae indictionis.

Il Pontefice Onorio IV nell'anno 1285 trascegliendo da questi Capitoli solamente quelli, che facevano a favor delle Chiese e delle persone ecclesiastiche, e della loro immunità, con aver mutate alcune cose, con particolar sua Bolla, mentre Carlo II era prigione in Ispagna, volle pure confermargli comandando, che quelli inviolabilmente s'osservassero. L'original Bolla si conserva nell'Archivio della Trinità della Cava; ed il Re Ferdinando volle nell'anno 1469 farla inserire nella Prammatica 2 de Clericis, seu Diaconis selvaticis, che si legge impressa nel primo tomo delle nostre Prammatiche. Comunemente vengono chiamati anche questi, Capitoli di Papa Onorio, con manifesto errore; poichè questi non sono i Capitoli di Onorio, che fece nel medesimo anno nel tempo della prigionia di Carlo, mentr'era Legato nel Regno il Cardinale di Parma: ma tutto altri, siccome diremo quando de' Capitoli di questo Pontefice nel seguente libro ci toccherà ragionare.

§. III. Capitoli del Re Carlo II.

Queste furono l'ultime leggi del Principe di Salerno, che stabilì come Vicario del Regno, poichè la sua prigionia gl'interruppe il corso del governo; e morto suo padre, trovandosi egli ancor prigione in Aragona, ne' seguenti anni non si fece altro, per mezzo del Re d'Inghilterra, che trattarsi della sua libertà; finalmente con quelle condizioni, che si diranno nel seguente libro, fu sprigionato e tornato in Italia, fuvvi onorevolmente accolto da Niccolò IV che ad Onorio successe, e nel giorno di Pentecoste a' 29 maggio dell'anno 1289, coronato Re di Sicilia e di Puglia. Partissi da poi dalla Corte del Papa, ed a Napoli fece ritorno, ove con molta festa e magnifiche pompe ricevuto, a' passati disordini tosto pensò dar riparo.

L'ordine de' tempi non comporterebbe, che si dovesse favellar qui de' Capitoli di questo Re, siccome degli altri Angioini suoi successori; ma per non tornar di nuovo a trattare de' Capitoli del Regno, che formano oggi una delle principali parti delle nostre patrie leggi, perciò gli ridurrò qui tutti insieme; e perchè s'abbia ancora un'intera e compita istoria di quelli siccome degli Autori, che con varie note e commenti gl'illustrarono.

Carlo adunque, avendo ne' suoi cinque anni di prigionia sofferto il Regno varie mutazioni e disordini, quando fu a quello restituito, pensò immantinente con nuove leggi a ripararlo. Nel proemio, che a quelle prepone tutto ciò rapporta e narra, che precedente consiglio, e discussione avuta co' Prelati, Conti, Baroni e Sapienti del Regno in Napoli, avea quelle stabilite. Cominciano dal titolo: De inquisitionibus; e per Molti altri titoli seguenti, non ad altro fu inteso, che a regolare i giudizj criminali, e come debbano istituirsi: le pruove, che vi si ricercano: di che vaglia siano i tormenti e le confessioni de' rei: si stabiliscono le pene contro coloro, che portano armi proibite: contro i forgiudicati ed i di loro figliuoli; e contro gli omicidi. In breve, tutto ciò che concerne a' delitti, ed il modo di provargli e di punirgli.

Disbrigato delle cose criminali, passa alle civili. Proibisce di potersi pignorare i buoi aratori. Fa una lodevol legge intorno all'invenzion de' tesori, contraria a quella del Re Guglielmo, volendo, che gl'inventori non siano inquietati, trovandogli nel fondo proprio: se nel comune, o del Fisco, se gli dia la metà: se nell'alieno, niente al Fisco, ma la metà all'inventore, e l'altra al padrone del fondo: dichiarando per tesori non intendere le miniere dell'oro e dell'argento e degli altri metalli, siccome delle saline. Inculca il pagamento delle decime. Stabilisce pene pecuniarie a coloro, che passato l'anno persisteranno nella scomunica. Prescrive il modo a' Feudatari morti, o con testamento, ovvero ab intestato, di statuire il Balio. Provvede alle doti delle donne, e sopra alcuni abusi dà utili provvedimenti. Conferma ancora con nuove leggi tutti i Capitoli, ch'egli fece mentre fu Vicario nel piano di S. Martino, dicendo: Capitula eadem constitutione praesenti in perpetuum valitura, de nostra mera scientia, confirmamus et defectum omnem, si quis eis tunc infuit, qui Regni potestate Vicaria, non Dominica fungebamur, Regis dignitatis authoritate supplemus . E perchè i suoi Popoli apprendessero quanto gli fosse a cuore la giustizia e la riordinazione delle province in miglior e più utile stato, ordina, che il Maestro Giustiziero ed i Giudici della G. Corte debbano sei settimane dell'anno scorrere le province da lui destinate, cioè in tutto l'Apruzzo in Terra di Lavoro, e Principato, in Capitanata e Basilicata, in Terra di Bari e Terra d'Otranto. Vuole, che dimorando nelle province inquirano, correggano gli eccessi de' Giustizieri di quelle e de' loro Ufficiali; e parendo loro di doversi ammovere, ne diano a lui distinta notizia per darvi provvidenza.

