CAPITOLO V.

Divisione del Regno di Sicilia da quello di Puglia, per lo famoso Vespro Siciliano.

Ma fra le cagioni sinora annoverate, onde Napoli sopra tutte le altre città estolse il suo capo, la principale fu la divisione di questi due Reami. Divisi questi Regni, si videro due Reggie, l'antica di Sicilia e la nuova di Napoli. Palermo rimase per gli Aragonesi in Sicilia: Napoli per li Franzesi in Puglia e Calabria. Ed è cosa da notare, che non meno la prospera fortuna fin qui tenuta da Carlo, che l'avversa, la quale, assunto che fu al Ponteficato Niccolò III cominciò a travagliar questo Principe, cospirarono alla esaltazione di questa Città.

Morto Papa Giovanni, e non avendo potuto Re Carlo per sei mesi di maneggi, quanto appunto vacò quella sede, ottenere, che si fosse rifatto un Papa Franzese, si risolvè il Collegio de' Cardinali nel mese di novembre dell'anno 1277 eleggere per successore Giovanni Cardinal Gaetano di Casa Ursina che Niccolò III volle nomarsi. Costui, che tanto nella vita privata, come nel Cardinalato fu tenuto per uomo di buoni costumi e di vita cristiana, assunto al Papato mostrò un desiderio sfrenato d'ingrandire i suoi; onde nel conferire le Prelature ed i gradi, e beni tanto temporali del suo Stato, quanto ecclesiastici, ogni cosa donava, e conferiva a' suoi parenti o ad altri, ad arbitrio loro; e da questa passione mosso mandò a richiedere Re Carlo, che volesse dare una delle figliuole del Principe di Salerno, ad uno de' suoi nepoti. Ma quel Re, ch'era usato d'aver Pontefici vassalli ed inferiori, se ne sdegnò, e rispose che non conveniva al sangue Reale di pareggiarsi con Signoria, che finisce con la vita, come quella del Papa. Di questa risposta s'adirò il Pontefice, in guisa che rotto ogni indugio se gli dichiarò nemico, e rivocò fra pochi giorni il privilegio concesso, e confermato dagli altri Pontefici in persona del Re Carlo, del Vicariato dell'Imperio, dicendo, che poichè in Germania era stato eletto Rodolfo Imperadore, toccava a lui d'eleggersi il Vicario, e che 'l Papa non avea potestà alcuna d'eleggerlo, se non in tempo che l'Imperio vacava. Poi venne a Roma, e conoscendosi col favore de' suoi poter più di quello, che aveano potuto gli altri Pontefici, gli tolse l'Ufficio di Senatore, e fece una legge, che nè Re, nè figliuoli di Re potessero esercitare quell'Ufficio.

Carlo disprezzò l'ire del Pontefice e' suoi disgusti, li quali, come vedrassi, furono una delle quattro cagioni della perdita di Sicilia; ma tutto inteso alla guerra contro Michele Paleologo Imperador di Costantinopoli ne avea già ordinato un apparato grandissimo nel Regno, nell'isola di Sicilia ed in Provenza; ed erasi già accinto all'impresa con un gran numero di galee, e numero infinito di legni da passar cavalli, e da condur cose necessarie ad un grandissimo esercito; fece intendere a tutti i Conti e Feudatari a lui soggetti, che si ponessero in ordine per seguirlo: scrivendo in oltre a tutti i Capitani, che facessero elezione de' più valenti soldati e cavalli, per venire al primo ordine suo a Brindisi.

La fama di sì grande apparato sbigottì molto il Paleologo, e 'l mise in gran timore, sapendo quanta fosse la potenza di Re Carlo; pure quanto potea, si preparava a sostener l'impeto di tanta guerra; ma trovò dall'ingegno e dal valore d'un solo uomo quello aiuto, che avrebbe potuto promettersi da qualunque grande esercito.

