Degli Ufficj della Corona.
Dapoi che in Francia, nella stirpe di Ugo Ciappetta, restò estinta quella sublime dignità di Maestro del Palazzo, che come ruinosa a' Principi stessi, come si vide chiaro nel Regno di Ghilperico, fu riputato saggio consiglio di que' Re di spegnerla affatto, si videro da questa suppressione grandemente accresciuti quattro altri Ufficj di quella Corona, le cui funzioni eransi prima trasfuse in quello di Maestro del Palazzo, che per la sua grandezza e sublimità avea assorbiti tutti gli altri. Egli era perciò detto Capo de' Capi di tutti gli altri Ufficiali: Duca de' Duchi: e non senza ragione era assomigliato al Prefetto Pretorio sotto gli ultimi Imperadori romani. A lui non meno si riportavano le cose della guerra, che della giustizia; sovrastava alle Finanze, ed alla Casa del Re: in breve, era il Superior generale di tutti gli Ufficiali del Regno senza eccezione.
Dalla suppressione dunque di quest'Ufficio ripigliarono gli altri Uffizj della Corona la loro antica autorità, non riconoscendo poi altri per lor Capo e superiore, che il Re istesso; onde perciò i supremi vennero con titolo di Grandi decorati. Surse il Gran Contestabile, che ebbe la soprantendenza della guerra, ed il comando degli eserciti in campagna. Il Gran Ammiraglio capo dell'armate navali, che ebbe il comando sopra mare in guerra ed in pace. Il Gran Cancelliero per la soprantendenza della giustizia, capo di tutti gli Ufficiali di pace, e Magistrato de' Magistrati, dipendendo da lui i Giustizieri, i Protonotarj, e tutti gli altri minori Cancellieri. Il Gran Tesoriero, ovvero Gran Camerario, capo della Camera de' Conti, ed Ufficial supremo delle Finanze; ed il Gran Siniscalco, ovvero Giudice della Casa del Re, poichè ebbe il governamento della medesima.
Tutti questi Ufficj erano chiamati della Corona, ovvero del Regno, perchè non riguardano il servigio della persona del Re, ma del Regno: e Ruggiero stabilito ch'ebbe il suo, ve gl'introdusse insieme con gli altri Ufficiali minori subordinati a' medesimi. Prima, queste nostre province non gli conobbero, e le loro funzioni venivano esercitate sotto altro nome da diversi altri Ufficiali: e se ben sotto i Goti se ne fosse avuta qualche conoscenza, avendocene Cassiodoro lasciata qualche notizia, onde è da credersi, che i Franzesi dai Goti gli apprendessero; nulladimanco essendo stati questi discacciati da' Greci, ed i Greci da' Longobardi, si vede che nè gli uni, nè gli altri in tutto il tempo, che dominarono queste Province, l'usarono. I Greci le governarono per Straticò e Catapani; onde è, che oggi ancora presso di noi sia rimasto qualche vestigio di questi Ufficiali. In Salerno ancor si ritiene il nome di Straticò, come in Messina. In Puglia i Catapani furono assai rinomati; onde è che per questo nome di Magistrato ritenga oggi il nome di Capitanata una provincia del Regno. Ebbero ancora i Greci altri Ufficiali, come i Maestri de' Cavalieri, per li quali lungamente ressero il Ducato di Napoli. Ebbero i Patrizj, i Protospata, ed altri moltissimi; nè mai usarono i soprannomati. Solamente è chi dice, che l'Ufficio di Protonotario fosse d'origine greco, ma di ciò ne parleremo al suo luogo.
I Longobardi certamente non gli conobbero; essi prima divisero i Governi in Castaldati, a ciascuno preponendo un Castaldo per reggerlo, al quale s'appartenevan così le cose della guerra, come della giustizia. Da poi crearono i Conti, che nella loro origine non erano più che Ufficiali, e non Signori; ciascuno avendo il governo del Contado a se commesso sin tanto che poi col correre degli anni cominciassero a mutargli, e da Ufficj, ridurgli in Feudi e Signorie, come altre volte abbiamo osservato.
Furono adunque i Normanni, e sopra tutti il famoso Ruggiero, che avendo ridotti i suoi dominj in un ampio e potente Reame, era di dovere che vi introducesse questi Ufficj, che in altri Regni, e particolarmente in quello di Francia, erano riputati proprj della Corona regale, e come tanti lumi, che facessero maggiormente risplendere il suo regal diadema.
§. I. Del Gran Contestabile.
Quello che meritamente, e secondo il comun sentimento degli Scrittori s'innalza sopra tutti gli altri, e tiene il primo luogo, è il Gran Contestabile. Nella sua origine, appresso i Franzesi era chiamato il Gran Scudiero del Re, e perciò da Aimone viene appellato Regalium Praepositus Equorum, come parimente l'attesta il suo nome latino Comes stabuli, molto frequente negli antichi libri, di cui Caronda riferisce molti be' passi, e sostiene Loyseau contro l'opinion d'alcuni moderni, e spezialmente di Cujacio, ch'è di contrario sentimento.
Ha due grandi prerogative: l'una, egli è custode della spada del Re, poichè quando vien promosso a sì sublime dignità, il Re gli dà tutta nuda la sua spada nelle mani, per la quale egli all'incontro in quell'istante gli dà la fede ed omaggio, come appunto si narra dell'Imperador Trajano, il quale dando la sua spada nuda a Sura Licinio Prefetto Pretorio, gli disse queste memorabili parole: Accipe hunc ensem, ut si quidem recte Reip. imperavero, pro me, sin autem secus, in me utaris. Perciò l'insegna di questa dignità è la spada nuda; siccome il nostro Torquato seppe ben esprimere nella persona del Gran Contestabile d'Egitto, collocandolo perciò in quella rassegna alla destra del Re, appartenendo a lui il primo luogo sopra tutti gli altri Ufficiali della Corona, e dandogli la spada nuda per sua insegna.
.... alza il più degno
La nuda spada del rigor ministra.
L'altra prerogativa è, che negli eserciti egli ha il comando sopra tutte le persone, anche sopra i Principi del sangue: dispone gli alloggiamenti, istruisce le squadre, distribuisce le sentinelle: sono a lui subordinati i Marescialli, e tutti gli altri Ufficiali minori: in breve ha il supremo comando negli eserciti mentre sono in campagna, onde di quest'altra prerogativa parlando il Tasso cantò:
Ma Prence degl'eserciti, e con piena
Possanza è l'altro ordinator di pena.
Ma tutta questa sua autorità ed alto imperio potea esercitarlo negli eserciti in campagna, non già nelle Piazze, nè sopra i Governadori delle province; onde mal fanno coloro, che vogliono far paragone de' Gran Contestabili co' presenti nostri Vicerè, li quali non solo hanno il comando degli eserciti in campagna, ma anche in tutte le Piazze, sopra tutti i Governadori delle province, così in terra, come in mare, e sopra tutti gli altri Ufficiali della Corona. Egli è però vero che presso i Vicerè risiedono le prerogative del Gran Contestabile; poichè le cose di guerra a lui s'appartengono, ed egli dispone gli eserciti in campagna, a cui ubbidiscono tutti gli altri Generali e Marescialli; ma quando il Vicerè sia assente dal Regno, nè fosser altri dal Re deputati a quest'impiego, potrebbe ne' casi repentini e quando la necessità lo portasse, il Gran Contestabile servirsi della sua giurisdizione, e riassumere ciò, che prima era della sua incumbenza, come dice Marino Freccia.
Il primo Contestabile, che tra le memorie antiche abbiamo nel Regno di Ruggiero, fu Roberto di Bassavilla Conte di Conversano. Questi fu figliuolo di un altro Roberto parimente Conte di Conversano, e di Giuditta sorella di Ruggiero: fu adoperato da Ruggiero nelle imprese più ardue, e meritò per la disciplina militare, nella quale era molto versato, da questo Principe esser innalzato a sì sublime dignità. Nel Regno di Guglielmo I si rese più rinomato, e da questo Principe fu investito del Contado di Loritello; ma da poi essendosi da lui ribellato, gli pose sottosopra il Regno insieme con altri Baroni, onde Guglielmo toltagli questa dignità, la diede a Simone Conte di Policastro suo cugino, che fu il secondo Contestabile, di cui ci sarà data occasione di più lungamente ragionare nel Regno di Guglielmo; e ne' tempi di Guglielmo II fu Contestabile Roberto Conte di Caserta.
Merita riflessione che questi Contestabili, siccome tutti gli altri supremi Ufficiali, che prima si dissero Maestri Contestabili, e poi Magni Contestabili, erano comuni così a queste nostre Province, come alla Sicilia, insino che questa isola fosse stata dagli Aragonesi tolta agli Angioini; e se bene solevano a questa dignità innalzare i nostri Baroni, come quelli che per ampiezza di dominj e Contadi, e per le parentele che aveano co' Principi stessi, i quali non si sdegnavano allora imparentarsi con loro, facevano la principal figura sopra tutti gli altri Baroni di quell'isola; e spesso solevano risedere ne' loro Stati; nulladimeno avendo i Re normanni fermata la loro sede regia in Palermo, solevano regolarmente in questa Corte appresso la persona del Re risiedere, dal quale erano impiegati ne' più rilevanti affari della Corona. Perciò non bisogna confondergli co' minori Contestabili, i quali erano mandati ad una particolar provincia, ed a' quali o era commesso il governo di qualche città, o gli era dato il comando d'alcuni reggimenti o di fanteria o di cavalleria; poichè se bene questi erano pure chiamati Contestabili, il loro posto però era molto diverso, e di gran lunga inferiore a' grandi e primi Contestabili, i quali perciò erano chiamati Regni Comestabuli. Così nella Cronaca di Not. Riccardo di S. Germano scritta ne' tempi di Federico II leggiamo, che Filippo di Citero, erat Comestabulus Capuae. E ne' tempi posteriori si leggono molte carte rapportate dal Tutini, nelle quali la Contestabilia era ristretta al governo d'una città sola, e ad una particolare incumbenza: così spesso s'incontra nelle scritture del regio Archivio della Zecca: Henricus Comestabulus Foggiae: ed in alcuni istromenti del medesimo Archivio, pur si legge Franciscus Garis Comestabulus vigintiquatuor Balestrarum; ed altrove: Franciscus de Diano Comestabulus Peditum.
Così ancora venivano chiamati Comestabuli Regii Hospitii i Mastri di stalla della Casa reale. E parimente li Capitani delle milizie, ch'erano in ciascheduna Provincia del Regno, che oggi si dicono Capitani del Battaglione, erano ancora Contestabili nomati. Osserviamo perciò Pietro della Marra Contestabile di Terra di Lavoro; Guglielmo Ponciaco Contestabile in Basilicata; Mattia Gesualdo Contestabile nel Principato, Gualtiedi del Ponte Contestabile in Capitanata, Adamo Morerio Contestabile in Terra d'Otranto, e Gentile di Sangro Contestabile nell'Apruzzi.