Per mostrarsi grato a' Conti e Baroni del Regno, proroga i gradi della successione ne' loro Feudi. E per evitare le dissensioni e le querele, che gli erano fatte per conto de' confini de' tenimenti, de' Baroni, delle Chiese e de' privati, ordinò, che da' Registri del suo Archivio, ove si tratta delle confinazioni, se ne formassero due libri, uno ne rimanesse nella sua camera, e l'altro in un gruppo di ferro s'appendesse nella più famosa Chiesa della città. Levò molti abusi intorno all'esazione delle collette; ed in fine fu tutto inteso, perchè i suoi sudditi non fossero gravati indebitamente d'ingiuste esazioni.

Tutti questi Capitoli furono stabiliti in Napoli nel primo anno, ch'egli vi tornò libero: e perciò portano questa data: Data Neap. A. D. 1289.

Oltre di questi, se ne leggono molti altri, sparsi tra quelli del Re Roberto suo successore, fatti negli anni seguenti, come quello, che si legge nella rubrica, Quod in poenis pecuniariis, etc. L'altro sotto il titolo, Quod sit licitum accusatori, etc. L'altro sotto il titolo, Exceptione excommunicationis, etc. ed alcuni altri. Ed in fine quello, che fu da lui pubblicato nel penultimo anno del suo Regno, che si legge tra' Capitoli di Roberto, sotto la rubrica, Literae Domini Regis, che porta questa data: Dat. Neap. per D. Bartolomeum de Capua A. D. 1307 die 12 decembris 11 indict. Regnorum nostrorum anno 22.

Si valse questo Principe in formargli non già d'Andrea d'Isernia, come credette Giovanni Antonio Nigris, ma della penna del celebre Giureconsulto Bartolommeo di Capua, Protonotario del Regno, innalzato da lui, e più dal suo successore Roberto a' primi gradi ed onori del Regno.

§. IV. Capitoli del Re Roberto.

Questo Principe, che per la sua saviezza fu riputato un altro Salomone, ci lasciò ancora molte utili e savie leggi: di lui come Vicario di suo padre non ne abbiamo, ma solo quando fu incoronato Re. Il suo figliuolo Carlo Duca di Calabria costituito da lui Vicario del Regno, emulando la sua sapienza e giustizia, ne fece anche alcune in vita del padre. Fabio Montelione da Gerace scrisse, il Re Roberto in tutto il tempo di sua vita non aver fatti più che cinquanta di questi Capitoli; e questo numero veramente si vede nell'edizione vulgata; ma molti altri se ne leggevano nell'originai manuscritto, che, come rapporta de Bottis, si conservava a suoi tempi da Baratuccio Avvocato fiscale; ed alcuni altri ne rapporta ancora Goffredo di Gaeta nella sua Lettura a' Riti della regia Camera della Summaria.

Cominciò Roberto a regnare nell'anno 1309, e le prime sue leggi furono eziandio dettate da Bartolommeo di Capua Protonotario del Regno, nel qual posto non solo fu confermato da Roberto, ma ingrandito d'altri onori, come colui, che l'avea così ben servito in Avignone nella famosa contesa che Roberto ebbe col nipote per la successione del Regno.

Fu Bartolommeo creato Logoteta e Protonotario del Regno nell'anno 1285, che fu il primo anno del Regno di Carlo II, e visse con questa gran dignità insino al 1328, anno della sua morte. Ricavasi esser quella accaduta in quest'anno dall'iscrizione del suo tumulo, che prima si leggeva nella maggior chiesa di questa città nella sua cappella, ov'è sepolto; e se bene sin da' tempi, ne' quali scrisse il Summonte, questa lapide fosse stata altrove trasferita, si legge però l'iscrizione, oltre nel Summonte, in Cesare d'Engenio, e nel Toppi, in Pietro Stefano, il quale scrisse in tempo, quando non era stata ancora di là tolta, dove fra l'altre cose si leggono queste parole:

Annis sub mille trecentis BIS ET OCTO,

Quem capiat Deus, obiit bene Bartholomaeus.

