CAPITOLO IV.

Conquiste de' Normanni sopra la Calabria: Papa Stefano successor di Lione vi si oppone; ma morto opportunamente in Firenze, vengon rotti i suoi disegni.

La morte di Lione IX rinovò in Roma i disordini per l'elezione del successore: e dappoichè per le contrarie fazioni stette quella Chiesa per un anno senza Capo, finalmente il famoso Ildebrando, che dal monastero di Cugnì erasi portato in Roma, ove fu fatto Sottodiacono di quella Chiesa, come uomo di somma accortezza, fu adoperato a por fine a tali confusioni. I Romani, non trovandosi nella lor Chiesa persona idonea per occupar quella Sede, mandarono Ildebrando oltre i monti a dimandar all'Imperadore un successore, ch'egli in nome del Clero e del Popolo romano avesse eletto: assentì Errico, e fugli dimandato Gebeardo Vescovo di Eichstat, di cui fecesi poc'anzi menzione. Con sommo dispiacer d'Errico, che non voleva toglierselo dal suo lato, venne costui in Roma, ed innalzato a quella Sede, Vittore II fu nomato. Come si vide nel Trono pontificio, tosto mutò sentimenti di quanto prima avea fatto mentr'era in Germania, dove avea a Lione impediti i domandati soccorsi, di che con gran pentimento amaramente, fatto Papa, si dolse. E se il suo Ponteficato non fosse stato cotanto breve, e la sconfitta precedente non avessegli scemate le forze, ed ingrandito quelle dei Normanni, avrebbero questi certamente sperimentato in Vittore gl'istessi sentimenti di Lione.

Ma morto egli in Firenze nel 1057 due anni dopo la sua esaltazione, e rifatto in suo luogo Federico Abate di Monte Cassino, e Cardinale, che prese il possesso di quella Sede il giorno di S. Stefano, e perciò prese il nome di Stefano X, da altri, per la cagione altrove rapportata, detto Stefano IX, furono da costui calcate le medesime vestigia de' suoi predecessori. Fu da' diligenti investigatori delle gesta de' Pontefici con istupore notato, che ancorchè i loro predecessori, per sostenere le loro intraprese, avessero sofferto morti, prigionie ed altre calamità; non per tutto ciò gli successori si spaventavano di proseguirle, anzi vie più forti e vigorosi s'esponevano ad ogni maggior rischio e cimento. Essi eransi persuasi, che l'ingrandimento dei Normanni in queste nostre province, era lo stesso che il loro abbassamento, e lo reputavano come loro declinazione, siccome queste medesime gelosie tennero co' Longobardi, quando gli videro troppo potenti in Italia. Gli accagionavano perciò di mille delitti, che rapivano le robe delle Chiese, che desolavano le province; ed in fine proccuravano rendergli odiosi a' provinciali, per potere in cotal modo giustificare le loro intraprese, e renderle al Mondo commendabili. E se bene sopra queste province non potessero pretendervi ragione alcuna di sovranità; nientedimeno la loro grandissima gelosia degli avanzamenti de' Normanni pose costoro in tal necessità, che siccome prima doveano reprimere, ed opporsi alle forze degl'Imperadori d'Oriente a' quali finalmente queste province si toglievano: così ora aveano da contrastare co' Pontefici romani, i quali come se ad essi si togliessero, si opponevano con vigore a' loro disegni, nè v'era mezzo, che non adoperassero per impedire i loro progressi.

Prima, come si è potuto osservare nel corso di quest'Istoria, non avendo per se forze tali, solevano implorare gli aiuti de' Principi stranieri, siccome per discacciare i Longobardi ricorsero a' Franzesi; ora essendosi resi per lo dominio temporale di tanti Stati più forti, lontani questi soccorsi, e mancata ogni speranza di potergli avere dall'Imperadore, e potendogli somministrare i loro Stati forze sufficienti, lo facevano per se soli; e quando queste mancavano, solevano ricorrere al presidio delle armi spirituali e delle scomuniche, alle quali la forza della religione avea dato tanto vigore e spavento, che non solo a' Popoli ed a' Principi erano tremende, ma quel ch'è degno di stupore, erano formidabili e spaventose a' Capitani delle milizie, ed a' soldati stessi, uomini per lo più scelleratissimi; i quali nell'istesso tempo, che s'atterrivano delle scomuniche, non avevano alcuna difficoltà di menare una vita scellerata, e d'usurparsi quello del prossimo, senz'alcun riguardo d'offendere la Maestà Divina.