Nel Regno degli Angioini quest'Ufficio non perdè niente del suo antico splendore; anzi, come scrisse Marino Freccia, Carlo I d'Angiò soleva concederlo colle medesime prerogative, ed all'istesso modo del Regno di Francia, ordinando che in quella guisa appunto dovesse esercitarsi nel suo Regno di Sicilia. E Carlo II suo successore stabilì molti Capitoli attenenti a' Gran Contestabili, rapportati dal Tutino, a' quali sottopose tutti i Marescialli del suo Regno. Ma ora quest'Ufficio, per le cagioni, che si diranno nel progresso di quest'Istoria, è a noi rimaso sol a titolo d'onore e senza funzione, essendo la sua autorità passata in gran parte nella persona del Vicerè; e solo i Gran Contestabili ritengono la precedenza nel sedere in occasion di Parlamenti, e nell'altre pubbliche celebrità, con molte altre preminenze, come il vestirsi di porpora e d'armellini con berrettino; ed ultimamente ancorchè gli fossero stati lasciati questi onori, se gli è pure levato il soldo, che prima godevano.
§. II. Del Grand'Ammiraglio.
Dovrebbe occupar il secondo luogo tra' Ufficj della Corona quello del Gran Cancelliere, siccome s'usa presso i Franzesi; ovvero quello di Gran Giustiziero siccome ora si osserva presso di noi; ma due ragioni mi spingono dopo il Gran Contestabile a favellare del Grand'Ammiraglio: l'una per la grande uniformità che egli tiene col Gran Contestabile; poichè avendo ambedue la soprantendenza della guerra, il primo sopra gli eserciti in campagna, e questo secondo sopra l'armate di mare, mi muove, innanzi che si faccia passaggio agli Ufficiali di pace ed a quelli di giustizia, a dover del Grand'Ammiraglio ragionare: l'altra più potente si è il vedere, che a' tempi di questi Re normanni, ne' quali siamo, fu la dignità del Grande Ammiraglio riputata assai più di quella del Gran Cancelliere, e di qualunque altro Ufficiale di giustizia; perchè essendo questi Re potenti in mare cotanto che per le loro armate si resero gloriosi e tremendi per tutto Oriente, portando le loro vittoriose insegne insino alle porte di Costantinopoli, e nell'Affrica fecero maravigliosi acquisti; il loro imperio sopra il mare era più ampio e considerabile, che quello di terra; onde avvenne, che ne' tempi di Ruggiero, e dei due Guglielmi suoi successori, l'esser Grand'Ammiraglio del Regno di Sicilia, era il più alto grado, nel quale alcuno potesse mai essere innalzato. In fatti vediamo che il famoso Majone di Bari, che a' tempi di Ruggiero era Gran Cancelliere, entrato da poi in somma grazia del Re Guglielmo, fu da costui, per dargli un saggio della grande stima, che faceva della sua persona, innalzato ad esser Grand'Ammiraglio; ed Ugone Falcando, narrando lo stato della Corte nei principj del Regno di Guglielmo II, nel qual tempo reggeva l'ufficio di Gran Cancelliere l'Eletto di Siracusa, e quello di Gran Camerario del palazzo Riccardo Mandra, dice che Matthaeus Notarius cum sciret Admiratum se non posse fieri, ob multam ejus nominis invidiam, Cancellariatum totis nisibus appetebat.
Se riguardiamo l'impiego e le funzioni di questo Ufficio, non è da porsi in dubbio, che non fosse antichissimo, conosciuto da' Romani, e più dalle regioni d'Oriente bagnate dal mare; poichè presso Livio abbiamo i Prefetti delle classi marittime, e nell'antica Gallia presso Cesare spesso s'incontrano i Prefetti marittimi, fra quali sopra tutti si distinse Bibulo. Ma il suo nome certamente non lo ritroveremo presso i Romani; ed io acconsento all'opinione di coloro, che stimano questa voce essere non già provenzale, come credette l'Alunno, ma saracena; come ben pruovano da molti passi dell'Istoria del Fazzello, Pietro Vincenti ed il Tutini. Ed in vero i Saraceni furono molto potenti in mare, ond'è che nell'istorie loro spesso s'incontrano questi nomi d'Ammiragli, poich'ingombrando essi l'Oriente, e gran parte dell'Occidente, come la Spagna, l'Affrica e la Sicilia, luoghi nella maggior loro estensione bagnati dal mare, ebbero perciò molti Generali di mare, da essi Ammiragli chiamati.
Gli conobbero ancora i Greci e gli ultimi Imperadori d'Oriente, i quali per opporsi agli sforzi dei Saraceni bisognò, che si provedessero d'armate marittime essi ancora, e non è fuor di ragione il credere che in queste nostre province gli avessero i Greci prima introdotti, poichè non essendogli negli ultimi tempi rimaso altro, che molte città nella riviera del mare, come quelle della Calabria, e parte della Lucania, Amalfi, Napoli e Gaeta, tutti luoghi marittimi bisognò provedersi d'armate per conservargli da' Saraceni, i quali siccome avevan loro tolta la Sicilia, così passavano pericolo quest'altre città ancora di qua del Faro di correre la stessa fortuna. In fatti osserviamo, che gli Amalfitani si resero potenti in mare, e nell'arte nautica espertissimi, tanto che i Greci gli ebbero per valido presidio, ed in essi per le cose marittime fondavano le maggiori speranze; e come altrove fu avvertito, s'avanzarono tanto in questo mestiere, che oltre alle frequenti navigazioni per tutte le parti orientali, furono riputati arbitri delle controversie marittime; e siccome a' tempi de' Romani, i Rodiani si lasciarono in dietro tutte le altre Nazioni, tanto che le leggi Rodie erano la norma di tutti i Popoli dell'Imperio, per le quali le liti insorte su la nautica venivan decise; così presso di noi, tutte le liti, e tutte le controversie surte intorno alla navigazione, si decidevano secondo le leggi, ed instituti degli Amalfitani; e Marino Freccia attesta, che insino a' suoi tempi questi litigi venivan terminati secondo le leggi amalfitane. Quindi avvenne, che per essere gli Amalfitani tutti dediti alla navigazione, ed esperti nella nautica, riuscì finalmente a Flavio Gisia Amalfitano, ne' tempi di Carlo II d'Angiò, uomo sagacissimo, di rinvenire la Bussola tanto necessaria per le navigazioni.
Ma avendo ora i Normanni discacciati dalla Sicilia i Saraceni, e da questi nostri luoghi i Greci, per potergli difendere dall'invasione così degli uni, come degli altri, bisognò che parimente si fortificassero in mare. E quanto in ciò i Normanni s'avanzassero, e precisamente a tempo del famoso Ruggiero, e de' due Guglielmi, ben è chiaro dall'istoria de' Regni loro. Per questa ragione l'Ufficio di Grand' Ammiraglio a questi tempi fu reputato il più rinomato ed illustre; onde avvenne, ch'essendo il numero delle loro armate ben grande, e perciò convenendo tener più Ammiragli, il primo, e capo sopra di tutti, si fosse appellato Ammiraglio degli Ammiragli.
Avea egli perciò le più insigni prerogative, che mai possono immaginarsi intorno all'Imperio del mare: egli comandava sopra mare in pace ed in guerra: era sua incumbenza la costruzione de' vascelli e delle navi del Re, reparargli e disporgli per mantener il commercio: tener li Porti in sicurezza in tutta l'estensione del Reame, e conservare i lati marittimi sotto l'ubbidienza del Re; ed erano a lui subordinati tutti gli altri Ammiragli delle province e de' porti, i Protontini, i Calefati, i Comiti, i Carpentieri, e tutti gli altri minori Ufficiali marittimi.
Presentemente il nostro Grand'Ammiraglio ritiene la giurisdizione così civile, come criminale sopra tutti gli Ufficiali a lui subordinati, e sopra tutti coloro, che vivono dell'arte marinaresca: tiene perciò un particolar Tribunale, ove i Giudici creati dal Grande Ammiraglio amministrano giustizia a tutti coloro che sono ad essi subordinati, ed ha leggi particolari stabilite sulla nautica, onde le liti si decidono: tanto che siccome per li Feudi è surto un nuovo corpo di leggi feudali, così ancora per la nautica, un nuovo corpo di leggi nautiche abbiamo, del quale qui a poco farem parola. Ritiene ancora presso di noi per sua insegna il fanale, siccome anticamente avea il Grande Ammiraglio di Francia, il quale ora non più il fanale, ma l'Ancora ha per insegna. Ha purpurea veste, e ne' Parlamenti siede alla parte destra del Re, dopo, ed al lato del Gran Contestabile.
Il primo, che s'incontra nel Regno di Ruggiero, fu Giorgio antiocheno: fu costui da Ruggiero per la sua eminente virtù, ed esperienza nelle cose marittime chiamato fin da Antiochia, e fu da questo Principe creato Grand'Ammiraglio, del cui consiglio e prudenza valevasi Ruggiero, così nell'imprese di mare, come di terra, avendo avuto per costume questo glorioso Principe di chiamare a se da diverse regioni del Mondo uomini esperti, non meno nell'armi, che nelle lettere. Riportò Ruggiero per quest'invitto Capitano molte vittorie in Grecia, portando le sue vittoriose insegne insino alla porta di Costantinopoli. Liberò Lodovico Re di Francia, che mentre ritornava dalla Palestina fu da' Greci preso per presentarlo all'Imperador di Costantinopoli, poichè incontrandosi colle navi de' Greci le combattè e vinse, e liberò tosto il Re franzese, il quale da Ruggiero fu con molto onor ricevuto in Sicilia, donde poscia in Francia fece ritorno. Egli fu il primo che nelle scritture pubbliche si sottoscrivesse: Georgius Admiratorum Admiratus, come dalla carta, che porta il Tutini; perciocchè secondo il numero delle armate, convenendo tener più Ammiragli in diverse parti del Regno, il primo meritamente s'appellava Ammiraglio degli Ammiragli.