Ma non è da tralasciare che Pietro Stefano istesso portando in volgare questa iscrizione, traduce queste parole: Annis sub mille trecentis bis et octo, in cotal maniera: Nell'anno mille trecento sedici; donde si diede occasione al Summonte, a Pier Vincenti ed al Toppi, di scrivere anch'essi che Bartolommeo di Capua morisse nel 1316. Ciò che ripugnerebbe a tanti nostri Capitoli, che abbiamo del Re Roberto, istromentati per mano del Gran Protonotario Bartolommeo dopo l'anno suddetto, leggendosene del 1318, 1324 e 1326. Quindi altri interpetrarono in altra guisa quelle parole bis et octo, non già di sedici perchè avrebbesi dovuto dire bis octo, non già bis et octo; ma di ventotto; poichè secondo la goffaggine di que' tempi, al mille aggiungendo i trecento, ed a questi, due e poi altri otto, fanno appunto questo numero di 1328.

I primi Capitoli del Re Roberto sono quelli che istromentati per Bartolommeo di Capua cominciano dal terzo anno del suo Regno. Questi sono il Cap. Robertus etc. Ad quietem publicam, sotto il titolo, Ut Comites, et Barones, etc. stabilito nel terzo anno del Regno di Roberto, dove nella vulgata edizione evvi errore; poichè in vece di leggersi A. D. 1311, si legge 1326 che sarebbe non il terzo, ma il diciottesimo anno del Regno di Roberto. Il Cap. Robertus, etc. Privilegia, sotto il titolo, De oblationibus, privilegio Clericorum, etc. Il Cap. Robertus etc. Pro bono statu, sotto il titolo, De exceptione excommunicationis. Il Cap. Importuna petentis, sotto il titolo, De non creandis Judicibus in perpetuum. Il Cap. Robertus, etc. Ne per exemptionis, sotto il titolo, Quod testes excommunicati debent absolvi ad cautelam, che oggi noi diciamo, cum reincidentia. Il Cap. eodem studio, sotto il titolo, Quod in causis criminalibus, etc. Il Cap. Robertus, etc. Quia nulla legis, sotto il titolo, Quod Justitiarius possit cognoscere de civilibus causis Ecclesiae, etc. Il Cap. Robertus, etc. Nolumus, sotto il titolo, Quod Barones, vel Feuda tenentes, etc. Il Cap. Robertus, etc. Licet contra, sotto il titolo, Quod receptatores pari poena puniri debent, qua et malefactores. Il Cap. Statuimus, sotto il titolo, Quod liceat specialibus personis, etc. Il Cap. Robertus, etc. Frequenter ex abundanti, sotto il titolo, Confirmatio constitutionum per genitorem Regis Roberti editarum. Il Cap. Juris censura, sotto il titolo, Capitulum de arbitrio concesso Officialibus, che siccome a proposito notò De Bottis, fu dato per Bartolommeo di Capua nell'anno 1313. Il Cap. Robertus, etc. Si cum Sceleratis, sotto la rubrica Litera arbitralis, che porta la data del 1313, e l'anno quinto del Regno di Roberto. Il celebre Cap. Ad regale fastigium, sotto il titolo, Quod Justitiarius possit cognoscere de gravaminibus illatis per Praelatos, vel alias Ecclesiasticas personas, istromentato per Bartolommeo di Capua nell'anno 1314 nel sesto anno del Regno di Roberto, come accuratamente e senz'errore notò ivi De Bottis. Il Cap. Robertus, etc. Inter belli discrimina, sotto la rubrica, Capitulum contra exceptionem hosticam, etc. che nell'edizione vulgata porta una data scorrettissima, cioè dell'anno 1416 quando non pur Bartolommeo, ma Roberto, anzi la sua nipote Giovanna ed il suo successore erano morti, onde deve emendarsi e leggersi 1316. Il Cap. Robertus, etc. Pridem, per diversas, che siegue sotto la medesima rubrica. Il Cap. Robertus, etc. Ad consultationem Magistri Justitiarii, sotto il titolo, Quod accusatore desistente, Curia ex officio procedere potest. Il Cap. Robertus, etc. Exercere volentes, sotto il titolo, De componendo. Il Cap. Provisa Juris sanctio, sotto il titolo, Quod latrones, disrobatores stratarum, et piratae omni tempore torqueri possint. Il Cap. Robertus, etc. Quorundam expositio, che si legge tra' Capitoli del Re Carlo II sotto la rubrica, Litera super Justitia retardata. Il Cap. Robertus, etc. Ordinata justitia, sotto il titolo, Quod Bajuli Judices exerceant officia, etc. che fu fatto mentr'era vivo Bartolommeo di Capua, giacchè sopra questo capitolo si leggono le sue note. Il Cap. Robertus, etc. Salubrem statum, ovvero Frequenter ex abundanti, sotto la rubrica, Hoc capitulum est ad confirmationem Capitulorum factorum per Regem Carolum: ed il Cap. Robertus, etc. Alienationis actus, sotto la rubrica, Non est capitulum, sed litera declarans juris ambiguitatem, etc., istromentato pure per Bartolommeo di Capua, A. D. 1326, die 5 Decemb. 10 indict. Regnor. nostr. A. 18.