Quest'uomo fu Giovanni di Procida cittadino nobile salernitano, Signore di Procida e di molte terre; fu molto affezionato alla Casa di Svevia, e da Federico II tenuto in sommo pregio per le molte virtù, alle quali accoppiò anche una somma perizia di medicina, ciò che non faceva in que' tempi vergogna; poichè, come si è potuto vedere ne' precedenti libri di quest'Istoria, in Salerno questa scienza era professata da' Nobili più illustri di quella città, nè abborrivano di professarla eziandio i Prelati della Chiesa, siccome l'Arcivescovo di Salerno Romualdo Guarna, e l'Arcivescovo di Napoli Berardino Caracciolo, il quale non disdegnò nella iscrizione del suo sepolcro, rapportata dal Summonte, che fra gli altri encomi vi si ponesse: Utriusque juris Doctoris, ac Medicinae scientiae periti. Ed il Tutini rapporta d'aver egli osservato nel regio Archivio una carta, ove Gualtieri Caracciolo dimanda licenza al Re Carlo II d'andare nell'isola di Sicilia a ritrovar Giovanni di Procida, già vecchio, per farsi curare d'una sua infermità. Non meno di Federico l'ebbe caro Re Manfredi, di cui volle troppo ostinatamente seguire le parti; onde per la venuta di Carlo, essendogli stati confiscati i suoi beni, non fidandosi di star sicuro in Italia, per l'infinito numero degli aderenti di Re Carlo, se n'andò in Aragona a trovare la Regina Costanza unico germe di casa Svevia, e moglie di Re Pietro, al quale per segno dell'investitura di questi Reami eragli stato portato il guanto, che, come si disse, buttò Corradino nella piazza del Mercato, quando Re Carlo gli fece mozzar il capo. Fu benignissimamente accolto tanto da lei, quanto dal Re suo marito, dal quale essendo nel trattare conosciuto per uomo di gran valore e di molta prudenza, fu fatto Barone nel Regno di Valenza, e Signor di Luxen, di Benizzano e di Palma. Giovanni veduta la liberalità di quel Principe, drizzò tutto il pensier suo a far ogni opera di riporre il Re e la Regina ne' Regni di Puglia e di Sicilia; e tutto quel frutto che cavava dalla sua Baronia, cominciò a spendere in tener uomini suoi fedeli per ispie nell'uno e nell'altro Regno, dove avea gran sequela d'amici, e cominciò a scrivere a quelli, in cui più confidava.