Il secondo, che abbiamo pure nel Regno di questo Principe, fu l'Eunuco Filippo, il quale non altrimenti di ciò che Claudiano narra d'Eutropio, che da Eunuco fu innalzato ad esser Console, così egli da Ruggiero fu creato Grand'Ammiraglio. Costui, come narra Romualdo Arcivescovo di Salerno, fu dalla sua giovanezza allevato nella casa reale di Ruggiero; era di costumi non dissimili da quelli d'Eutropio, e covrendo il vizio sotto il manto di virtù, s'avanzò tanto nella benevolenza del Re, che fu riputato degno di esser innalzato all'onore di Maestro del Palazzo reale; da poi il Re dovendo in Turchia far l'impresa di Bonna, trascelse Filippo al maneggio di quella guerra, e nell'anno 1149 lo creò Grand'Ammiraglio, il quale postosi alla testa d'una grossa armata di vascelli prese la città, e carico di molte prede, se ne ritornò trionfante in Sicilia, ove per lungo tempo fece dimora; ma vedutosi da poi in tanta grandezza, mal potendo coprire la sua occulta religion saracinesca, che fin ora avea celata sotto il manto della cristiana, si scovrì poi, ch'egli odiava in estremo i Cristiani, ed oltremodo amava gli Ebrei ed i Maomettani, mandando sovente messi e doni in Lamecca al sepolcro dell'impostore Maometto. Ruggiero avendo scoperte queste scelleraggini e dubitando, che se con memorando esempio non si correggesse la malvagità di costui era da temere, che non ripullulasse la religion saracinesca in quell'isola, dalla quale con tanto studio e fatiche avea proccurato cacciarne i perfidi Saraceni: fece prender di lui aspro e severo castigo; poichè fatto subito convocare i Sapienti e i Baroni del suo Consiglio, fu da costoro condennato alla pena del fuoco ed avanti il Palazzo regio fu al cospetto di tutti fatto buttare ad ardere nelle fiamme.
Successe da poi nel Regno di Guglielmo a questa carica di Grand'Ammiraglio il famoso Maione di Bari, i cui fatti per ciò che concerne all'istituto di quest'Istoria saranno ben ampio soggetto del libro seguente. Costui innalzato da Guglielmo a' primi onori del Regno esercitava il posto di Grand'Ammiraglio con maggior fasto e con una totale independenza. Ancora egli, per essere eziandio così chiamato dal Re, si firmava: Majo Admiratus Admiratorum; avendo sopra tutti gli altri Ammiragli del Regno la suprema autorità ed il sovrano comando.
Nel che dovrà avvertirsi, siccome altre volte fu detto, che ne' tempi de' Normanni e Svevi, insino che questo Regno fu diviso da quello di Sicilia, quando passò sotto la dominazione degli Aragonesi per quel famoso vespro Siciliano, uno era il Grand'Ammiraglio, che avea la soprantendenza sopra tutti gli altri Ammiragli delle province così dell'uno, come dell'altro Reame; a differenza del Regno di Francia, nel quale da poi che quella Monarchia ebbe acquistata la Provenza, fu diviso in quattro: poich'era uno Ammiraglio in Guienna; l'altro in Brettagna; il terzo in Provenza, il qual sebene non avesse nome d'Ammiraglio, ma di Generale delle Galere, com'è ora quello di Napoli, nulladimeno avea l'istessa potenza degli Ammiragli, dimodochè all'antico Ammiraglio non rimase se non il suo antico lato di Normannia e Piccardia col titolo d'Ammiraglio di Francia indefinitamente. Non così nel Regno di Sicilia, ove uno era il Grand'Ammiraglio e teneva sotto di se tutti gli altri Ammiragli, detto perciò Admiratus Admiratorum, poichè nelle altre parti del Regno di qua e di là del Faro, non solamente le province, ma anche le città aveano i loro particolari Ammiragli, subordinati tutti al primo e Grande Ammiraglio. In fatti in queste nostre province erano molti Ammiragli in un tempo istesso, siccome ce ne accerta la Cronaca Cassinense, ove di alcuni di essi sovente accade farsi memoria; e quasi in tutte le città marittime vi risiedeva un Ammiraglio per ciascheduna e questi per lo passato eran creati dal Re, ed aveano cura de' legni e de' vascelli regi. E ne' tempi posteriori de' Re angioini, venivano chiamati Protontini, i quali amministravan giustizia a tutti coloro che viveano dell'arte marinaresca, che risiedevano in quelle città e riviere. Così il Tutino rapporta molte carte, nelle quali molti vengono nomati Ammiragli di diverse città di mare, come Landulfo Calenda Ammiraglio di Salerno, Lisolo Sersale Ammiraglio, ed altri moltissimi. In questa maniera avendo i nostri Re normanni, non meno per terra, che per mare proccurato stabilire il loro Imperio, ed avendo perciò istituito vari Ufficiali, a' quali il governo e la sicurezza del mare, de' porti, del commercio, delle navigazioni, e de' traffichi era commesso proccurarono perciò stabilire ancora molte leggi, dalle quali in decorso di tempo, surse, non altrimenti che si fece de' Feudi, un nuovo corpo di leggi Nautiche appellate; e che col correr degli anni, siccome abbiam veduto, dopo il Jus comune feudale, sorgere una nuova ragione feudale non comune, ma speziale per questo nostro Reame: così ancora per la nautica, oltre il Jus comune, una nuova ragion particolare per queste nostre province.
Delle leggi navali.
Le leggi appartenenti alla Nautica presso i Romani non erano altre, se non quelle, che da' Rodiani appresero: perciò la legge Rodia fu cotanto rinomata, e n'andò cotanto chiara e luminosa in tutto quel vasto Imperio, che gl'Imperadori Tiberio, Adriano, Antonino, Pertinace e Lucio Settimio Severo stabilirono molte leggi approvandole, e dando loro forza e vigore per tutto l'Imperio; onde ne surse il Jus Navale Rodiano, tratto dall'undecimo libro de' Digesti, il quale dalla Biblioteca di Francesco Piteo, dove lungo tempo giacque sepolto, fu finalmente pubblicato al Mondo. Ma da poi avendo gl'Imperadori d'Oriente, in Costantinopoli, città per tre suoi lati bagnata dal mare, fermata la loro sede, e le maggiori loro forze collocate nelle armate navali, attesero molto più per mezzo di queste, che d'eserciti terrestri a conservare i loro dominj e le ragioni di quel cadente Imperio, le quali circondate nella maggior loro estensione dal mare, più dall'armate, che dagli eserciti potevano tenersi in sicurezza; perciò di questi ultimi Imperadori d'Oriente abbiamo più leggi attinenti alla nautica ed al commercio del mare, ed alla sicurezza de' porti, e delle navigazioni, le quali furono raccolte parte da Leunclavio, e da Pietro Peckio, e parte ultimamente dall'incomparabile Arnoldo Vinnio, il quale ebbe la cura d'impiegare gli alti suol talenti anche intorno a queste leggi, e sopra l'opera del Peckio aggiungere le sue osservazioni.
Ma queste leggi degl'Imperadori d'Oriente patirono in queste nostre regioni quel medesimo infortunio, che tutte l'altre loro compilazioni. Presso di noi la Tavola Amalfitana, come dice Marino Freccia era quella donde s'apprendevano le leggi attinenti alla nautica; nè è inverisimile, che gli Amalfitani per le spesse navigazioni e continuo traffico, che aveano cogli Orientali, dalle leggi di quegl'Imperadori, e più dalla lunga esperienza, e da' pericoli sofferti in mare, l'apprendessero. E poichè ne' medesimi tempi i Catalani, gli Aragonesi, i Pisani, i Genovesi ed i Veneziani parimente s'erano renduti potenti in mare e celebri, non altrimenti che gli Amalfitani, per le navigazioni nelle parti orientali ed altrove, ne nacque perciò un nuovo corpo di statuti e costumanze, che ora ristretto in un picciol volume, va attorno sotto nome di Consolato del Mare, donde i Naviganti prendon la norma per terminare le lor contese, il che producendo buon effetto ne' sudditi, da ciascun Principe vien approvato; ed i regolamenti in quello stabiliti, come loro particolari statuti e costumanze vengono inviolabilmente osservati.
Questi Capitoli, onde si compone il Consolato del Mare, furono approvati da' Romani, da' Pisani, dal Re Luigi di Francia, dal Conte di Tolosa, e da molti altri Principi e Signori; ed i Re d'Aragona, ed i Conti di Barzellona ve ne aggiunsero degli altri; ed Arnoldo Vinnio non s'allontana dall'opinione di coloro, che narrano questa compilazione essersi fatta a' tempi di S. Lodovico Re di Francia. Fu data poi alle stampe in Venezia da Giovambatista Pedrezano, il quale intitolò questa Raccolta: Il libro del Consolato de' Marinari, e lo dedicò a M. Tomaso Zarmora Console allora in Venezia per l'Imperadore Carlo V; fu da poi nell'anno 1567 ristampato in Venezia stessa, ed è quello, che ora va attorno per le mani d'ognuno; e che nel Tribunale del Grand'Ammiraglio del nostro Regno ha tutta l'autorità e 'l vigore.
Ma i nostri Principi di ciò non soddisfatti, vollero per questo Regno stabilire sopra gli affari marittimi, particolari leggi. L'Imperador Federico II, oltre di quelle che furono inserite nel Codice, stabilì molti Capitoli attinenti all'Ufficio dell'Ammiraglio, ne' quali si prescrive al medesimo ciò che deve esser della sua incumbenza, quello che se gli appartiene, e sin dove s'estende l'autorità sua. Ne' tempi de' Re angioini furono aggiunti a' medesimi molti altri Capitoli, per li quali fu in nuovo modo prescritta la sua autorità, come si osserva in quelli stabiliti da Carlo II d'Angiò a Filippo Principe d'Acaja e di Taranto, suo figliuolo quartogenito, quando lo creò Grand'Ammiraglio, che vengon trascritti dal Tutini. Da poi i Re aragonesi accrebbero molte altre cose a' Capitoli de' loro predecessori, che dovea osservar l'Ammiraglio, e molti ne aggiunse Ferdinando I a Roberto S. Severino Conte di Marsico, quando nell'anno 1460 lo creò Ammiraglio, pur rapportati dal Tutino. Ed in tempo degli Austriaci molte prammatiche si promulgarono attinenti a quest'Ufficio, delle quali, quando ci tornerà occasione, non si tralascerà farne memoria.
Tanta e tale era la dignità del Grand'Ammiraglio ne' secoli andati, e cotanto era grande la sua incumbenza, che per regolarla vi fu uopo di tanti provvedimenti finchè ne surse una nuova ragione, nautica appellata. Ma sì sublime Ufficio nel nostro Regno sin da' tempi di Marino Freccia cominciò a decadere dal suo splendore, e molto più ne' tempi men a noi lontani, ed oggi appena serba qualche vestigia della sua grandezza, ritenendo, oltre gli onori e preminenze, un Tribunale a parte da se dipendente, e la giurisdizione sopra coloro che vivono dell'arte marinaresca. Le cagioni di tal declinazione ben s'intenderanno nel corso di questa Istoria, ove si conoscerà, che sin a tanto, che i nostri Re furono potenti in mare, ed insino che i Normanni, gli Svevi, e sopra tutti gli Angioni mantennero molte armate navali, crebbe nel suo maggior splendore; ma da poi diminuite l'armate, e passato il Regno sotto la dominazione degli Austriaci, essendosi introdotta nuova forma e nuovo regolamento dipendente da quello di Spagna, mancò tanta autorità, e passò in parte a' Generali delle galee, sebbene non coll'istessa potenza e prerogative del Grand'Ammiraglio.
§ III. Del Gran Cancelliero.
