CAPITOLO VIII.

Prigionia del Principe di Salerno, e morte del Re Carlo suo padre.

Mentre queste cose si trattavano in Francia, Ruggiero di Loria avendo inteso, che Guglielmo Carnuto provenzale, era passato con ventidue galee per soccorrere e munire il castello di Malta, che si tenea per Carlo, uscì dal Porto di Messina con diciotto galee, ed andò per trovarlo, e giunse a tempo, ch'avea messo nel castello genti fresche e vettovaglie, e stava con le galee nel porto di Malta. Mandò Ruggiero una fregata con un trombetta, che richiedesse il Capitano franzese a rendersi, o veramente apparecchiarsi alla battaglia: il Provenzale, che da sè era orgoglioso, ed avea avuta certezza, che l'armata nemica era inferiore di numero di galee, uscì dal Porto, ed attaccò la battaglia; ma alla fine dopo molto spargimento di sangue restò egli rotto e morto, e delle sue galee se ne salvarono sol dodici fuggendo verso Napoli: le diece altre furon prese, e condotte da Ruggiero a Messina con grand'allegrezza di tutta l'isola. I Maltesi si resero, e Ruggiero lasciò alla guardia di quell'isola Manfredi Lancia suo Capitano.

Ma non contento Ruggiero di questa vittoria, avendo già conceputo nell'animo l'altre gran cose che poi fece, poste in ordine quante galee erano per tutta l'isola, con grandissima celerità andò verso Napoli, acciocchè offerendosi qualche altra occasione avesse potuto far alcuna altra notabile impresa; il che gli successe felicemente, perchè avendo trascorse le marine di Calabria con quarantacinque galee, se ne venne a Castellamare di Stabia, donde rinfrescata l'armata passò verso Napoli nel medesimo mese di giugno dello stesso anno 1283 e con quell'ordine, che si suol andare per combattere, appressato alle mura di Napoli cominciò a far tirare saette ed altri istromenti bellici, che s'usavano a quel tempo dentro la città: onde tutto il Popolo si pose in arme, credendosi che Ruggiero volesse dar l'assalto alla città; ma perchè l'intenzion di Ruggiero non era di far altro effetto, che d'allettare e tirare le galee, ch'eran nel Porto di Napoli alla battaglia, dappoichè ebbero i Siciliani con parole ingiuriose provocati i Napoletani, che stavano su le mura, e quelli ch'erano al porto su le galee, si mosse egli colle sue costeggiando la riviera di Resina e della Torre del Greco, e l'altra riviera verso Occidente di Chiaja e di Posilipo, bruciando e guastando quelle ville e que' luoghi ameni, che vi erano.

Il Principe di Salerno lasciato dal padre Vicario del Regno, non potendo soffrire tanta indegnità di vedere, che su gli occhi suoi i nemici avessero tanto ardire, fece ponere in ordine subito le galee, delle quali era allor Capitano Generale Giacomo di Brusone franzese, e vi s'imbarcò con animo d'andar a combattere. Gerardo Cardinal di Parma Legato Appostolico, che si trovava in Napoli, esclamava, che non uscisse il Principe, nè s'arrischiasse l'armata a combattere; ma egli non potendo soffrire il fasto di Ruggiero, volle in tutti i modi imbarcarsi. Non solo i Franzesi veterani e gli altri stipendiari del Re s'imbarcarono con lui, ma non restò nella città uomo nobile, o cittadino onorato atto a maneggiar l'arme, che non andasse con lui con grandissimo animo: e poichè l'armata fu allontanata poche miglia dal porto di Napoli, Ruggiero di Loria, tosto che la vide, fece vela con le sue galee mostrando di voler fuggire, ma con intenzione di tirarsi dietro l'armata nemica tanto in alto, che non avesse potuto poi evitare di non venir a battaglia. Il Principe allegro, credendosi, che fosse vera fuga, e tutti i soldati delle sue galee, e massime quelli, ch'aveano poca esperienza nell'armi, con grandissime grida si diedero a seguire, sperando vittoria certa; ma poichè furon allontanate per molte miglia da terra ferma, Ruggiero fece fermare le sue galee, e dopo averle una per una visitate, animando i suoi fece girar le prode verso i nemici, che già s'avvicinavano, e con grandissimo impeto andò ad incontrargli. Fu con grandissima forza dell'una parte e dell'altra attaccata la zuffa; ma poichè la battaglia fu durata un gran pezzo, tanto stretta, che appena si potea conoscere una galea dall'altra, al fine avendo i Cavalieri delle galee del Principe adoperate tutte le forze, vinti dal caldo e dalla stanchezza, cominciarono a cedere; ma la galea capitana dove trovavasi il Principe fu l'ultima, perchè ancora che fosse in luogo, nel quale non poteva agevolmente disbrigarsi, ed uscire dalla battaglia, come fecero molte altre, che si salvarono ritirandosi verso Napoli, fece grandissima resistenza, perchè in essa si trovava il fiore de' combattenti, deliberati più tosto morire, che voler cedere, e vedere prigione il Principe loro. Ma Ruggiero per uscire d'impaccio fece buttare dentro mare molti Calafati ed altri Marinari con vergare, ed altri istromenti, i quali subito perforarono in molti luoghi la galea del Principe, in modo che si venne ad empire tanto d'acqua che per non andar a fondo, il Principe e gli altri, che se n'accorsero, si resero a Ruggiero, che gli confortava a rendersi; e Ruggiero porse la mano al Principe sollecitandolo, che passasse presto alla galea sua. Restarono insieme col Principe prigioni il Brusone Generale dell'armata, Guglielmo Stendardo e molti altri Signori italiani e franzesi, che andavano sopra dieci galee che parimente si resero.