Innalzato pertanto Stefano al Ponteficato romano, si dispose immantenente a voler discacciare d'Italia i Normanni. Traeva egli origine da' Duchi di Lorena, e nato da regal stirpe, voleva nel Ponteficato segnalarsi in opre grandi ed illustri. Fu prima da Lione IX fatto Cancelliero della Sede Appostolica: indi fu Abate di Monte Cassino, e poi da Vittore II fu fatto Cardinale. Assunto ora al Ponteficato vennegli in pensiero, imitando Lione, di voler discacciar d'Italia i Normanni; anzi nato per cose più grandi s'accinse ad una più illustre impresa.

Un anno avanti nel 1056 era morto in Germania Errico, ed avea lasciato per successore un suo piccolo figliuolo di sette anni, che succeduto poi all'Imperio, fu col nome del padre anche chiamato Errico. Fra gli Scrittori germani ed italiani vi è gran confusione nel numero di questi Errichi. Errico il Negro da' Germani vien chiamato III, gli Italiani lo dicono II, non tenendo conto di quell'altro Errico, che non fu se non semplice Re di Germania, nè giammai Imperadore. Noi seguiteremo gli Italiani, onde il successore d'Errico il Negro lo diremo Errico III non IV. Morì Errico dopo aver regnato diciassette anni, e quattro mesi. Le sue leggi furon raccolte da Goldasto, e Cujacio nel quinto libro de' Feudi ne registrò alcune a quelli appartenenti.

Per l'infanzia del figliuolo governava l'Imperadrice Agnesa sua madre: Stefano valendosi dell'opportunità del tempo, vennegli in pensiero d'innalzare al Trono imperiale il Duca Goffredo suo fratello, con risoluzione, che unendo le sue forze con quelle del fratello, potessero con facilità discacciare i Normanni d'Italia, a' quali egli portava odio implacabile.

Ma intanto questi valorosi Campioni sotto il famoso Roberto Guiscardo, a cui il Conte Umfredo suo Fratello avea somministrate molte truppe, perchè l'impiegasse alla conquista della Calabria, aveano fatti progressi maravigliosi sopra questa provincia. Essi da poi che Roberto per una sua ingegnosa astuzia, erasi impadronito di Malvito, aveano steso più oltre i confini, e sotto la lor dominazione poco da poi fecero passare le città di Bisignano, di Cosenza e di Martura.

Nè la morte del Conte Umfredo accaduta in Puglia intorno l'anno 1056 avea potuto interrompere il corso di tante conquiste, anzi diede a quelle più veloce corso: poichè non lasciando Umfredo che due piccioli figliuoli, Bacelardo ed Ermanno, lasciò il governo de' suoi Stati a Roberto stesso, a cui raccomandò i figliuoli, e spezialmente Bacelardo suo primogenito; onde succeduto Roberto nel Contado di Puglia dava terrore a tutti i Principi vicini, e molto più a Stefano R. P., dal quale era perciò grandemente odiato.

Ma a Stefano, cui non mancava ardire di cacciare i Normanni d'Italia, mancavano però le forze, e sopra tutto i danari: fu perciò tutto inteso a farne raccolta, e l'impegno nel quale era entrato gli fece pensare un modo pur troppo violento e scandaloso. Egli che da Abate di Monte Cassino fu innalzato alla Cattedra di S. Pietro, volle nel Ponteficato stesso ritenere quella Badia, nè permise che in suo luogo fosse altri sustituito; onde disponeva di quel monastero per doppia ragione con tutta libertà ed arbitrio. Per le molte oblazioni de' Fedeli in questo tempo, pur troppo per li Monaci prospero, aveano essi raccolto un ricchissimo tesoro d'oro e d'argento, che in quel monastero i Monaci con gran cura e vigilanza custodivano: Stefano vedendo che per nessun altro miglior modo poteva conseguir il suo fine, pensò averlo in mano, ed ordinò al Proposito di quel monastero, che tutto il tesoro d'oro e d'argento ch'ivi trovavasi l'avesse subito, e di nascosto portato in Roma. Avea egli disposto di passare con quello in Toscana, ove era il Duca Goffredo suo fratello, affinchè conferito con lui il suo disegno, potessero da poi ritornarsene insieme per discacciare d'Italia i Normanni. La costernazione nella quale entrarono i Monaci per sì infausta novella ben ciascuno potrà immaginarsela: essi tutti mesti e dolenti, tentarono invano colle lagrime rimovere il Papa; onde finalmente da dura necessità costretti, avendo ragunato tutto il tesoro, in Roma a Stefano lo portarono. Il Papa quando lo vide, e vide insieme la mestizia ed il dolore de' Monaci, che glie lo portarono, sorpreso allora dalla mostruosità del fatto, ravvedutosi dell'eccesso, tosto pentissi d'averlo domandato, e lo rimandò indietro. Ma poco da poi essendosi incamminato per la Toscana, fermatosi in Firenze, fu sorpreso da una improvvisa languidezza, che in pochi dì lo privò di vita in quest'anno 1058.