Non dovrà sembrar confuso e perturbato l'ordine che io tengo in noverando gli Ufficj della Corona, e se, non serbando quello tenuto dagli altri Scrittori, vengo a parlare, dopo il Grand'Ammiraglio, del Gran Cancelliero. So che Marino Freccia diede a quest'Ufficio l'ultimo luogo, se bene non si sappia per qual ragione il facesse, giacch'egli medesimo ne' Parlamenti, e nell'altre funzioni pubbliche, gli dà il sesto luogo, e lo fa precedere al Gran Siniscalco, il quale non siede a lato, ma a' piedi del Re. Altri perciò lo collocano nel sesto luogo dopo il Gran Protonotario; e così questi, come Freccia, danno il secondo luogo al Gran Giustiziero dopo il Gran Contestabile.
Li Franzesi però dopo il Gran Contestabile, collocano il Gran Cancelliero; ed io dico, che gli uni, e gli altri assai bene han fatto di disporgli con questo ordine. Altro è il Gran Cancelliere di Francia, altro fu il Gran Cancelliero di Sicilia a' tempi de' Normanni, ed altro è, e pur troppo diverso il Gran Cancelliero del Regno di Napoli, precisamente se si riguardano i tempi, ne' quali scrissero il Freccia, e gli altri Autori, e più se avrem mira a' tempi nostri.
Hanno le dignità secondo il volere de' Principi, le loro declinazioni, ed i loro innalzamenti: il Principe siccome è l'Oceano di tutte le dignità, così è anche la lor regola e la lor norma; e siccome ben a proposito disse Giorgio Codino degli Ufficiali del Palazzo, egli è lecito a' Principi innovare così le cose, come i nomi a lor modo, ed innalzare ed abbassare secondo loro aggrada.
Il Cancelliero presso i Franzesi era l'istesso, che il Questore presso i Romani nella maniera, che Simmaco, e Cassiodoro ce lo descrissero: Quaestor es, legum conditor, regalis consilii particeps, justitiae arbiter. Era per ciò il Capo della giustizia, come il Contestabile Capo delle armi: Principe di tutti gli Ufficiali di pace; Magistrato de' Magistrati, e fonte di tutte le dignità.
Perchè fosse chiamato Cancelliero, non è di tutti conforme il sentimento. Il Vecchio Glossario dice, che fosse così detto, perchè appartenendo a lui l'esaminare tutti i memoriali, che si danno al Principe, avea potestà di segnare ciò che pareva a lui, che potesse aver cammino, e di cancellare le importune dimande, dando di penna su i memoriali con tirar linee sopra di quelli per lungo, e per traverso a guisa di cancelli. Ma questa è una molto strana etimologia, che dovesse prendere il Cancelliere il suo nome più tosto da ciò, ch'egli disfà, che da quello, che fa. Meglio interpretarono Cassiodoro e Agatia, che lo derivarono a Cancellis; poichè dovendo questo Ufficiale soprantendere alla spedizione di tutti i rescritti del Principe, sentire tutti coloro, che gli presentavano i memoriali, acciocchè non fosse premuto dal Popolo, ed all'incontro da tutti fosse veduto, soleva stare fra Cancelli, siccome si praticava in Roma ed in Francia; ond'è che Tertulliano soleva dire: Cancellos non adoro, subsellia non contundo.
Tiene egli perciò per sua insegna il suggello del Re, onde appresso i Franzesi è anche nomato Guardasigillo, poichè per le sue mani passano tutti i privilegi, e tutte le spedizioni del Re ch'egli suggella; dando titolo, ovvero lettere di provisione a tutti gli Ufficiali, le quali può egli rifiutare, o differire come gli piace non suggellandole. Quindi il nostro Torquato al Gran Cancelliere d'Egitto gli dà per sua insegna il suggello:
L'altro ha il sigillo del suo Ufficio in segno.
Gode perciò molte insigni prerogative; ha la presidenza al Consiglio di Stato negli affari civili del Regno, onde il Tasso soggiunge:
Custode un de' secreti, al Re ministra
Opra civil ne' grandi affar del Regno.
Ha l'espedizion degli editti, e ogni altro comandamento del Re. Ha la soprantendenza della giustizia, ed egli è il Giudice delle differenze, che accadono sopra gli Ufficj ed Ufficiali, regolando le lor precedenze, e distribuendo a ciascun Magistrato ciò ch'è della sua incumbenza, perchè l'uno non attenti sopra l'altro.
Queste erano le grandi prerogative de' Cancellieri di Francia, donde l'apprese Ruggiero, e del Regno di Sicilia a tempo de' Normanni. Dignità pur troppo eminente, e che gareggiava quasi con quella de' Principi stessi: onde meritamente era a costoro, dopo il Contestabile, dato il secondo luogo.
Il primo Cancelliere, che s'incontra nel Regno di Ruggiero fu Guarino Canzolino molto celebre presso Pietro Diacono nella Giunta alla Cronaca Cassinense: di costui Ruggiero valevasi ne' più gravi affari della Corona, e gli diede la soprantendenza, ed il supremo comando di queste nostre province. Narrasi, che Guarino per lo sospetto, che avea de' Monaci Cassinensi che non s'unissero al partito di Lotario, erasi finalmente risoluto, fattisi venire da Benevento, dalla Puglia, dalla Calabria e da Basilicata molti soldati, ed alcune macchine di guerra, di espugnare Monte Cassino; ma che non guari da poi infermatosi in Salerno, giunto all'estremo di sua vita, mentr'era per uscirgli l'anima dal corpo, gli fossero uscite di bocca gridando queste parole: Ahi Benedetto e Mauro perchè m'uccidete? onde narra Pietro Diacono, che nel medesimo tempo Crescenzio Romano Monaco di quel monastero per non esser riputato meno degli altri, tutto sbigottito e tremante dicesse a' suoi Monaci, ch'avea avuta visione, nella quale gli apparve uno spaventevole lago tutto di fuoco, le cui orribili onde s'innalzavano sino al Cielo; e per esse vedea ravvolgersi l'anima del Gran Cancelliere: che eragli sembrato parimente di vedere due Frati alla riva del lago, e dal più vecchio di loro esser dimandato se sapea chi fosse colui, che vedea così dall'onde travagliato, e rispondendo egli del no, gli fu dal medesimo manifestato esser l'anima di Guarino, ch'era condennata a sì fatta pena per aver travagliato i Monaci di Monte Cassino, il quale richiesto chi egli si fosse, rispose ch'era Frate Benedetto; ed in questo destossi Crescenzio, e la vision disparve.
L'altro Cancelliere, che ne' tempi di Ruggiero esercitò quest'Ufficio, fu Roberto, di legnaggio inglese. Ruggiero, come altre volte fu notato, nel governo de' suoi Reami si servì sempre di Ministri di molta dottrina e prudenza, facendogli venire anche da remote parti; e siccome innalzò ad esser Grand'Ammiraglio Giorgio d'Antiochia, così anche sin da Inghilterra chiamò questo famoso Roberto, che oltre averlo impiegato agli affari più rilevanti della sua Corona, e di commettere a lui la difesa di Salerno, quando da Lotario, dal Principe di Capua e da' Pisani fu assediata, gli commise ancora il governo della Puglia e della Calabria; e fu cotanto luminosa la fama della sua saviezza ed integrità, che Giovanni Saresberiense Vescovo dei Carnuti, narra di lui un avvenimento da non tralasciarsi in quest'Istoria. Governando questo Gran Cancelliero la Puglia e la Calabria, avvenne che per morte del suo Prelato vacasse la Chiesa di Avellino. Nell'elezione del successore, era di mestieri ricercarsi la volontà e l'assenso del Re, siccome costumavasi in tutte le Chiese cattedrali: Roberto che in nome del Re dovea darlo, ne fu ricercato istantemente da molti; infra gli altri ebbe tre forti pretensori, un Abate, un Arcidiacono, e un secolare della Casa del Re, che teneva un fratello Cherico, i quali fecero con Roberto grandi impegni, e ciascun di essi gli promise grossa somma di moneta se avesse fatto crear il Vescovo secondo il suo intendimento: il Cancelliero volendo schernire la loro malvagità, pattuì con tutti tre separatamente, dando loro ad intendere, che fatto avrebbe quello che ciascun d'essi chiedea; ed avuti pegni e sicurtà de' promessi pagamenti, venne il giorno stabilito alla elezion del Vescovo, nel qual ragunato il Clero d'Avellino con molti Arcivescovi, Vescovi, ed altri Prelati e persone di stima, raccontò Roberto la frode, che coloro commetter voleano; ed avendogli come simoniaci fatti escludere dalla prelatura per sentenza di tutti coloro che colà erano, e riscosso in pena del lor fallo il danaro convenuto, si adoperò poscia, che fosse eletto Vescovo un povero Frate di buona e santa vita, ma che punto a ciò non badava, a cui diede l'assenso.
Il terzo Gran Cancelliero, che incontriamo nel Regno di Ruggiero si fu il cotanto rinomato Giorgio Majone. Nacque costui in Bari d'assai umile condizione, ma dotato dalla natura d'una maravigliosa facondia ed accortezza, fece tanto, ch'essendo figliuolo d'un povero venditor d'olio, ebbe modo d'esser posto in Corte nella real Cancelleria, ove dal Re Ruggiero fu prima creato suo Notajo: da poi avendo occupati altri minori ufficj della Cancelleria, fu fatto Vicecancelliero, e finalmente innalzato ad esser suo Gran Cancelliero, e fu cotanto caro a questo Principe, che finchè visse l'adoperò negli affari più rilevanti del suo Regno; e morto Ruggiero, con raro esempio, per le sue arti fu così caro a Guglielmo suo figliuolo, che oltre ad averlo creato Grand'Ammiraglio, pose anche in sua mano tutto il governo del Regno. Sotto i due Guglielmi tennero quest'Ufficio i primi personaggi di que' tempi: tennelo l'Eletto di Siracusa, e da poi Stefano di Parzio Arcivescovo di Palermo.
Cotanta in questi tempi era la grandezza e dignità di questo supremo Ufficio così in Francia, come in Sicilia appresso i Normanni; nè minori eran le sue preminenze nelle Corti d'altri Principi. Ma da poi fu riputato savio consiglio de' Principi di togliergli tante e così eminenti prerogative, con riunirle ad essi donde procederono; del che n'abbiamo un ben chiaro ed illustre esempio nel Cancelliere della Santa Sede di Roma. Ne' tempi antichi ebbe questa Sede un Cancelliere, l'autorità del quale era sì grande, che gareggiava col Papa istesso: veniva perciò occupato da' primi personaggi; e da questo posto regolarmente si faceva passaggio al Ponteficato. Così Papa Gelasio II porta l'epitafio composto da Pietro Pittaviense, avanti d'essere Papa, Archilevita fuit, et Cancellarius Urbis; e narrasi ancora, che Alessandro II quando fu eletto Papa era Cancelliere della Sede Romana.