Questi sono i Capitoli stabiliti dal Re Roberto per tutto l'anno 1326, decimo ottavo del suo Regno, per mano di Bartolommeo di Capua suo Gran Protonotario. Se ne leggono ancora alcuni altri del medesimo Principe; ma poichè riguardano gl'interessi del suo regal patrimonio furono perciò istromentati non dai Protonotarii, ma per li Maestri Razionali, a' quali s'apparteneva la cura delle cose fiscali; poichè, siccome notò assai a proposito Pier Vincenti nel Teatro dei Protonotarii del Regno, tale era lo stile sempre praticato eziandio da poi sotto il Regno degli Aragonesi. Questi sono il Cap. Robertus, etc. Novis morbis, sotto il titolo, De compilatione, et compositione rationum Officialium, istromentato in Napoli nel 1317, nono anno del Regno di Roberto per li Maestri Razionali, come si legge nella data: Data Neap. Per Magistros Rationales Magnae Curiae nostrae, A. D. 1317, die 20 Septembris, 1 indict. Regnorum nostrorum anno nono. Il Cap. Robertus, etc. Fiscalium functionum, sotto il titolo, De appretio, et modo faciendis in terris, et locis Regni; che parimente portano questa data: Datum Neap. Per eosdem Magistros Rationales Magnae Curiae, etc. A. D. 1333, die 7 Augusti, 1 indict. Regnorum nostrorum anno vigesimo quinto. Ed il celebre Cap. Apud Fogiam, sotto il titolo, Quid fiet mortuo Barone.

Tutti li Capitoli, che poi leggiamo stabiliti da Roberto, si vedono istromentati per Giovanni Grillo da Salerno Viceprotonotario del Regno, nelle date de' quali occorrono nell'edizione vulgata alcuni errori. Morto Bartolommeo di Capua nell'anno 1328, ancorchè il Re Roberto in vita del medesimo avesse innalzato al sommo onore di Protonotario Giacomo di Capua suo figliuolo con provvisione di 108 once d'oro l'anno, tanto che con esempio nuovo furono veduti in un istesso tempo due Gran Protonotarii; nulladimanco essendo Giacomo premorto al padre, estinto da poi Bartolommeo, carco di gloria e d'anni, questo supremo Ufficio per molto tempo rimase vacante, sin che nell'anno 1343 non fu provvisto nella persona di Ruggiero Sanseverino. Intanto veniva esercitato da' Viceprotonotarii, onde dopo la morte di Bartolommeo, furono un dopo l'altro eletti Nicolò Frezza, Andrea Comino e Giovanni Grillo da Salerno; di quest'ultimo si veggono tutti i seguenti Capitoli del Re Roberto istromentati. I due primi si leggono sotto il titolo, De non procedendo ex officio, nisi in certis casibus, et ad tempus; e portano questa data: Data Neap. per Joan. Grillum de Salerno Juris civilis professorem, Vicesgerentem Protonotarii Regni Siciliae A. D. 1328 (come dee leggersi) die 10 Feb. 12 Indic. Regn. nostrorum anno 20. L'altro si legge sotto il titolo, De indebitatoribus victualium, et usuris, che porta la medesima data, come quello, che fu stabilito nel'istesso anno a' 24 del mese di luglio. Il quarto è il Cap. Ut inter subiectos, sotto il titolo, De prohibita portatione armorum; istromentato per mano del Viceprotonotario Grillo nell'anno seguente, che fu il ventesimo primo del Regno di Roberto; e deve emendarsi la data, che porta la vulgata edizione, ed invece di A. D. 1300 deve leggersi, 1329.

Sieguono da poi tre editti pubblicati da Roberto nell'anno seguente 1330. I due primi nel mese di maggio, ed il terzo in giugno. Il primo è sotto la rubrica: De non componendo super receptatione bannitorum cum Universitate, personisque singularibus. Il secondo ha questo titolo: Tenor secundi edicti, de damnis emendandis per Universitatem. Ed il terzo sotto la rubrica: Tenor tertii edicti, de familia Officialium qualiter esse debent. Portano questi editti le date giuste nell'anno 1330 ventesimosecondo anno del Regno di Roberto. Nel medesimo anno furono stabiliti due altri Capitoli, che si leggono, il primo sotto il titolo, De non componendo super crimine capitali, il secondo sotto l'altro, Quod possit Regis Curia in Terris non jurisdictionis.

Nell'anno seguente 1331 fu da Roberto per mano del Viceprotonotario Grillo stabilito quel famoso capitolo, col quale si proibiva l'estrazione de' carlini d'argento fuori del Regno, che si legge sotto la rubrica: De prohibita extractione carolenorum argenti de Regno; e deve emendarsi la data, ed in vece d'A. D. 1303 deve leggersi 1331 che fu il ventesimoterzo anno del Regno di Roberto.