Così, morto Stefano, andarono a vuoto tutti i suoi disegni, e fu la costui morte sì opportuna a' Normanni, che non avendo altri, che impedisse i loro vantaggi, poterono indi a poco stendere le loro conquiste, non pur nella Calabria, ma sopra il Principato di Capua ancora, per un'occasione, che più innanzi saremo a narrare.

I. Roberto Guiscardo è salutato I. Duca di Puglia e di Calabria.

Intanto per la morte di Stefano tornò Roma di bel nuovo nelle confusioni e disordini; poichè Gregorio d'Alberico Conte di Frascati, ed alcuni Signori Romani, di notte, e con gente armata, posero per forza nella Santa Sede Giovanni Vescovo di Velletri, che prese il nome di Benedetto; ma essendosi opposto a quest'elezione Pier Damiano uomo da bene (il qual poco prima da Stefano richiamato dall'Eremo, era stato fatto Vescovo d'Ostia) insieme con gli altri Cardinali, fecero in guisa, che tornato Ildebrando dalla Germania, ove era stato mandato da Stefano all'Imperadrice Agnesa, avendo inteso tali disordini, fermossi in Firenze, da dove attese a far ritrarre i migliori Romani dal partito contrario, e col favore del Duca Goffredo Marchese di Toscana oprò in maniera, che ragunati in Siena que' Cardinali, che non aveano avuta parte nell'elezione di Benedetto, vi elessero per Papa Gerardo Arcivescovo di Firenze. L'Imperadrice Agnesa madre d'Errico, confermò l'elezione, e diede ordine al Duca Goffredo di metter Gerardo in possesso, e di cacciarne Benedetto. Questi prese il partito di rinunziare il Ponteficato; onde Gerardo portatosi in Roma, vi fu riconosciuto per legittimo Papa, e fu chiamato Niccolò II, il quale poco da poi nell'anno 1059 tenne un Sinodo di 113 Vescovi, dove comparve Benedetto, dimandò perdono, e protestò, che gli era stata fatta violenza. In questo Concilio furono fatti regolamenti per la libertà dell'elezione del Papa, e stabilito, che i Cardinali dovessero in quella avere la parte migliore; poi l'eletto fosse proposto al Clero ed al Popolo, ed in ultimo luogo si ricercasse il consenso dell'Imperadore.

Queste revoluzioni, che molto spesso accadevano in Roma, e molto più i disordini, che nell'istesso tempo si sentivano nella Corte di Costantinopoli, maravigliosamente conferivano all'ingrandimento de' Normanni. Non temevano da parte alcuna di ricevere impedimenti; poichè la minorità d'Errico III, governando l'Imperadrice sua madre, non faceva molto pensare alle cose di queste nostre province. Costantinopoli, per la morte accaduta nell'anno 1054 di Costantino Monomaco, tutta era in disordine e confusione; poichè succeduta nell'Imperio Teodora sorella di Zoe, e dopo un anno quella morta, Michele Stratiotico fu dagli Ufficiali del Palazzo posto in suo luogo; ma questi, resosi poi Monaco, lasciò volontariamente la Corona nell'anno 1057, onde insorsero nuove fazioni per l'elezione del successore; ma acquistando maggior forza quella di Isaacio Comneno, fu questi salutato Imperadore in quest'anno 1058.