Ma da poi Bonifacio VIII vedendo l'autorità del Cancelliere in Roma in tanta grandezza, sì che, come dicono molti Scrittori, quasi de pari cum Papa certabat, abolì questo Ufficio di Cancelliere in Roma, ed attribuendo la Cancelleria a se medesimo, vi stabilì solamente un Vicecancelliere; onde è che in Roma questo Ufficio di Vicecancelliere non riconosce altro per suo maggiore nella medesima sfera, poichè il Cancellierato al Papa è attribuito; ed essendosi perciò prima quest'Ufficio dato a coloro, che non erano Cardinali, si dissero sempre Vicecancellieri; ma da poi essendosi tornato a darlo a' Cardinali, ritenne ancora questo medesimo nome di Vicecancelliere, ancorchè fosse estinto quello del Cancelliere; non altrimenti che chiamano Prodatario e Vicedatario quel Cardinale che è Prefetto alla Datarìa del Papa, quantunque non esercitasse le veci d'altro Ministro a se superiore; poichè la Cancelleria e Datarìa fu al Papa attribuita.
Per questa medesima ragione solo nel Sesto Decretale si fa menzione del Vicecancelliere, come notò la Glossa, e Gomesio sopra le regole della Cancelleria; se bene Onofrio Panvinio al libro de' Pontefici dice, che dal tempo d'Onorio III non vi furono più Cancellieri in Roma, ma solamente un Vicecancelliere.
Non altrimenti accadde nel nostro reame a questo supremo Ufficio di Gran Cancelliere; poichè a tempo del Re Cattolico, e dell'Imperador Carlo V la Cancelleria fu attribuita al Re, e fu eretto perciò un nuovo Tribunale amministrato da' Reggenti detti perciò di Cancelleria, i quali esercitano tutto ciò, che prima era dell'incumbenza del Gran Cancelliere, perchè essi sottoscrivono i memoriali, che si danno al Principe, essi pongono mano ai privilegi, essi hanno l'espedizione degli editti, e de' comandamenti del Re. Essi sono li Giudici delle differenze, che accadono tra gli Ufficiali, decidendo le precedenze, e distribuendo a ciascun Magistrato ciò, ch'è della loro incumbenza; presso di essi risiede la Cancelleria, e con essa i scrigni, i registri, e tutto ciò che prima era presso il Gran Cancelliere: hanno perciò un Secretario, e molti altri Ufficiali minori, che si dicono perciò di Cancelleria, di che altrove, quando ci toccherà di trattare di questo Tribunale, ragioneremo.
Quello, che oggi è nella Casa de' Principi d'Avellino, non è che un Ufficio dipendente da questo, di cui ora trattiamo; poichè le sue prerogative si ristringono solamente sopra il Collegio de' Dottori, e le di lui funzioni non altre sono che di promovere al grado del Dottorato, tener Collegio di Dottori a questo fine per esaminare i Candidati, approvargli, riprovargli, e far altre cose a ciò attinenti; poichè presso noi il dare il grado di Dottore non è dell'Università degli Studj, ma del Principe, il quale ne ha delegata questa sua potestà al Gran Cancelliere, e suo Collegio. Molti di questi Cancellieri ebbe la Francia, come il Cancelliere dell'Università di Parigi, ch'era anticamente un Ufficio di tale importanza, che Bonifacio VIII per li grandi affari, ch'egli aveva in Francia se l'appropriò a fin d'avere l'autorità particolare sopra quell'Università principalmente verso i Teologi, i quali dal Cancelliere hanno i gradi, la benedizione e commessione di predicare per tutto il Mondo; ma dopo la morte di Bonifacio, l'Università di Parigi fece tutti gli sforzi per riaver quest'Ufficio, tanto che da Benedetto XI suo successore le fu renduto; onde per evitare per l'avvenire simile usurpazione, fu dato ad una Canonia della Chiesa cattedrale di Parigi.
E per questa cagione Marino Freccia trattando di questi Ufficj, avendo avanti gli occhi solamente ciò che si praticava a' suoi tempi, pose il Gran Cancelliero nell'ultimo luogo, poichè il Gran Cancelliero d'oggi, che vien reputato uno de' sette Ufficj del Regno, non è che un rivolo di quel fonte: non esercita, che una delle molte prerogative, che prima adornavano quella dignità essendosi oggi quasi ch'estinto, e attribuita la Cancelleria al Re, che perciò per esercitarla vi eresse un nuovo Tribunal supremo, detto di Cancelleria, amministrato, come s'è detto, da' Reggenti.
Non è però da tralasciare, che in tempo dell'Imperadore Federico II e del Re Carlo d'Angiò, ancorchè quest'Ufficio fosse molto decaduto dall'antico suo splendore, riteneva però la giurisdizione sopra tutti i Cherici del palazzo reale, e sopra tutti i Cappellani regj: di che molto si maravigliava Marino Freccia, come un laico sopra i Cherici potesse stender la sua giurisdizione, quando questi, e per ragion divina, canonica ed imperiale sono da' laici esenti; onde per togliere questa, che a lui sembrava stranezza, volle ricercarne le cagioni. Disse che ciò era, perch'essendo questo Regno del patrimonio di S. Pietro, bisognava credere, che i Re anche fossero stati investiti dalla Sede Appostolica di questa prerogativa, e perciò si debbiano reputare, come Ministri e Delegati della Sede Appostolica. Nè ciò deve sembrar strano, e' dice, perchè i Re non devono considerarsi come meri laici, poichè s'ungono, e prima erano anche Sacerdoti. E ciò non bastandogli soggiunge, che Federico e Carlo ebbero specialmente tal autorità dalla Sede Appostolica, acciocchè deputassero un Giudice sopra tutti i Cherici della Casa regale; e che da poi parendo cosa disdicevole, e non decorosa, che un laico come Delegato della Sede Appostolica esercitasse giurisdizione sopra i Cherici, da Alfonso I, si fosse destinato un de' suoi Cappellani per Giudice, il quale esercitando giurisdizione sopra tutti gli altri Cappellani e Cherici della cappella del Re, si fosse perciò detto Cappellano maggiore, e ciò con licenza della Sede Appostolica; onde si fece che non fosse più del Gran Cancelliere quest'incumbenza, ma del Cappellano maggiore.
Ma non dovea cotanto maravigliarsi Freccia, se a questi tempi il Cappellan maggiore era subordinato al Gran Cancelliere, ed assistesse alla sua Cancelleria; poichè in Francia, come rapporta Pietro di Marca, praticavasi lo stesso nella linea de' Re carolingi; nel qual tempo nel palazzo regale presedevano il Maestro del Palazzo per le cose dell'Imperio, ed il Cappellano maggiore, detto ancora Arcicappellano per le cose ecclesiastiche e del Sacerdozio, il quale, come avverte Inemaro, Vice Regis in consessu Episcoporum et Procerum jus dicebat, nisi causae gravitas exigeret Regis praesentiam. E non già a tempo d'Alfonso I d'Aragona, ma molto tempo prima si vede essersi distaccata questa preminenza dall'Ufficio di Gran Cancelliere; e fu quando, avendo Carlo I d'Angiò collocata la sua Sede regia in Napoli, fu destinato uno de' suoi Cappellani per Giudice, il quale esercitasse giurisdizione independentemente dal Gran Cancelliere, sopra tutti gli altri Cappellani e Cherici della Cappella regia onde prese il nome di Protocappellano regio, ovvero di Maestro della Cappella regia, e finalmente di Cappellano maggiore; del cui ufficio, siccome dei simiglianti introdotti da Carlo I d'Angiò nella sua Casa regale di Napoli, dovremo nel Regno suo favellare.
Così in decorso di tempo, passate le grandi e molte prerogative di quest'Ufficiale nella Cancelleria del Re; passata ancora quest'altra nel Cappellan maggiore con totale independenza; oggi non rimane altro al Gran Cancelliero, che il conferir i gradi del Dottorato, in legge, teologia, filosofia e medicina, e la soprantendenza nel Collegio de' Dottori. Ritiene bensì l'onere della porpora, di sedere ne' Parlamenti, e nelle altre funzioni pubbliche ove interviene il Re; ma nel sesto luogo, ed a man sinistra allato del Re dopo il Gran Protonotario, e tra i sette Ufficiali del Regno vien anche annoverato.
§. IV. Del Gran Giustiziero.
L'Ufficio del Gran Giustiziero se bene presso i Franzesi fosse subordinato al Gran Cancelliere, ch'era il Magistrato de' Magistrati e Capo di tutti gli Ufficiali di giustizia, e sotto il Regno di Ruggiero la sua autorità non fosse cotanto ampia; nulladimeno avendo Guglielmo suo successore istituito il Tribunal della Gran Corte, e da poi Federico II, avendo stabilito per più Costituzioni che il Maestro Giustiziero, che a quel Tribunale soprastava, fosse il Capo e supremo sopra tutti gli altri Giustizieri delle province, si fece che questo Ufficio non solo fosse riputato un de' maggiori e più grandi del Regno, ma che occupasse il secondo luogo dopo il Gran Contestabile: per questa cagione egli siede il primo alla sinistra del Re, veste di porpora, ed ha per sua particolar insegna lo stendardo; di che presso noi è ancor rimaso vestigio, poichè in congiuntura di doversi eseguire la condanna di alcuno sentenziato a morte, si caccia questo stendardo fuori di un balcone, in segno dell'autorità del Gran Giustiziero. E quanto più da Federico II, fu innalzato il Tribunal della Gran Corte costituendolo supremo e superiore nel Regno sopra tutti gli altri, ove dovessero trattarsi non solamente le cause civili e criminali, ma anche le cause feudali, delle Baronie, de' Contadi, de' Feudi quaternati, e di più tutte le cause d'appellazioni; ed oltre a ciò non solo volle che si riportassero per via d'appellazione quelle, che si erano agitate ne' Tribunali degli altri Giustizieri delle province, ma anche le cause delegate dal Re; avendo sottoposti alla sua giurisdizione tutti i Duchi del Regno, i Principi e tutti gli altri Baroni; ed in oltre che potesse conoscere anche de' delitti di Maestà lesa: tanto il Giustiziero, che avea la soprantendenza di questo Gran Tribunale, crebbe sopra tutti gli altri Ufficiali della Corona, e Gran Giustiziero meritamente appellossi; e Federico in una sua Costituzione lo chiamò perciò luminare majus, per lo splendore del quale si oscurano gli altri minori, onde è che visitando egli le province, cessano gli altri Giustizieri.