Nel seguente anno 1332, fu pubblicato per mano del medesimo da Roberto quell'altro famoso editto, col quale per dar rimedio a' frequenti e scandalosi disordini, che in Napoli avvenivano per alcuni ribaldi, i quali sotto pretesto di matrimonio rapivano dalle loro case le vergini, avendo convocate le Piazze della città, proibì sotto severissime pene delitti sì enormi, del quale non si dimenticò il Summonte nella sua istoria, come quello, che contiene i cognomi di molti Nobili de' Seggi di Capuana, Nido, Portanova, del Mercato, di Porto, di Somma Piazza, di Salito, di Arco, e di S. Arcangelo. Si legge sotto la rubrica: Statutum contra Neapolitanos maleficos rapientes virgines sub colore matrimonii; e deve emendarsi la data, ed in vece di Regnorum nostrorum A. 14. leggersi, A. 24.

Nel 1334 furono stabiliti due altri Capitoli; il primo in agosto, ch'è sotto il titolo, De non componendo in delictis corporaliter puniendis; ed il secondo in ottobre, fatto per dichiarazione del medesimo, ch'e sotto la rubrica: De declaratione constitutionis prohibentis compositionem in criminalibus. Ambedue nella vulgata edizione portano giuste date, come quelle che esattamente notano l'anno ventesimosesto del Regno di Roberto.

Nell'anno seguente 1335 furono dal Re Roberto per Giacomo Grillo suo Viceprotonotario emanati cinque famosi e celebri editti. Il primo in gennaio di quest'anno, che si legge sotto il titolo, De revocatione occupatorum demanii regii ad ipsum demanium, deve correggersi la data, e leggersi: Data Neap. per Jo. Grillum A. D. 1335 die 16 januar. 3 indict. Regnorum nostrorum anno 27 non 26 come si legge nella vulgata. Il secondo sotto il medesimo mese ed anno, ch'è sotto il titolo: De pecunia Fiscali non tenenda per Officiales post amotionem ab officio: dove parimente deve la data correggersi e leggersi: Regnorum nostrorum A. 27. Il terzo si legge sotto la rubrica: De non recipiendis vassallis demanii in Terris Baronum. Il quarto sotto il titolo: Quod Clerici conjugati solvant collectas regias; ed il quinto sotto il titolo, Quod non extrahantur lignamina extra Regnum.

Sieguono da poi que' famosi Capitoli, donde alla violenza degli Ecclesiastici si dà riparo. Questi Capitoli, che volgarmente chiamiamo Rimedii, ovvero Conservatoriali, sono quattro. Il primo fu stabilito da Roberto in tempo che vivea il famoso Giureconsulto Bartolommeo di Capua, e da lui come Protonotario del Regno istromentato: comincia Ad regale fastigium, e fu da noi di sopra notato. Sieguono ora i tre altri pubblicati appresso. Il secondo comincia: Charitatis affectus, drizzato da Roberto a' Giustizieri d'Apruzzo ultra flumen Piscariae, e si legge sotto la rubrica Conservatorium pro laico contra clericum. Il terzo comincia: Finis praecepti charitas, drizzato a' Giustizieri di Val di Crate e Terra Giordana, e si legge sotto la rubrica: Conservatorium pro clerico contra clericum. Ed il quarto, che fu indrizzato al Reggente della Vicaria ed a' suoi Giudici, comincia: Omnis praedatio, e si legge sotto il titolo, De spoliatis pro laico contra clericum. Di questi Capitoli ci tornerà a noi occasione di diffusamente ragionare ne' seguenti libri, quando del Regno e della giustizia e sapienza di Roberto dovremo favellare; siccome delle Quattro lettere arbitrarie, che parimente riconoscono per Autore questo Principe, e che fra questi Capitoli l'abbiam semplicemente accennate.

Finalmente abbiamo di Roberto quell'altro suo famoso capitolo, col quale si prende cura e pensiero della riforma dell'Accademia napoletana; comincia: Grande fuit, e si legge sotto il titolo: De reformatione Studii Neapolitani, et interdicendo particulares Scholas in utroque jure ubilibet infra Regnum. Quell'altro capitolo che comincia, Pondus aequum, e che comunemente viene attribuito alla Regina Giovanna sua nipote, leggendosi sotto questa rubrica, Litera Reginae Joannae, credette De Bottis, che sia pure del Re Roberto, e testifica egli aver nel registro trovato concepito il principio del medesimo in cotal guisa: Robertus, etc. Justitiariis Principatus ultra Serras Montorii praesentibus et futuris, etc.

Nè dobbiam tralasciare un altro editto di Roberto, col quale fu proibito a' Chierici il portar armi, li quali, dopo essere stati tre volte ammoniti, se non si emenderanno, ordinò che fossero loro tolte. Non l'abbiamo tra questi Capitoli, ma sibbene tra le nostre prammatiche. E se ora vediamo il contrario praticarsi, è parte abuso, parte perchè in processo di tempo fu accordata a' Vescovi la famiglia armata, di che altrove ci tornerà occasione di ragionare.