Ma tosto s'avvide, che tentar ciò nel Regno di Puglia era cosa affatto impossibile e disperata; poichè per la presenza di Re Carlo, che avea collocata la sua sede in Napoli, e scorreva per l'altre città di queste nostre province, e per li beneficj che avea fatti a' suoi fedeli, e per lo rigore usato contro i ribelli, era in tutto spenta la memoria del partito di Manfredi. Rivoltò perciò tutti i suoi pensieri nell'isola di Sicilia, ove trovò le cose più disposte; poichè essendo il Re lontano, avea commesso il governo di quella a' suoi Ministri franzesi, i quali trattando i Siciliani asprissimamente, erano in odio grandissimo presso tutti gli isolani. Venne perciò sotto abito sconosciuto Giovanni in Sicilia, e cominciando a trattare della cospirazione con alcuni più potenti e peggio trattati da' Franzesi, vennero a conchiudere fra di loro di prender l'armi tutti in un tempo contro i Franzesi, e gridare per loro Re Pietro d'Aragona. Ma parendo loro poche le forze dell'isola e non molte quelle di Pietro, e che perciò bisognava a queste due giungere altra forza maggiore: Giovanni ricordandosi de' disgusti, che Carlo passava col Papa, e che 'l Paleologo temendo molto degli apparati di Carlo, avrebbe fatto ogni sforzo per distorlo dall'impresa di Costantinopoli; andò subito a Roma sotto abito di religioso a tentare l'animo del Papa, il quale trovò dispostissimo d'entrare per la parte sua a favorir l'impresa. Se ne andò poi col medesimo abito a Costantinopoli, ed avendo con efficacissime ragioni dimostrato al Paleologo, che non era più certa nè più sicura strada al suo scampo, che prestar favore di denari al Re Pietro, affinchè l'impresa di Sicilia riuscisse, poichè in tal caso Carlo, avendo la guerra in casa sua, lascerebbe in tutto il pensiero di farla in casa d'altri; di che persuaso l'Imperadore, si offerse molto volentieri di far la spesa, purchè Re Pietro animosamente pigliasse l'impresa; e mandò insieme con Giovanni un suo molto fidato segretario con una buona somma di denaro, che avesse da portarla al Re d'Aragona, ordinandogli ancora di abboccarsi col Papa, per dargli certezza dell'animo suo, e della prontezza, che avea mostrata in mandar subito aiuti. Giunsero il Segretario e Giovanni a Malta, isoletta poco lontana da Sicilia e si fermarono ivi alcuni dì, finchè i principali de' congiurati, avvisati da Giovanni, fossero venuti a salutare il Segretario dell'Imperadore, ed a dargli certezza del buono effetto, che ne seguirebbe, quando l'Imperadore stasse fermo nel proposito fin'a guerra finita. Poi si partirono i congiurati, e ritornarono in Sicilia a dar buon'animo agli altri consapevoli del fatto. Intanto Giovanni col Segretario passarono a Roma, dove avuta audienza dal Papa, gli proposero tutto il fatto: costui che temea la potenza di Carlo, e voleva vendicarsi dell'ingiuria fattagli, imitando i suoi predecessori, siccome costoro con l'aiuto de' Franzesi discacciarono da quell'isola gli Svevi, così egli colle forze degli Aragonesi, pensò discacciarne gli Angioini; onde non solo entrò nella Lega ma avendo inteso, che l'Imperadore mandava denari, promise di contribuire anch'egli per la sua parte, e scrisse al Re Pietro, confortandolo con ogni celerità a ponersi in punto per poter subito soccorrere i Siciliani da poi che avessero eseguito la congiura, ed occupato quel Regno, del quale egli l'avrebbe data subito l'investitura, ed aiutato a mantenerlo. Per queste cagioni il Re d'Aragona nella lettera scritta a Carlo dopo essersi impadronito dell'isola, gli diceva che quella era stata aggiudicata a lui per l'autorità della Santa chiesa e di Messer lo Papa e de' venerabili Cardinali. Con queste lettere e promesse portossi nell'anno 1280. Giovanni in Aragona, ed avendo comunicato al Re il disegno che s'era fatto per dargli in mano la Sicilia, Pietro temè in prima di entrar in una guerra, della quale dubitava di non poter uscire con onore: ma il Procida tolse tutte le difficoltà: I con assicurarlo per parte dell'Imperador di Costantinopoli, il quale per mezzo del suo Segretario gli avea mandato il denaro, ed offertosi che non avrebbe mancato per l'avvenire di contribuire a tutti i bisogni della guerra: II con dargli le lettere del Papa che l'assicurava del medesimo, e che l'avrebbe investito di quell'isola: III che i Siciliani per l'odio implacabile, che aveano co' Franzesi, con contentezza universale avrebbero agevolata l'impresa; e per ultimo gli fece concepire, che non era necessario ch'egli s'impegnasse, se non quando la congiura di Sicilia fosse riuscita. Per queste efficaci ragioni fu disposto quel Re d'accettarla; tanto più, quanto la Regina Costanza sua moglie il sollecitava non meno a far vendetta di Re Manfredi suo padre e del fratello Corradino, che a ricoverare i Regni, che appartenevano a lei, essendo morti tutti i maschi della linea sveva: convocati perciò i più intimi suoi consiglieri, trattò del modo, che s'avea da tenere, e fu convenuto tra di loro, che il Re allestirebbe una flotta considerabile, sotto pretesto di far la guerra in Affrica a' Saraceni, e che si terrebbe su le coste dell'Affrica, pronto a far vela in Sicilia, se la cospirazione fosse riuscita: che se venisse a fallire, poteva, senza mostrar d'averci alcuna parte, continuare a far la guerra a' Saraceni. E vi è chi scrisse, che Re Carlo vedendo posta in ordine questa flotta molto maggiore di quello, che potea sperarsi dalle forze di Re Pietro, gli avesse mandato a dimandare a che fine facea tal apparato; ed essendogli stato risposto per l'impresa d'Affrica contro Saraceni, Re Carlo, o per partecipare del merito guerreggiando contro Infedeli, de' quali egli fu sempre acerbissimo persecutore, o per gratificare quel Re suo stretto parente, gli avesse mandati ventimila ducati per soccorso di quell'impresa.