Nel che dovrà notarsi, che sin da questo tempo de' Re normanni si cominciò quella divisione delle province, che oggi in gran parte ancor riteniamo, le quali in questi tempi non aveano nome di province, ma di Giustizierati preso da' Giustizieri, da' quali venivano governate; non altrimenti che ne' tempi dei Longobardi, si dissero Castaldati da' Castaldi, che ne aveano il governo. Infatti abbiamo, ne' tempi del Re Guglielmo II, Tancredi Conte di Lecce Giustiziero della Puglia e di Terra di Lavoro; il Conte Pietro Celano e Riccardo Fondano, essere stati Giustizieri delle stesse province. Così sovente ne' tempi posteriori leggiamo ne' registri rapportati dal Tutino, che mandandosi questi Giustizieri nelle province, si nominavano perciò non Magistri Giustizieri, o Magni Giustizieri, a differenza del Giustiziero del Regno, ma di quelle sole province delle quali aveano avuto il governo. Così Giovanni Scotto si disse Giustiziere d'Apruzzo, e Guglielmo Sanfelice Giustiziere di Terra di Lavoro, donde le province presero queste denominazioni, e surse lo Justiziariato di Calabria, lo Justiziariato di Puglia, di Terra di Lavoro ed altri, che oggi province si chiamano; anzi in quest'istessi tempi de' Normanni e de' Svevi ancora, sovente una provincia era governata da due Giustizieri, siccome nei tempi di Guglielmo II nella provincia di Salerno vi erano due Giustizieri, Luca Guarna e Filippo da Cammarota. E nell'anno 1197 abbiamo, che Roberto di Venosa e Giovanni di Frassineto furono ambedue Giustizieri della terra di Bari. E nel 1225 Pietro d'Eboli e Niccolò Cicala furono Giustizieri di Terra di Lavoro. Il che da poi da Federico II fu in miglior forma mutato e stabilito, che per ciascuna provincia, fosse uno Giustiziero, il quale dovesse avere un sol Giudice ed un Notaio d'atti, che oggi diciamo Mastrodatti, siccome stabilì nella Costituzione Occupatis al libro primo. Ciò che fu da poi ritenuto dagli Angioini, li quali in ciascuna provincia mandavano un solo Giustiziero, che oggi da noi Preside s'appella.
Chi fosse stato nel Regno di Ruggiero Maestro Giustiziero, non abbiamo, che un sol riscontro nell'Archivio della Trinità di Venosa, in un istromento rapportato dal Tutini, ove si legge che nell'anno 1140 fu Giustiziero dei Re Errico Ollia. Ego Henricus Ollia Dei gratia Regalis Justitiarius; ma ne' tempi de' due Guglielmi suoi successori, così presso Romualdo Arcivescovo di Salerno, come nella Cronaca di Notar Riccardo da S. Germano, se ne incontrano molti; come Roberto Conte di Caserta, Ruggiero Conte di Andria e Luca Guarna, come diremo ne' Regni di questi Principi; onde fassi chiaro l'error di coloro, che reputarono questo Ufficio averlo introdotto nel Regno Federico II. Fu sì bene da questo Imperadore in più sublimità e in miglior forma stabilito per mezzo delle sue molte Costituzioni attinenti a quest'Ufficio, non già che egli fosse stato il primo ad introdurlo, come dalle medesime sue Costituzioni ciascuno potrà conoscer chiaramente. Altre leggi furono da poi promulgate a' tempi degli Angioini intorno all'Ufficio del Gran Giustiziero e molti Capitoli abbiamo sopra ciò di Carlo II, che trattano della sua giurisdizione ed incumbenza; ma dovendo di quest'Ufficiale trattare più ampiamente, quando del Tribunale della Gran Corte della Vicaria farem parola, riserbiam perciò in quel luogo di discorrere così del suo incremento, come della sua declinazione; poichè essendosi in decorso di tempo sotto i Principi aragonesi ed austriaci eretti altri Tribunali, siccome quello della Gran Corte perdè sua antica autorità e dignità, così ancora il Gran Giustiziero restò in gran parte spogliato del suo splendore e delle sue preminenze; tanto che oggi è rimaso solo a titolo d'onore, nè ritiene altro se non la precedenza sopra gli altri Ufficiali dopo il Gran Contestabile, di cuoprirsi di porpora nelle funzioni e celebrità pubbliche, e di godere quelli onori e preminenze che godono gli altri Ufficiali della Corona.
§. V. Del Gran Camerario.
Ciò che nel Regno di Francia era chiamato il Gran Tesoriero, per la soprantendenza, che teneva delle Finanze, presso di noi Gran Camerario appellossi, essendo egli il Capo Ufficiale della Camera de' conti del Re. Prima la sua incumbenza era di aver custodia della persona del Re, dentro la sua Camera accomodare il suo letto, aver la cura e il pensiero di provvedere il Re e i suoi figliuoli di abiti: disponere le sentinelle per custodia della persona del Re nella sua Camera, ordinare gli uscieri, distribuire le vesti per la famiglia del Re, e custodire le gioie ed altri monili preziosi, l'oro, l'argento ed i panni di lana o di seta. Ma la sua principal incumbenza era di ricevere tutto il denaro, che si manda alla Camera del Re; soprantendere a tutti gli altri Tesorieri del Regno, levargli ed in suo luogo sostituire altri. Era ancora sua incumbenza di aver notizia di tutte le ragioni appartenenti al regio Fisco, delle rendite, delle gabelle e di tutti gli Ufficiali. Avea perciò giurisdizione sopra tutti li Tesorieri e Commessari delle province, sopra tutti gli erari e Percettori dell'entrate del Regno, e tenea conto del denaro del Re, che a lui per qualunque cagione era da' Percettori inviato, i quali doveano a lui render conto di tutte l'esazioni ed entrate. Quindi avvenne, che siccome in Francia, essendo li Tesorieri dispersi in tutto il Regno, e la loro carica divisa per le province, fu riputato necessario ergere un Tribunale supremo e generale delle Finanze, dove si formasse lo stato intiero di quelle, e se ne facesse il ripartimento a ciascuno de' Tribunali particolari delle province, e dove finalmente tutto si riportasse: così presso di noi surse perciò un nuovo Tribunale supremo e generale delle Finanze, ove tutto si riportasse: Capo del quale era il Gran Camerario, essendo egli il supremo sopra tutti gli altri Ufficiali, che sono impiegati intorno alle cose fiscali, a' diritti ed alle esazioni, rendite e gabelle del Re, come sono i Camerarj delle province, i Portolani, i Secreti, i Doganieri, gli Erarj ed ogni altro, da' quali egli riceve i conti; onde perciò fu appellato Capo ufficiale della Camera de' conti, che ha molta simiglianza al Comes sacrarum largitionum presso i Romani; e siccome presso coloro più erano gli Quaestores pecuniarum, così ancora presso noi più furono i Tesorieri minori, i Camerarj, i Portolani, i Secreti, i Doganieri ed altri, de' quali era incumbenza di raccogliere il denaro del Re. Questo Tribunale in tempo di Federico II e dei Re della Casa di Angiò si reggeva per li Maestri Razionali nella Corte della Regia Zecca; i quali erano detti Maestri Razionali, perchè la maggior loro incumbenza era di invigilare, affinchè i minori Camerarj, Tesorieri, Doganieri ed altri rendessero ragione della loro amministrazione, e ricevevano perciò da essi i conti dell'esazioni fatte e del denaro che mandavano alla Camera del Re.
Grandi privilegi e prerogative furono concedute dal Re Lodovico d'Angiò e da Giovanna I, a questi Maestri Razionali, li quali erano anche chiamati M. Razionali della Gran Corte, ed a' tempi de' Re angioini da' personaggi, che sostenevano queste cariche, si vede quanto chiara ed illustre fosse questa dignità; poichè si legge, che il famoso Andrea d'Isernia, il celebre Niccolò Alunno d'Alife, ed altri insigni Giureconsulti sotto il Re Carlo II, Roberto ed altri Re suoi successori furono Maestri Razionali.
A' tempi posteriori degli Aragonesi, il Re Alfonso II, a questo Tribunale unì l'altro da lui eretto della Summaria, il qual si reggeva per quattro Presidenti legisti e due idioti, dandogli un Capo, che vi presedesse in luogo del Gran Camerario, onde prese il nome di suo Luogotenente . Si vide per ciò questo Tribunale in maggior splendore ed autorità; poichè oltre alla cura del patrimonio regale, gli fu data anche la cognizione delle cause feudali, le quali prima s'appartenevano alla Gran Corte. Surse quindi il nome della Camera Summaria, e Presidenti della Summaria, prendendo tal denominazione (senza che ci andiamo lusingando con etimologie più speziose di summa rei, ovvero rationis, come vaneggia Luca di Penna, seguitato a torto da Marino Freccia, di che a ragione ne fu ripreso dal Reggente Moles) dalla cognizione sommaria, che doveano prendere sopra i conti, declaratorie, o significatorie, che da' Maestri Razionali si spedivano. Onde siccome appresso i Franzesi questo Tribunale si appella la Camera de' conti, ovvero delle Finanze: così presso di noi per l'istessa cagione fu detta Camera della Summaria. Ciò che maggiormente si conferma da un privilegio dell'istesso Re Alfonso inserito nelle nostre prammatiche, dove il Re chiaramente dice, essersi questo Tribunale chiamato della Summaria, quod rationes ipsae in Camera per Praesidentes, et Rationales ibidem ordinatos SUMMARIE viderentur: di che ci tornerà occasione di parlare più ampiamente, quando dell'istituzione di questo Tribunale della Camera seguita nel Regno d'Alfonso I, ci toccherà di favellare.
Questo supremo Ufficio di Gran Camerario, siccome è vero ciò che dice Freccia, che fu da Carlo I d'Angiò ristabilito in miglior forma, a somiglianza di quello di Francia: non è però che fosse stato Carlo il primo ad introdurlo, essendo stato conosciuto dai nostri Re normanni e svevi; e di molti Camerarj fassi nel Regno di questi Principi memoria: molti se ne leggono nel Regno di Ruggiero istesso, ma i loro nomi essendo stati a noi involati dall'antichità del tempo, non abbiam potuto qui registrargli. Ben nei tempi di Guglielmo I suo successore, infra gli altri, leggiamo Maestro Camerario del palagio reale, Gaito Joario; dopo la morte del quale fu creato Maestro Camerario Gaito Pietro Eunuco, ambedue Saraceni. Era presso questi il nome di Gaito, nome di Ufficio, che non voleva denotar altro, che Capitano. E nel Regno di Guglielmo II, pur leggiamo, che Gaito Riccardo fu Maestro Camerario del regal palagio; e che Gaito Martino avea cura della regal Dogana. E sotto il medesimo Re pur abbiamo menzione de' Camerari di Calabria, che risedevano in Reggio, fra i quali fu Giovanni Colomeno, di cui ci tornerà occasione di parlare nel Regno di questo Principe. Così ancora ne' tempi de' loro successori Svevi, e nelle Costituzioni di Federico si leggono molte leggi attinenti a quest'Ufficio, così del Maestro Camerario, come degli altri Camerarj inferiori delle province, Doganieri, Maestri Secreti ed altri, de' quali il Toppi tessè lungo catalogo.