Questi sono i cinquanta Capitoli del Re Roberto, che abbiamo impressi nel corpo delle leggi del Regno, e che hanno presso di noi ne' Tribunali della città e del Regno tutta l'autorità e tutto il vigore; e tutto ciò che per le posteriori leggi non si trova corretto, o mandato in disuso, dobbiamo inviolabilmente osservare.

Sieguono ora i Capitoli del Duca di Calabria suo figliuolo, che fece mentre da suo padre gli fu dato il governo del Regno, creandolo suo Generale Vicario.

§. V. Capitoli di Carlo Duca di Calabria Vicario del Regno.

Re Roberto, convenendogli di portarsi ora in Provenza, ora in Fiorenza o Genova, e sovente all'impresa di Sicilia, vedendo in Carlo suo figliuolo risplendere molte virtù, e sopra tutto la religione, la giustizia e la prudenza, quasi dall'adolescenza gli pose il governo di tutto il Regno in mano, creandolo suo General Vicario; ed egli adempì così bene, e con tanta lode e prudenza le sue parti, che il Re suo padre ne vivea sommamente soddisfatto. Egli pose in maggiore splendore e floridezza il Tribunale della Vicaria, creandovi per M. Giustiziere Filippo Sanguineto con provvisione di 150 once d'oro l'anno, assegnando ancora 90 once l'anno per istipendio di dieci uomini a cavallo e sedici a piedi per guardia e per maggior decoro di questo Tribunale. Ebbe in costume ogni anno cavalcare per lo Regno per riconoscere le gravezze che facevano i Baroni ed i Ministri del Re a' popoli. E per mezzo di varii editti, che abbiamo inseriti tra' Capitoli del Re Roberto suo padre, diede savio provvedimento a molte cose riguardanti il buon governo del Regno e retta amministrazione della giustizia, della quale fu egli amantissimo.

Il primo de' suoi Capitoli si legge contro i Baroni ed altri recettatori di sbanditi e d'altri uomini facinorosi, che turbavano la pace del Regno, imponendo loro pena di morte e della perdita de' loro beni: fu questo drizzato al Giustiziere di Terra d'Otranto, ed istromentato per Bartolommeo di Capua, di cui, sopra il medesimo, abbiamo ancora alcune note, e porta la data, apud Hospitale Montis Virginis, Santuario allora reso assai celebre in Terra di Lavoro per la magnificenza e pietà de' Re angioini, dove sovente facevan dimora.

Il secondo, pure istromentato per Bartolommeo di Capua, è il celebre Cap. Ex praesumptuosae, che leggiamo sotto la rubrica: Quod Feudatario decedente absque legitima prole, possessio Feudi usque ad anni circulum in modum sequestri stet penes Fiscum. L'Autore di questo Capitolo fu Carlo II suo avo; ma poichè insino ad ora non era stato pubblicato, Carlo suo nipote per mezzo di questo suo editto ordinò, che quello si divulgasse, e che tenacemente si osservasse.

Sieguono tre altre sue Costituzioni dettate anche per Bartolommeo di Capua riguardanti il tempo ed il modo di darsi il Sindacato degli Ufficiali, che si leggono sotto la rubrica: Quod tempus syndicationis non labatur, donec acta sint compilata et assignata.

Ne sieguono appresso quattro altre, la prima comincia: Legem veterem Digestorum; la seconda: Voluntas libera; la terza: In forma sigilli; e la quarta: Accusatorum temeritas; tutte istromentate per Bartolommeo di Capua; e portano questa data: Dat. Neap. per Bar. de Capua. etc. A. D. 1324 die 8 febr. 7 indict. Regnorum Domini patris nostri anno 15.

Abbiamo un altro Capitolo di questo Duca tra quelli della Regina Giovanna, stabilito per lo Vescovo di Chieti in una lite che tenea con Roberto Morello, che comincia: Carolus illustris, etc. Ne personarum casu, etc. Fu parimente dettato da Bartolommeo di Capua nel mese di settembre dell'anno 1322.

Tra' riti della G. Corte della Vicaria si legge eziandio un altro Capitolo di Carlo, che comincia: Detestantes, sotto la rubrica, De supplendis defectibus causarum, drizzato a Giovanni de Aja, Reggente della G. Corte, e porta questa data: Dat. Neap. A. D. 1320 die 28 Decembris 3 indict. Regnorum dicti Domini patris nostri, anno 11.

Pure fra' Capitoli del medesimo se ne legge uno istromentato per li Maestri Razionali: si tratta in quello di cose fiscali attinenti al regal patrimonio, come di falsa moneta, fu fatto contro coloro che falsificavano i gigliati ed i carlini, e per questa ragione nella data non si legge il nome del Protonotario o Viceprotonotario, ma solo: Data per Magistros Rationales. Comincia: Carolus illustris, etc. Jam saepe, ed è sotto il titolo: De demolientibus et falsantibus Liliatos, Carolenos et incidentibus.