I Normanni perciò con miglior agio attesero a dilatare i loro confini, e que' di Puglia sotto il famoso Roberto Guiscardo gli distesero sopra quasi tutta la Calabria. Questo Principe, essendo succeduto nel Contado di Puglia, era riconosciuto non già come Tutore di Bacelardo suo nipote, qual egli era secondo che narra Guglielmo Pugliese, ma come assoluto Signore. Egli sembrava, che in quest'occasione non fosse disposto a contentarsi d'una semplice tutela, siccome da dovero non se ne contentò da poi; anzi pretese, che dovea egli succedere ad Umfredo, conforme Umfredo era succeduto a' suoi fratelli primogeniti; ed egli avea già designato per suo successore Roggieri altro ultimo suo fratello, col quale avea diviso l'Imperio, e creatolo perciò come lui anche Conte. Era pertanto tutto inteso a discacciar i Greci dal rimanente della Calabria, prese Cariati e molte altre Piazze d'intorno, e portò finalmente le sue armi infino a Reggio capo di quella provincia, alla qual città pose l'assedio. Gli assediati non potendo lungamente sostenerlo si diedero a Roberto; ond'egli rendutosi Signore di così illustre ed antica città, non si contentò più del titolo di Conte, ma con solenne augurio e celebrità fecesi salutare, ed acclamare Duca di Puglia e di Calabria. Lione Ostiense narra, che la gloria dell'espugnazione di Reggio gli partorì questo novello titolo. Curopalata scrisse, che lo produsse il governo trascurato e puerile di Michele VII, Imperador Greco; ma il Pellegrino fa vedere, che Roberto ad emulazione dei Greci, e per rintuzzare il lor fasto lo facesse. Aveano essi costituito Argiro in Bari Duca di Puglia, ancorchè questa nella sua maggior estensione fosse passata sotto il dominio de' Normanni: imperocchè i Greci ancorchè perdessero l'intere province, non perciò lasciavano di ritenere almeno i fastosi titoli ed i nomi di quelle, trasferendogli sovente in altra parte, siccome fecero dell'antica Calabria, la quale, come fu ne' precedenti libri osservato, passata che fu sotto la dominazione de' Longobardi, essi trasportarono questo nome di Calabria in un'altra provincia, che allora ancora ritenevano.

Chi a Roberto conferisse questo nuovo titolo di Duca, non è di tutti conforme il sentimento. Lione Vescovo d'Ostia par che accenni, che fu una casuale acclamazione del Popolo; ma Curopalata dice, che i Signori e Baroni pugliesi suoi vassalli, vedendo che egli allo Stato di Puglia avea aggiunta la Calabria, con pubblico consiglio, ritenendo per essi i titoli di Conti sopra le terre che s'aveano divise, decretarono il titolo Ducale a Roberto; donde si convince l'errore del Sigonio, il quale reputò, che insuperbito Roberto per l'espugnazione di Reggio in Calabria, e poco da poi per l'altra di Troja in Puglia, disdegnando l'antico titolo di Conte, per se stesso, e di sua propria autorità s'intitolasse Duca di Puglia e di Calabria.

Agostino Inveges va conghietturando, che nella creazione di questo novello Duca s'osservassero quelle cerimonie, le quali a que' tempi s'osservavano in Francia nella creazione del nuovo Duca di Normannia, e sono descritte nel Tomo degli Scrittori antichi della Istoria de' Normanni; dove si narra, che l'Arcivescovo dopo alcune orazioni ed il giuramento, che prestava il nuovo Duca di difendere il Popolo a se commesso, e di usar con quello giustizia, equità e misericordia, davagli l'anello, e da poi gli cingeva la spada, ond'è verisimile, e' dice, che il normanno Guiscardo volendo consacrarsi Duca di Puglia in Italia, fossesi servito delle medesime cerimonie. Avevano pure i Duchi particolar Corona, Berrettino, Veste e titoli propri. La Corona ducale, che ponevano sopra le loro arme, secondo che la descrive Scipione Mazzella, era un cerchio senza raggi, o diciam punte di sopra (le quali convengono solamente al Principe) ma in luogo delle punte vi usavano alcune perle, e d'attorno alquante gioie. Il Berrettino, seconda insegna de' Duchi, Bartolomeo Cassaneo ce lo descrive in forma d'uno cappello circondato d'una corona rotonda, ma non diritta, nè a modo di zona, che circondi il cappello, come usano i Re; e di questo cappello ducale, confessa Cassaneo, non averne potuto rinvenire l'origine. La veste ducale, suspica Inveges, che fosse simile all'abito arciducale d'Austria descritto dal Guazzi, cioè una veste di diversi colori, lunga sino a' piedi, ed ornata di pelli d'Armellini. In cotal guisa adunque il Duca Roberto in quest'anno 1059 nelle pubbliche solennità apparve a' suoi sudditi, adornandosi coll'abito e Corona ducale; e quindi è che ne' privilegi e negli altri suoi diplomi cominciasse a servirsi di questo titolo: Ego Robertus Dux Apuliae et Calabriae.

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