Carlo d'Angiò lo ridusse in miglior forma a modo del Regno di Francia, stabilendo un solo Gran Camerario, al quale tutti gli altri Camerarj delle province ubbidissero, ed a cui tutto si riportasse, costituendolo Ufficial supremo di tutte le Finanze. E ci diede molte leggi scritte e stabilimenti intorno alla sua incumbenza, formando un particolar regolamento di questo Ufficio, nel quale non potè nè meno dimenticarsi de' vocaboli franzesi; poichè stabilì, che fosse dell'autorità del Gran Camerario di deputare, sustituire e correggere i Graffieri, de' quali l'incumbenza era scrivere e notare, siccome degli Antigraffieri di controscrivere e notare, che noi ora nel Regno chiamiamo Credenzieri, affinchè non si commettesse frode nell'esazioni. Stabilì ancora i Maestri degli Arresti, onde è che ancora presso noi fosse rimase questo vocabolo franzese, e diciamo perciò gli Arresti della Camera, siccome essi chiamano le determinazioni e sentenze de' loro Parlamenti.
Ne' tempi posteriori, e men a noi lontani, cominciò il Gran Camerario a perdere queste tante sue prerogative, ma non già il Tribunale della Camera; perchè reggendosi questo dal suo Luogotenente, co' Presidenti e Razionali della medesima, come che il crearlo non s'appartiene più a lui, ancorchè si chiami suo Luogotenente, ma al Re; quindi è nato che se bene questo Tribunale si fosse innalzato al pari degli altri Tribunali supremi del Regno il Gran Camerario però è oggi rimaso per solo titolo di onore, nè più s'impaccia degli affari del medesimo, ne è della sua incumbenza d'intrigarsi nell'entrate della Camera del Re, ma tutto si fa dal Luogotenente e suoi Ministri, i quali al Vicerè, che è in luogo del Principe, son obbligati dar conto della loro incumbenza, avendo un particolar Tesoriero da chi viene conservato il denaro del Re. Ritiene però le sue preminenze, così nel sedere alla parte sinistra del Re dopo il Giustiziero, occupando il quarto luogo, come nelle congiunture solenni di nozze, o altre funzioni pubbliche, di vestirsi di porpora, e tra i sette Ufficj della Corona è ancora annoverato, ed insino agli ultimi tempi se gli pagava il soldo.
§. VI. Del Gran Protonotario.
Pietro Vincenti, che distese un libretto de' Protonotarj del Regno, piuttosto tessè un catalogo di coloro, che esercitarono questa carica nel Regno, che ci descrisse il loro Ufficio ed impiego. Il Protonotario, ovvero Logoteta non vi è dubbio che presso di noi prese il suo principio da' Greci, siccome denota la voce istessa; ma ciò non fa che quest'Ufficio non fosse conosciuto da' Romani sotto altro nome. Nell'Imperio, essendo egli il Capo de' Notai era perciò chiamato Primicerius Notariorum, ed era decorato della dignità Proconsolare, e dopo due anni d'esercizio diveniva illustre. Avea nell'antico Imperio sotto di se tre sorte o gradi di Notai, che sono apertamente distinti nel Codice Teodosiano. I primi erano intitolati Tribuni Praetoriani, et Notarii; ed anche, come l'attesta Cassiodoro, erano chiamati Candidati; e questi avevano la dignità de' Conti. I secondi erano semplicemente detti Tribuni, et Notarii; e questi aveano la dignità de' Vicarii. Finalmente i terzi erano chiamati Notarii familiares, ovvero domestici, li quali avevano l'ordine, o dignità della Consularità.
Ma non bisogna confondere questi Nomi con quelli d'oggi, che i Romani appellarono Tabelliones, i quali come diremo, aveano funzioni diverse, ed erano Ufficj differentissimi. Siccome non bisogna confondere l'Ufficio del Gran Protonotario a' tempi de' nostri Re normanni, svevi, angioini ed aragonesi, con quello del Viceprotonotario d'oggi, ristretto alla sola creazione de' Notai e Giudici cartularj, ed alle legittimazioni.
L'Ufficio del Gran Protonotario era ne' tempi di questi Re cotanto illustre, che in gran parte somigliavasi a quello del Primicerio de' Notai presso i Romani. Questi, secondo ce lo descrive Cassiodoro e Giacomo Gottofredo, era del Concistoro del Principe, avea il pensiero e la cura di notare tutti gli atti ed i secreti del Principe, che si facevano nel suo Concistoro: per lui uscivan fuori i responsi ed i decreti imperiali, e sovente le orazioni degl'Imperadori fatte al Senato si recitavano dal Primicerio: in breve egli era il Secretario fedele del Principe, a cui non vi era secreto o consiglio, che non si confidasse, e perciò l'obbligo della sua carica lo astringeva continuamente ad assisterlo, e con indefessa applicazione attendere alle spedizioni de' suoi imperiali comandamenti. Teneva perciò sotto di se que' tre gradi di Notaj, che ridotti a forma di Milizie, o di Collegio, militavano sotto di lui, i quali aveano molta somiglianza a' Secretarj d'oggi di Stato, o del Gabinetto e della casa del Re, de' quali favelleremo nel Regno di Carlo II d'Angiò.
Uguale era l'Ufficio e potestà del Gran Protonotario ne' tempi di questi Re. Il suo principal impiego non era già della creazione de' Notai e de' Giudici cartularj, ma d'assistere continuamente appresso la persona del Re, ricevere le preci e i memoriali, che si portavano a quello, sentire nell'udienze coloro che aveano al Re ricorso, e farne al medesimo relazione: per le sue mani passavano tutti i diplomi, e da lui s'istromentavano. Tutte le nuove costituzioni, gli editti e le prammatiche, che il Re stabiliva, erano dal Protonotario dettate e firmate. Ciò che il Principe, o nel suo Concistoro, o in ogni altro suo Consiglio sentenziava o decretava, egli riducevalo in forma di sentenza o di decreto, ovvero in forma di diploma o privilegio, e si vide nel Regno di Carlo II, d'Angiò in quanta eminenza arrivasse, quando questo Ufficio era esercitato da Bartolomeo di Capua, per mano del quale passavano i più gravi e rilevanti affari della Corona.
Ma siccome in decorso di tempo il Tribunale della Gran Corte della Vicaria abbassò il Gran Giustiziero riducendolo in quello stato, che oggi si vede, così l'erezione del Consiglio di S. Chiara a' tempi d'Alfonso I Re d'Aragona fece quasi che sparire il Gran Protonotario; e quantunque Alfonso concedendo al Presidente di quello ugual potestà, si dichiarasse ch'egli non intendeva pregiudicare alle preminenze del Gran Protonotario, tanto che o egli, o il suo Viceprotonotario era ammesso a presiedere in quel Consiglio, e sovente a commettere le cause, non altrimenti che faceva il Presidente; nulladimanco a poco a poco l'Ufficio di Gran Protonotario fu ridotto poi a titolo di onore, e rimase fuori di quel Consiglio; e s'arrivò a tale, che dovendo il Gran Protonotario assistere di persona, nè senza nuova permissione del Re potendo elegger altri per Viceprotonotario, che assistesse in suo nome, non concedendosi più dal Re tal facoltà, siccome si legge essersi conceduta da Carlo II a Bartolomeo di Capua: il Viceprotonotario non più si creava da lui, ma a dirittura dal Re, come si pratica tuttavia. Per questa cagione fu introdotto, che il Gran Protonotario, quando era dal Re eletto, pigliava con molta solennità il possesso nel Consiglio di S. Chiara, con intervenire insieme col Presidente, e tutti gli altri Consiglieri in tutte le sentenze, che si profferivano quella giornata; e per questa coerenza s'introdusse ancora, che il Re creava Viceprotonotario l'istesso Presidente del Consiglio, onde quasi sempre si videro queste cariche unite in una medesima persona, come più diffusamente diremo nel Regno d'Alfonso I.
In decorso di tempo essendo innalzati a quest'Ufficio i primi Baroni, non più Giureconsulti, come ai tempi di Bartolomeo di Capua: i Gran Protonotarj, come personaggi d'alta gerarchia, quasi sdegnando d'intervenire di persona nel Consiglio di S. Chiara, i Viceprotonotarj venivano ad assistervi; ma questi poi non essendo più creati da essi, ma dal Re, vennero per ciò affatto i Gran Protonotarj ad esserne esclusi, e di non aver poi parte alcuna in quel Consiglio. Dall'altra parte i Presidenti del Consiglio, l'autorità de' quali era grandissima, esclusero poi i Viceprotonotarj dalle commesse delle cause, e da tutte l'altre preminenze, che rappresentando la persona del Gran Protonotario prima aveano; onde venne a restringersi la loro autorità alla sola creazione de' Notai e de' Giudici cartularj, ed alle legittimazioni, che ora gli rimane.
Ma quantunque l'Ufficio di Viceprotonotario si fosse ristretto a queste tre sole incumbenze: portando la creazione de' Notari e de' Giudici, il visitare i loro privilegi e protocolli, grandi emolumenti: sursero gravi contese fra i Gran Protonotarj, che pretendevano quelli a loro doversi, ed i Viceprotonotarj, che come destinati dal Re, tutti ad essi se gli appropriavano: intorno a che Marino Freccia rapporta una fiera lite, che a' suoi tempi per ciò s'accese fra il Duca di Castrovillari Gran Protonotario, ed il famoso Cicco Loffredo Viceprotonotario. Presentemente tutte queste contese son finite, poichè il Viceprotonotario non riconoscendo da altri, che dal Re quella carica, se l'appropria solo, ed ora l'Ufficio di Gran Protonotario è rimaso a sol titolo d'onore, senza soldo e senza emolumenti; ritiene però gli onori di vestire di porpora, e di sedere ne' Parlamenti nella parte destra del Re dopo il Grand'Ammiraglio.
Ma egli è ben da avvertire, che i Notari d'oggi, la creazion de' quali s'appartiene al Viceprotonotario, non hanno conformità alcuna con que' Notari, delli quali si parla nel Codice Teodosiano, e di cui parla Cassiodoro, i quali, come si è detto, aveano più somiglianza con gli Ufficiali della Secretaria, o Cancellaria del Re, li quali hanno il pensiero degli atti, e delle scritture del Re, che co' Notari presenti, la cui incumbenza si raggira agl'istromenti, ed atti de' privati, ancorchè il lor Ufficio pubblico fosse. Hanno costoro più coerenza co' Tabellioni degli antichi Romani, l'Ufficio de' quali era a questo somigliantissimo; con una sola differenza, che nella persona dei Notari d'oggi si vedono uniti insieme l'Ufficio dei Tabularii, e quello de' Tabellioni.