Ma ecco, che mentre queste cose si dispongono, e 'l Procida ritorna in Italia, muore Papa Niccolò: ed in suo luogo per gl'intrighi di Carlo, o più tosto per la violenza fatta a' Cardinali, fu rifatto a febbraio del 1281 un Papa franzese, creatura ed amicissimo del Re Carlo, che Martino IV comunemente si noma, chiamandolo altri Martino II, poichè i due predecessori, non Martini, ma Marini gli appellano. Dubitando perciò Giovanni, che non si raffreddasse l'animo dell'Imperadore, tosto ritornò in Costantinopoli per riscaldarlo; e passando in abito sconosciuto insieme col Segretario per Sicilia, venne a parlamento con alcuni de' primi della congiura, e diede loro animo, narrando quanto erasi fatto, e che non dovessero sgomentarsi per la morte di Papa Niccolò: e fece opera che quelli mostrassero al Segretario la prontezza de' Siciliani, e l'animo deliberato di morire più tosto che vivere in quella servitù, affinchè ne potesse far fede all'Imperadore e tanto più animarlo; poi seguirono il viaggio e giunsero felicemente a Costantinopoli. E fu notata da' Scrittori per cosa maravigliosa, che questa congiura tra tante diverse nazioni, ed in diversi luoghi del Mondo durò più di due anni, e per ingegno e per destrezza del Procida fu guidata in modo, che ancor che Re Carlo avesse per tutto aderenti, non n'ebbe però mai indizio alcuno.

Dall'altra parte Re Pietro, ancorchè per la morte di Papa Niccolò restasse un poco sbigottito, avendo perduto un personaggio principale ed importante alla Lega; non però volle lasciar l'impresa, anzi mandò Ambasciadore al nuovo Pontefice a rallegrarsi dell'assunzione al trono e a cercargli grazia, che volesse canonizzare Fr. Raimondo di Pegnaforte; ma invero molto più per tentare l'animo del Papa, mostrando destramente volere, non per via di guerra ma per via di lite innanzi al Collegio proponere e proseguire le ragioni, che la Regina Costanza avea ne' Reami di Puglia e di Sicilia. Ma il Papa avendo ringraziato l'Imbasciadore della visita e trattenuto di rispondergli sopra la Canonizzazione, come intese l'ultima richiesta, disse all'Imbasciadore: Dite a Re Pietro, che farebbe assai meglio pagare alla Chiesa romana tante annate, che deve per lo censo, che Re Pietro suo Avo promise di pagare, ed altresì i suoi successori, come veri vassalli e Feudatari di quella; e che non speri, finchè non avrà pagato quel debito, di riportar grazia alcuna dalla Sede Appostolica .

Mentre queste cose si trattavano, Giovanni di Procida tornato di Costantinopoli in Sicilia, sotto diversi abiti sconosciuto, andò per le principali terre di Sicilia, sollecitando i congiurati, e tenendo sempre per messi avvisato Re Pietro segretissimamente di quanto si faceva; ed avendo inteso, che la sua armata era già in ordine per far vela, egli eseguì con tant'ordine e tanta diligenza quella ribellione, che nel mese di marzo, il secondo giorno di Pasqua dell'anno 1282 al suon della campana, che chiamava i Cristiani all'ufficio di vespero, in tutte le terre di Sicilia, ove erano i Franzesi, il Popolo pigliò l'arme, e li uccise tutti con tanto sfrenato desiderio di vendetta, che uccisero ancora le donne della medesima isola, ch'erano casate con Franzesi e quelle ch'erano gravide, ed i piccioli figliuoli ch'erano nati da loro; e fu gridato il nome di Re Pietro d'Aragona e della Regina Costanza: e questo è quello che fu chiamato e si chiama il Vespro Siciliano. Non corse in questa crudele uccisione, dove perirono da ottomila persone, spazio di più di due ore; e se alcuni pochi in quel tempo ebbero comodità di nascondersi o di fuggire, non per questo furon salvi; perocchè essendo cercati e perseguitati con mirabile ostinazione, all'ultimo furon pure uccisi.

Questa crudele strage, e così repentina mutazione e rivoluzione fu per lettera dall'Arcivescovo di Monreale scritta al Papa, a tempo, che Carlo si trovava con lui in Montefiascone. Il Re restò sorpreso e molto abbattuto, vedendo in tanto breve spazio aver perduto un Regno, e buona parte de' suoi soldati veterani; pure, raccommandate le sue cose al Papa, trovandosi già l'armata in ordine, ch'era destinata contro l'Imperador greco, ritornò subito nel Regno, e con quella incontinente fece vela verso la Sicilia, e cinse Messina di stretto assedio.