Questa rotta sbigottì grandemente i Napoletani, poichè videro Ruggiero quasi trionfante tornar avanti le mura della città, ed invitare il Popolo napoletano a far novità. E già la plebe avea cominciato a tumultuare, ed a gridare, muoia Re Carlo, e viva Ruggiero di Loria. E narra il Costanzo, che se i Nobili, i vecchi ed i più riputati Cittadini, che pigliarono a guardare le porte della città ed a frenare quell'impeto, non riparavano, sarebbe occorso qualche gran disordine. Ripressa adunque la plebe, e quietata la città, Ruggiero si ritirò all'isola di Capri: ed ottenne dal Principe, che Beatrice ultima figliuola del Re Manfredi, la quale era stata prigione quindici anni nel castello dell'Uovo con la madre e co' fratelli, i quali allora si trovaron morti, fosse liberata, e se ne ritornò in Sicilia; e con grandissimo fasto, e grand'allegrezza di tutti i Siciliani, presentò alla Regina Costanza la sorella libera, ed il Principe prigione, il quale con tutti gli altri principali prigioni fu posto nel Castello di Mattagrifone in Messina.

I Siciliani volevano servirsi del Principe, come rappresaglia per Corradino, e convocati i Sindici delle terre di tutta l'isola giudicarono, che se gli dovesse mozzar il capo, siccome Carlo avea fatto di Corradino, e mandarono alla Regina Costanza, che ne prendesse in cotal guisa vendetta. Ma questa grande, e magnanima Reina detestando tal crudeltà, fece loro intendere, che in cosa di tanta importanza, quanto era la morte del Principe, non era di farne determinazione alcuna, senza la volontà del Re Pietro suo marito, che si trovava in Aragona; onde per levarlo dal loro cospetto, e conservarlo vivo, lo mandò prigione in Aragona a Re Pietro, ove stette più anni custodito in stretta prigione. Questa illustre azione, siccome fu celebrata per tutti i secoli per magnanima e generosa, così rese più detestabile l'infamia del Re Carlo, perchè la pietà e la clemenza trovò più luogo in un petto debole ed infermo d'una donna, che nell'animo virile di quel Re, infamato perciò per tutti i secoli, e da tutti i Scrittori.

Intanto quasi due dì dopo la battaglia, il Re Carlo che veniva da Marsiglia, giunge a Gaeta, dove con infinito suo dolore ebbe novella della rotta, e prigionia di suo figliuolo, e del tumulto accaduto a Napoli. Ne scrisse immantinente al Papa, chiedendogli a tanta avversità conforto e soccorso di danari; e adirato contro i Napoletani si portò subito a questa città, ed avuto in mano i Capi del tumulto al numero di 150 de' più incolpati, gli fece impiccare, condonando il resto a' Nobili e Cittadini principali, che avevano guardata la città. Ed essendo il principio di luglio, volendo passar in Messina per l'impresa di Sicilia, spedì 75 galee, che passassero il Faro, e girassero a Brindisi ad unirsi con l'altre galee, ch'erano armate nel mare Adriatico. Ed egli per terra andò in Calabria ad assediar Reggio, ch'era in potere degli Aragonesi; ma riuscitagli anche vana quest'impresa, ritornò in Puglia, tutto occupandosi a fornire di numerose Navi la sua armata per l'impresa di Sicilia.

Ma Re Pietro intanto era da Aragona passato in Messina per difesa di quell'isola, e conoscendo, che il Papa era implacabilmente adirato con lui, ma che per la rotta e prigionia del Principe, dissimulando l'odio, avea mandato due Cardinali in Sicilia a trattare la libertà del Principe, e la pace, volle deluderlo con la medesima arte: poichè dopo aver ricevuti i Cardinali con onor grandissimo, diede loro tanta speranza di pace onorata per Re Carlo, che quelli mandarono a dirgli, che non si movesse, e con questa speranza, da poi che Carlo ebbe perduta un'altra stagione, con molta destrezza e prudenza uscì dal trattato di pace, onde i Cardinali ingannati e delusi, dopo avere di nuovo maledetto, e riscomunicato Re Pietro ed i Siciliani, si partirono e tornarono al Papa.

Carlo vedendosi beffatto, si risolse a mezzo decembre di porre in ordine l'armata per ricuperare la libertà del figliuolo ed il perduto Regno; ma mentre egli da Napoli parte per andare a Brindisi a poner in punto l'armata, ecco che nel cammino infermossi a Foggia; dove, essendo giunta l'ora sua fatale, oppresso da malinconia per le tante avversità accadutegli, trapassò nel mese di gennaio del nuovo anno 1285. Teodorico de Niem, che fiorì nel Regno di Carlo III di Durazzo e del Re Ladislao, narrando la morte di questo Principe, scrisse, che fu tanta l'oppressione e malinconia del suo animo, che una notte vinto da disperazione da se stesso con un laccio si strangolò. Il suo corpo fu condotto a Napoli, e seppellito nella maggior chiesa con pompa reale, dove ancor oggi s'addita il suo tumulo.

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