Presso i Romani coloro, ch'erano destinati ad aver la custodia de' pubblici Archivj, ove si conservavano i pubblici istromenti, ed i monumenti delle cose fatte, si chiamavano Tabularii, poichè il luogo, dove quelli si serbavano, era appellato Tabularium; ed i Greci lo chiamavano Grammatophylacium, ovvero Archium ; e sovente la cura di questi luoghi era commessa ai servi pubblici, cioè comprati con pubblico denaro delle città, o delle province; e questi Tabularj, perchè pubblici, non solo per la Repubblica, ma anche per ciascheduno privato potevano intervenire e stipulare, acquistare, e in lor nome prender anche la possessione. L'Imperador Arcadio poi discacciò dal Tabulario i servi pubblici, e comandò che i Tabularj fossero uomini liberi, i quali come persone pubbliche potessero stipulare per altri, non altrimenti che il Magistrato. Ma l'Ufficio di questi Tabularj non era altro, che custodire nell'Archivio i pubblici istromenti e monumenti delle cose fatte, e come persone pubbliche di poter intervenire e stipulare per altri.
Li Tabellioni erano quelli, i quali avanti a' Tabularj dettavano e scrivevano i testamenti, e stendevano i contratti, facendone pubblici istromenti, che si davan poi a conservare a' Tabularj. Questi Tabellioni erano ancora chiamati Nomici cioè Juris studiosi, perchè in quelli per concepir bene, e dettare gl'istromenti, ovvero testamenti, vi si ricercava ancora qualche perizia delle leggi. Altri interpretarono la voce Nomicus, cioè Legitimus, perchè egli rendeva legittimi tutti gli atti. Che che ne sia, egli è certo, che i Tabellioni, che oggi noi appelliamo Notari, eran tutto altro da' Tabularj, i quali erano preposti all'Archivio, siccome fra di loro vengon distinti da Giustiniano nelle sue Novelle, e non bisogna confondergli, come fecero Accursio, Goveano, e Forcatolo.
Queste due funzioni però s'uniron poi nelle persone de' nostri Notari; poichè siccome prima i Tabellioni avanti a' Tabularj scrivevano gl'istromenti, e presso questi nell'Archivio si conservavano: poi fu introdotto, che gl'istromenti o testamenti avanti a' Tabellioni si scrivessero, senza più ricorrere a' Tabularj, e ch'essi medesimi gli conservassero, facendone protocolli, e custodendogli non più ne' pubblici Archivj, ma nelle proprie case. Quindi nacque, che confondendosi quest'uffici, fosse il Notaro riputato persona pubblica, e che siccome i Tabularj potevano stipulare per altri, potessero anch'essi farlo.
Divenne perciò l'Ufficio de' Notari di maggior fede e confidenza: ond'è che i Principi nel creargli vi stabilirono certe leggi, e ricercarono molti requisiti, d'essere incorrotti, e di buona fama, fedeli ed intelligenti; che sappiano scriver bene, ben intendere le convenzioni delle parti per poterle poi nettamente ridurle in iscritto: siano secreti, liberi, cristiani, conoscano i contraenti, e perciò nazionali de' luoghi, ove desiderano esercitare. Quindi richiedendo quest'Ufficio una somma fedeltà, si vide ne' tempi antichi esercitarsi presso di noi da persone nobili; e siccome un tempo non si sdegnavano i Nobili, particolarmente i Salernitani, esercitar medicina, così ancora molti Nobili de' nostri Sedili, non si sdegnarono ne' tempi antichi farsi Notari; e Marino Freccia testifica aver egli veduto molti istromenti, registri, inventarj, ed altri antichi monumenti scritti per mano di Notari nobili, le cui famiglie, egli dice, non voler nominare, per non dar dispiacere a' loro posteri leggendole. Quindi nacque ancora presso i nostri Autori la massima, che per l'esercizio del Notariato, non si perdano i privilegi della Nobiltà, e che non debbano i Notari noverarsi fra gli artegiani.
§. VII. Del Gran Siniscalco.
Siccome presso i Franzesi, dopo la suppressione de' Maestri del palazzo, quattro Ufficj della Corona furono grandemente accresciuti, che riguardavano la guerra, la giustizia, le finanze, e la casa del Re; e per quel che si attiene alla guerra, surse il Gran Contestabile, per la giustizia il Gran Cancelliere, e per le finanze il Gran Tesoriero Capo ufficiale della Camera de' conti: così ancora per quel, che riguarda la casa del Re, innalzossi il Gran Maestro di Francia, anticamente chiamato Conte del palazzo, cioè Giudice della casa del Re, ch'ebbe il governamento della medesima.
Non altrimenti nella Corona di Sicilia, oltre gli altri Ufficiali annoverati, si vide ad esempio di quello di Francia il Gran Maestro di Sicilia, chiamato con vocabolo ancor franzese Siniscalco, ovvero Maggiordomo della casa del Re, il quale avea il governamento della medesima, e la cura ed il pensiero di provedere il regio Ospizio di ogni sorte di viveri, secondo il bisogno richiedeva: era ancora della sua incumbenza di provedere delle biade ed altre vittovaglie per li cavalli della stalla del Re, tener cura delle foreste, e delle caccie riserbate per divertimento del Re, de' familiari, ed altri servidori della casa reale, sopra i quali teneva giurisdizione di correggergli, e castigargli eccetto che sopra i Ciambellani, i quali per essere intimi servidori e Cubicularj del Re, che pongono il Re in letto, e lo scalzano, e sono nella Camera secreta del Re, perciò furono esenzionati dalla giurisdizione del Gran Siniscalco, siccome li Collaterali del Re, che erano partecipi del consiglio segreto del Re, e riputati come parte del corpo del Re.
Era egli perciò il Giudice della Casa reale, e sotto la cura sua era tutta la famiglia del palazzo regio, e tutti gli altri Ufficiali minori della casa del Re, i quali secondo i particolari loro impieghi assunsero varj nomi; onde sursero molti Ufficj detti non già della Corona, ma solamente per questo fine, della Casa del Re.
Noi a tempo de' Normanni non abbiamo riscontri di questi minori Ufficiali, ma sì bene del Gran Siniscalco, che si disse così per esser il maggiore, e sopra tutti gli altri Siniscalchi minori dell'Ospizio regio; e se bene a' tempi di Ruggiero non abbiamo fra le reliquie dell'antichità, chi fosse stato suo Gran Siniscalco; egli è però che in tempo di Guglielmo I suo successore leggiamo suo Gran Siniscalco Simone cognato del famoso Majone, di cui abbiamo anche memoria presso il Pellegrino al quale anche Guglielmo diede il governo della Puglia; onde non è da dubitare, che quest'Ufficio insieme con gli altri fosse da' Normanni introdotto fra di noi.
Ma siccome ciò è vero, così anche è certissimo, che in tempo degli Angioini, e particolarmente di Carlo II ricevè miglior forma, e su 'l quale furono dati varj provedimenti, e stabilito nuovo modo, e dategli altre incumbenze, secondo la Tabella stabilita per quest'Ufficio, che rapporta Freccia; ond'è che in Napoli si videro sorgere quegli altri Ufficj minori della casa del Re, dipendenti dal Gran Siniscalco: e la ragione si fu, perch'avendo Carlo I d'Angiò fermata la sua regia sede in Napoli, il Gran Siniscalco si distinse sopra tutti gli altri Ufficiali della casa reale, che furono molti: abbiamo perciò nel Regno di questi Angioini sovente memoria de' Maggiordomi della casa reale, de' Maestri de' cavalli regi, de' Maestri Panettieri regi, dei Maestri de' Palafrenieri e della scuderia regia, de' Maestri dell'Ospizio regio, de' Maestri delle razze regie, de' Maestri Massari, e de' Siniscalchi dell'Ospizio regio, siccome ne' tempi di Giovanna I leggiamo: Phichillus Gaetanus Reginalis hospitii Senescallus; e sotto Carlo III si legge: Nobilis vir Bartholomeus Tomacellus miles Regii hospitii Senescallus; e sotto Ladislao si trova Paolino Scaglione Siniscalco dell'Ospizio di detto Re ed altri rapportati dal Tutini. Così ancora Ufficiali della casa del Re subordinati al Gran Siniscalco erano il Preposito della cucina del Re: il Preposito della buccellaria regia. Il Giudice dell'Ospizio regio. I Ciambellani Regj. I Valletti della Nappa del Re. I Cacciatori Regj. Il Custode degli uccelli del Re. I Falconieri del Re, ed altri, de' quali ci tornerà occasione di favellare nel Regno di questi Principi più distesamente.
Ma siccome ne' tempi degli Angioini il Siniscalco per li tanti Ufficiali a se sottoposti fu nel maggiore incremento e sublimità, e furono le sue prerogative ritenute ancora ne' tempi degli Aragonesi, per cagione che questi Re mantennero la loro residenza in Napoli così da poi passando questo Regno sotto la dominazione degli Austriaci, e perdendo questa città il pregio d'esser sede regia, si scemarono in gran parte le prerogative del Gran Siniscalco, e mancarono molti de' soprannomati Ufficiali della Casa del Re, e finalmente per quest'istessa cagione in progresso di tempo restò presso noi a sol titolo d'onore, senza funzione e senz'esercizio.
Per questa suppressione s'innalzarono molti di quegli Ufficj dipendenti da lui, e ad esser riputati (se bene non delli sette della Corona) almeno de' maggiori del Regno, e ad altri non subordinati, come il Maestro delle razze regie, che chiamarono il Cavallerizzo del Re. Il Gran Montiere Maggiore, ovvero il Maestro della caccia del Re, che sopra i Cacciatori regj, e sopra tutte le foreste del Re e caccie ha la soprantendenza; ed altri de' quali ci tornerà occasione di parlare a più opportuno luogo. Nel che non dobbiamo tralasciar d'avvertire, che siccome di quasi tutti gli Ufficiali sinora annoverati possiamo far qualche paragone ed aver qualche riscontro tra gli Ufficiali nella Notizia dell'Imperio: de' Gran Montieri però non bisogna cercarne de' simiglianti, poichè gl'Imperadori romani non erano inclinati alla caccia, come furono i nostri Re, che reputando quest'esercizio proprio della professione delle armi, alle quali erano inclinati, e che sovente perciò non per ministri, ma per essi guerreggiavano: stimarono per la caccia così rendersi esperti de' siti e positure de' monti, valli, poggi, piani, e fiumi, che regolarmente hanno l'istesse positure, e siti in tutta la terra.
Così oggi presso di noi l'Ufficio del Gran Siniscalco per la lunga assenza de' nostri Re dal Reame, tenendo altrove collocata la regia loro sede, è quasi estinto, ed è sol rimaso a titolo d'onore: ritiene bensì nelle congiunture di qualche Parlamento o pubblica celebrità le sue prerogative e preminenze: veste di porpora, e siede nell'ultimo luogo a' piedi del Re, e tra sette Ufficj della Corona è annoverato.
Ecco come Ruggiero stabilisse il suo Regno; ecco quali fossero le leggi e la politia che v'introdusse, gli Ufficiali per i quali veniva amministrato, e come dopo tanti travagli lo riducesse in una ben ferma e tranquilla pace. Ma non contento il magnanimo suo cuore d'avere stabilita in cotal guisa la Monarchia, fu da poi tutto inteso agli acquisti di nuovi Reami e province, ancorchè poste nelle parti più remote e lontane dell'Affrica.