Dall'altra parte Papa Martino, desideroso che l'Isola si ricovrasse, mandò in Sicilia per Legato appostolico il Cardinal Vescovo di Sabina, con lettere ai Prelati ed alle terre dell'isola, confortandole a rimettersi nell'ubbidienza di Carlo, con ingiungere al medesimo, che quando queste lettere non valessero, adoperasse non solo scomuniche ed interdetti, ma ogni altra forza, per favorire le cose del Re.

Giunse il Cardinale in Palermo, nel medesimo tempo che Carlo giunse a Messina; ma siccome gli uffici del Legato niente poterono contro l'ostinazione dei Siciliani, così l'assedio, che Carlo avea posto a Messina fu con tanto vigore proseguito, che finalmente strinse gli abitanti a volersi arrendere a lui colla sola condizione di salve le vite: ma egli era così trasportato dalla rabbia, che negò anche questa condizione. Mandarono Ambasciadori al Papa, perchè intercedesse per loro presso l'adirato Principe: ma non fu data loro udienza, onde posti nell'ultima disperazione si risolvettero di difendersi fino all'ultimo spirito.

Giovanni di Procida, che si trovava a Palermo, impaziente della dimora del Re Pietro, il quale era passato già coll'armata in Affrica all'assedio d'una città che gl'Istorici siciliani chiamano Andacalle, vedendo lo stretto bisogno de' Messinesi, imbarcatosi sopra una Galeotta con tre altri, che andavano con lui con titolo di Sindici di tutta l'isola, andò a trovare Re Pietro, ed informatolo del presto bisogno del suo soccorso, l'indusse a lasciar tosto le coste dell'Affrica, e colla sua armata ad incamminarsi verso Palermo.

Allora fu, che Re Pietro non potendo più nasconder i suoi disegni per l'impresa di Sicilia, volle giustificarsi co' Principi d'Europa suoi parenti; onde prima che lasciasse le coste d'Affrica, scrisse in questo anno 1282 una lettera ad Odoardo Re d'Inghilterra, che si legge negli atti di quel Regno, ultimamente fatti dare alla luce dalla Regina Anna , nella quale gli dice, che essendo egli occupato nella guerra contro i Saraceni, i Siciliani gli aveano inviati deputati a pregarlo di venirsi a mettere in possesso della Sicilia, ciò ch'era risoluto di fare, perchè quel Regno apparteneva a Costanza sua moglie. Fece dunque egli vela per Sicilia, e a' dieci d'agosto giunse a Trapani, ove concorsero ad incontrarlo tutti i Baroni e Cavalieri de' luoghi convicini; indi portossi a Palermo, dove fu con grandissima festa e regal pompa incoronato Re dal Vescovo di Cefalu, poichè l'Arcivescovo di Palermo, a cui ciò toccava, era presso Papa Martino.

I Messinesi, per l'arrivo del Re Pietro, ripresero vigore, ed attesero costantemente alla difesa della Patria; e non solo quelli ch'erano abili a portare ed esercitar l'armi, ma le donne ed i vecchi non lasciavano di risarcire di notte tutto ciò che il giorno per gl'istromenti bellici era abbattuto.

Intanto Re Pietro, così consigliato dal Procida, ordinò che il famoso Ruggiero di Loria Capitano della sua armata, andasse ad assaltare l'armata franzese per debellarla, e ponere guardia nel Faro, affinchè non potesse passare vettovaglia alcuna di Calabria al campo franzese; ed egli per animar i Popoli, e tener in isperanza i Messinesi, si partì da Palermo, e venne a Randazzo, terra più vicina a Messina. Di là mandò tre Cavalieri Catalani per Ambasciadori al Re Carlo, con una lettera, nella quale l'informa essere giunto nell'isola di Sicilia, che gli era stata aggiudicata per autorità della Chiesa, del Papa e de' Cardinali, e gli comanda, veduta questa lettera, di partir tosto dall'isola, altrimente ne l'avrebbe costretto per forza. Letta da Carlo questa lettera in pubblico avanti tutto il Consiglio de' suoi Baroni, nacque tra tutti un orgoglio incredibile, ed al Re tanto maggiore, quanto era maggiore, e più superbo di tutti; nè poteva sopportare, che Re Pietro d'Aragona, ch'era in riputazione d'uno de' più poveri Re, che fossero in tutta Cristianità, avesse osato di scrivere a lui con tanta superbia, che si riputava il maggiore Re del Mondo. Fu consultato della risposta. Il Conte Guido di Monforte fu di parere, che non s'avesse a rispondere, ma subito andare a trovarlo, e dargli la penitenza della sua superbia; ma il Conte di Brettagna, ch'era allora col Re, consigliò, che se gli rispondesse molto più superbamente, siccome fu eseguito con un altro biglietto del medesimo tenore, trattandolo da malvagio e da traditore di Dio e della Santa Chiesa romana. Questi due biglietti, oltre esser rapportati da Giovanni Villani e dal Costanzo, si leggono ancora così in Italiano, come furono scritti, negli Atti suddetti d'Inghilterra ultimamente stampati.