(Questi Gigliati, de' quali il Boccaccio, come moneta d'argento del Regno a' suoi tempi usitatissima, fa memoria, furono così chiamati da' gigli ivi impressi, siccome vedesi nel libro delle Monete del Regno di Napoli del Vergara Tavola 10, n. 7, e Tavola 11, n. 5, e ragguagliava il lor valore a quello del carlino).

Questi sono i Capitoli, che ci lasciò questo savio e giusto Principe, il quale essendo nell'anno 1328 premorto all'infelice padre; nè tenendo Roberto altro maschio, a chi insieme col titolo di Duca di Calabria avesse potuto conferire la carica di Vicario del Regno, riprese egli il governo del medesimo; e come abbiam veduto, molti altri Capitoli per mano del Viceprotonotario G. Grillo stabilì, insino che nel 1343 essendo morto senza maschi, lasciò il Regno a Giovanna I. sua nipote figliuola di Carlo: origine, che fu di molti disordini e confusioni nel Regno, tanto che così ella, come i suoi successori, regnando in continue agitazioni e sempre in mezzo alle armi, non poterono pensare alle leggi. Per questa cagione della Regina Giovanna non abbiamo se non che pochi suoi Capitoli, rifatti per gli Ufficiali, e buono stato del Regno, non che intendesse per quegli stabilir cose nuove, come ella stessa lo dice: Condita sunt Capitula infrascripta modica, et quasi nulla statuentia nova. Sed solum rememorantia, et reformantia jura antiqua et Capitula, quae per abusum malorum Officialium minime fuerunt observata modernis temporibus . E degli altri Re angioini suoi successori, toltone quel celebre Capitolo di Ladislao, dove proibisce a' Notari vassalli stipulare istromenti de' loro Baroni; ed un altro della Regina Isabella come Vicaria del Regno, lasciata dal Re Renato suo marito, che si legge tra' Riti della G. Corte della Vicaria, non abbiamo legge o costituzione alcuna.

Ecco di quali leggi si compone il volume, che ora noi chiamiamo de' Capitoli del Regno; ecco i loro autori: Carlo I, Carlo II, Roberto, Carlo suo figliuolo, e Giovanna, uno di Ladislao, ed un altro d'Isabella.

Sin da che furono pubblicati, ebbero chi con note, e chi finalmente con pieni commentarii gl'illustrasse. Il primo fu Bartolommeo da Capua, che vi fece alcune picciole note. Giovanni Grillo da Salerno, anche famoso Giureconsulto di que' tempi, che dopo la morte di Bartolommeo fu Viceprotonotario del Regno. Il celebre Andrea d'Isernia pur vi fece alcune note. Nel Regno di Giovanna I. Sebastiano Napodano e Nicolò da Napoli; Sergio Donnorso, che fu M. Razionale della G. Corte e Viceprotonotario, e Luca di Penna, anche vi notarono alcune cose. Seguirono da poi a far il medesimo Nicolò Superanzio, Pietro Piccolo da Monforte, Gio. Crispano Vescovo di Chieti, Fabio Giordano, Gio. Angelo Pisanello, Marc'Antonio Polverino, ed il Regio Consigliere Giacopo Anello De Bottis. Finalmente, per tralasciarne alcuni che vi fecero picciolissime note di niun momento, Gio. Antonio De Nigris di Campagna, città posta nel Principato citra, non ignobile Giureconsulto, negli ultimi tempi di Carlo V, e propriamente nell'anno 1546 alle note di Bartolommeo di Capua, di Sebastiano e Nicolò di Napoli, e di Luca di Penna, aggiunse i suoi più diffusi commentarii.

FINE DEL LIBRO VENTESIMO.