Esacerbati in cotal maniera gli animi d'ambedue i Re, che non si risparmiavano anche con parole piene di gravi ingiurie d'infamar l'un l'altro: Re Pietro intanto avea soccorsa Messina, e Ruggiero di Loria era passato colla sua armata al Faro per combatter la franzese e per impedirgli le vettovaglie. Errico Mari Ammiraglio di Carlo venne dal Re a protestare, che egli non si confidava di resistere, nè poteva fronteggiare con l'armata catalana, che andava molto ben fornita d'uomini atti a battaglia navale. Carlo, che in tutti gli altri accidenti s'era mostrato animoso ed intrepido, restò sbigottito, e chiamati a consiglio i suoi, dopo molte discussioni, fu conchiuso, che per non esporsi l'armata d'esser affamata dalla flotta del Re d'Aragona, si dovesse levar l'assedio, e ritirarsi in Calabria, e differire l'impresa. Carlo, benchè l'ira e la superbia lo stimolasse a non partire con tanta vergogna, lasciò l'assedio, e subito pieno di scorno e d'orgoglio, passò in Calabria con animo di rinovare la guerra a primavera con tutte le forze sue; ma appena fur messe le sue genti in terra a Reggio, che Ruggiero di Loria sopraggiunse con la sua armata, e quasi nel suo volto pigliò trenta galee delle sue, ed arse più di settanta altri navili di carico; del che restò tanto attonito, e quasi attratto da grandissima doglia, che fu udito pregar Dio in franzese, che poichè l'avea fatto salir in tant'alto stato, ed or gli piaceva farlo discendere, il facesse scendere a più brevi passi. Dopo distribuite le sue genti per quelle terre di Calabria più vicine a Sicilia venne a Napoli, e pochi giorni da poi se n'andò a Roma, a portar querele al Papa contro il suo nemico, lasciando nel Regno per suo Vicario il Principe di Salerno, a cui diede savi Consiglieri, che l'assistessero per ben governarlo.

Ma trattanto che Carlo perdeva il tempo a querelarsi col Papa, Re Pietro a' 10 ottobre entrò in Messina, e ricevuto con allegrezza universale, fu riconosciuto ed acclamato per Re da tutta l'isola. E fermatosi quivi diede assetto a tutte le cose, riordinando quel Regno, ora che tutto quieto e pacato era sotto la sua ubbidienza. Ed avendo voluto il Cardinal di Parma, Legato Appostolico, disturbarlo con interdetti e censure, egli imitando gli esempi degli altri Re di Sicilia suoi predecessori, curandosi poco dell'interdetto, costrinse i Sacerdoti per tutta l'isola a celebrare, e que' Prelati aderenti al Pontefice, che negarono di voler far celebrare nelle loro Chiese, si lasciarono partire, ed andare a Roma. Ed avendo poco da poi fatta venire a Palermo la Regina Costanza sua Consorte e due suoi figliuoli, Don Giacomo e Don Federico, ed una sua figliuola chiamata D. Violante, ordinò a' Siciliani che dovessero ubbidir a Costanza, alla quale egli dichiarossi avere riacquistato il perduto Regno. Indi dovendo partir per Aragona, e dopo passar in Francia per l'appuntato duello in Bordeos col Re Carlo, volle, che tutti i Siciliani giurassero per legittimo successore ed erede, e futuro Re Don Giacomo suo figliuolo: il che fu fatto con grandissima festa e buona volontà di tutti.

Ecco come rimasero questi due Reami infra di lor divisi, e come due Reggie sursero. Palermo restò per gli Aragonesi in Sicilia: Napoli per li Franzesi in Puglia e Calabria.

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