STORIA CIVILE

DEL

REGNO DI NAPOLI

LIBRO VENTESIMOPRIMO

La morte del Re Carlo I accaduta in Foggia nel cominciar del nuovo anno 1285 siccome fu opportuna al Re Pietro d'Aragona, non solo per averlo stabilito nel Regno di Sicilia, ma anche per avergli tolto il pericolo dì perdere i suoi paterni Regni, invasi da Filippo Re di Francia, così fu acerba e lagrimevole al Regno di Puglia, ed al Principe Carlo suo figliuolo: poichè rimase il Regno non solo esposto all'invasione di Ruggiero di Loria, il quale avendo preso Cotrone e Catanzaro, ed alcuni altri luoghi di quella provincia, minacciava le altre vicine regioni: ma anche perchè si vide senza Re e senza governo, per la cattività del Principe di Salerno, che dovea succedere al Regno, il quale era ritenuto prigione in Spagna. Essendovi per tanto sol rimasa l'infelice Principessa Maria sua moglie, con Carlo Martello primogenito del Principe, che allora non avea più che tredici anni: il Pontefice Martino per profittare dell'occasione, vi rimandò subito Gerardo Cardinal di Parma Legato appostolico, perchè insieme colla Principessa lo governasse. Ma Filippo Re di Francia dolorosissimo della morte del Re suo zio, dubitando che la compagnia del Legato con una donna, ed un fanciullo, non recasse pregiudizio alle supreme regalie del Principe, vi spedì tosto Roberto Conte di Artois suo figliuolo, perchè avesse cura della Casa regale, e prendesse egli il governo del Regno. Contuttociò per lo bisogno, che s'avea allora del Pontefice, e per l'accuratezza del Legato, non ne fu questi escluso; anzi seppe far valer tanto la sua autorità, che fatto convocare in quest'istesso anno un Parlamento in Melfi di molti Prelati e Baroni, stabilì alcuni Capitoli per lo buon governo del medesimo, per dovergli conferire col Pontefice Martino, affinchè confermati da costui, si fossero poi pubblicati, e fatti osservare nel Regno come sue leggi, come diremo.

Intanto Re Pietro, vedendosi per la morte di Carlo, sicuro del Regno di Sicilia andò subito colle forze siciliane ad opporsi in Aragona al vittorioso Re di Francia, il quale avea già preso Perpignano, Girona e molte altre terre di quel Regno, per acquistarlo a Carlo di Valois suo figliuolo secondogenito, che n'avea avuto il titolo e l'investitura dalla Chiesa romana; e benchè si trovasse con forze assai dispari, per lo grandissimo ardir suo naturale, accresciuto dal favor della fortuna sino a quel dì, volle attaccar la battaglia; ma rotto il suo esercito, ed egli rimasto ferito, a gran pena ritirandosi, si salvò a Villafranca, dove di là a pochi giorni, a' 6 ottobre di quest'anno 1285, trapassò. Re certo dignissimo di lode e di memoria eterna: poichè con pochissime forze, coll'arte e con l'industria, solo difese da due Re potentissimi, e da un Papa acerbissimo nemico, due Regni tanto distanti l'uno dall'altro, trovandosi sempre pronto colla persona ove il bisogno richiedeva che fosse. Di lui rimasero quattro figliuoli maschi, Alfonso, Giacomo, Federico e Pietro, e due femmine, Isabella e Violante. Ad Alfonso lasciò il Regno d'Aragona, ed a Giacomo quel di Sicilia, con condizione, che se Alfonso moriva senza figliuoli, Giacomo gli succedesse in quel Regno e nella Sicilia.

Certamente il Regno d'Aragona, per la morte di Re Pietro, sarebbe venuto in mano de' Franzesi se non l'avesse salvato da una parte una gravissima pestilenzia, che venne all'esercito del Re di Francia; e dall'altra, la gran virtù di Ruggiero di Loria, il quale, fin dentro il Porto di Roses, andò a bruciare l'armata franzese, dopo l'incendio della quale fu costretto Re Filippo di ritirarsi a Perpignano, per aver perduta la comodità delle vettovaglie, che gli somministrava l'armata; ed infermato in Perpignano, passò di questa vita quest'anno a' 23 di settembre, e gli succedè Filippo il Bello suo figliuolo.

Fu quest'anno anche lugubre, per la morte di Papa Martino, il quale a' 28 di marzo 1285 morì in Perugia, e tosto in suo luogo fu rifatto Onorio IV romano, della nobilissima famiglia Savelli.

Papa Onorio calcando l'orme del suo predecessore, ancorchè italiano, fu tutto inteso a favorire la Casa d'Angiò, e nell'istesso tempo, per mezzo del Legato Girardo fece provvedere a' bisogni del vedovo Regno; e perchè il Conte d'Artois, il quale avendo intesa la morte del Re Pietro, e che per testamento avea lasciati divisi i Regni, era entrato in isperanza di ricovrar la Sicilia di mano del Re Giacomo, onde avea tutti i suoi pensieri a quell'impresa rivolti; volle ancor Onorio profittando dell'occasione intrigarsi nel governo civile del Regno, ed a provvederlo di nuove leggi conformi alli desiderj de' Baroni, ed universalmente di tutti i Regnicoli; ma più d'ogni altro a ristabilire i privilegi ed immunità delle persone ecclesiastiche di quello. A questo fine con una sua particolar Bolla spedita a' 17 settembre di quest'anno 1285 confermò que' Capitoli, che Carlo Principe di Salerno mentr'era Vicario del Regno statuì nel Piano di S. Martino; ma que' soli che riguardavano l'immunità e privilegi degli Ecclesiastici, la qual Bolla, esemplata dal suo originale, che si conserva nell'Archivio della Trinità della Cava, si trova anche inserita da Ferdinando I d'Aragona nelle nostre prammatiche, ed è tutto altra, come si disse, di quella, della quale saremo ora a ragionare.

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