SCENA QUARTA

Vittoria, poi Ferdinando.

VITTORIA:        Non si può dire ch'ei non dica la verità. Ma quando tocca, dispiace.

FERDINANDO:        Chi è qui? C'è nessuno? (Di dentro.)

VITTORIA:        Oh! il signor Ferdinando. Saprò da lui qualche novità. Venga, venga, signore: ci sono io.

FERDINANDO:        M'inchino alla signora Vittoria.

VITTORIA:        Serva sua. Ben tornato.

FERDINANDO:        Obbligatissimo. Ma non mi credea di dover ritornare sì presto.

VITTORIA:        Sarete venuto col signor Filippo e colla signora Giacinta.

FERDINANDO:        Sì, e si è fatto un viaggio così piacevole, che se durava due ore di più, mi veniva la febbre.

VITTORIA:        E perché?

FERDINANDO:        Perché la signora Giacinta non faceva che sospirare. Il signor Filippo ha dormito da Montenero sino a Livorno. La cameriera piangeva il morto; ed io ho patito una noia infinita.

VITTORIA:        E che aveva la signora Giacinta che sospirava?

FERDINANDO:        Aveva, aveva... delle pazzie per il capo, tante e poi tante, che io ne ho vergogna per parte sua.

VITTORIA:        Ma in che consistono le sue pazzie?

FERDINANDO:        Parliamo d'altro. L'avete saputa la nuova?

VITTORIA:        Di che?

FERDINANDO:        Di Tognino.

VITTORIA:        Del figliuolo del signor dottore?

FERDINANDO:        Sì; è tornato suo padre. Ha saputo che voleva sposare quella ragazza. L'ha cacciato di casa, e non sapeva dove andar a mangiare e a dormire. La signora Costanza, che non vorrebbe che il matrimonio della nipote le costasse un quattrino, si è fatta pregare a riceverlo. Finalmente non ha potuto fare di meno. L'ha messo a dormire col servitore, gli dà la tavola; ma c'è poco da sbattere, ed il ragazzo è di buona bocca. Oggi dicevano di voler venire a Livorno, ed intendono di condur seco loro Tognino e mover lite a suo padre per gli alimenti, farlo sposar la fanciulla, e poi addottorarlo nell'università de' balordi.

VITTORIA:        L'istoriella è graziosa, ma non m'interessa gran fatto. Vorrei che mi diceste qualche cosa intorno la melanconia della signora Giacinta.

FERDINANDO:        Io, compatitemi, non soglio entrare ne' fatti altrui.

VITTORIA:        Ci siete entrato tanto, che basta per pormi in sospetto, e siete in obbligo di disingannarmi.

FERDINANDO:        E di che cosa potete voi sospettare?

VITTORIA:        Di quello che ho sospettato, anche prima di partire da Montenero.

FERDINANDO:        Io non so che pensaste allora, né quel che pensiate adesso.

VITTORIA:        S'ella sospira, avrà qualche cosa che la molesta.

FERDINANDO:        Naturalmente.

VITTORIA:        Per mio fratello non crederei ch'ella sospirasse.

FERDINANDO:        Oh! non mi è mai passato per mente di credere che ella sospirasse per lui.

VITTORIA:        E per chi dunque?

FERDINANDO:        Chi sa? Non potrebbe ella sospirare per me? (Ridendo.)

VITTORIA:        Eh! no, per voi no; sospirerà forse per qualcun altro.

FERDINANDO:        A proposito. Ho perduto l'amante. La signora Sabina non mi vuol più. Dopo che le ho parlato di donazione, s'è affrontata, s'è fieramente sdegnata, e non ha più voluto nemmen vedermi; anzi, sentite s'ella è da ridere: per timore di dover venire con me, non ha voluto venire a Livorno. È restata lì a Montenero, e credo che ora si vergogni delle sue ragazzate e non voglia più venire in città, per non essere posta in ridicolo da tutto il mondo.

VITTORIA:        E voi avete il merito d'aver fatto sì buona opera.

FERDINANDO:        Io ho inteso di divertirmi, e di divertir la conversazione.

VITTORIA:        Lodatevi, che avete ragione di farlo. (Ironica.)

FERDINANDO:        Non mi pare di aver fatto cosa che meriti di essere criticata. Peggio assai mi parerebbe s'io tenessi a bada due fanciulle da marito, e fingessi d'amarne una per coprire la mia passion per un'altra.

VITTORIA:        E dove vanno a battere queste vostre parole?

FERDINANDO:        Battono nell'aria e lascio che l'aria le porti dove le vuol portare.

VITTORIA:        Sono parole le vostre orribili, velenose; parole che mi passano il cuore.

FERDINANDO:        E che cosa c'entrate voi? Io non le ho dette per voi.

VITTORIA:        E perché sospirava la signora Giacinta?

FERDINANDO:        Domandatelo a lei.

VITTORIA:        E chi è che tiene a bada due fanciulle?

FERDINANDO:        Domandatelo a lui.

VITTORIA:        E chi è questo lui?

FERDINANDO:        Il signor lui in caso obbliquo, è il signor egli in caso retto. Nominativo hic, egli, genitivo huius, di lui. Signora Vittoria, ella mi pare di cattivo umore questa mattina. All'onore di riverirla; vado al caffè, dove mi aspettano i curiosi di sapere le avventure di Montenero. Ho da discorrerne per due settimane. Ho da divertire Livorno. Ho da far ridere mezzo mondo. (Parte.)

VITTORIA:        Oh lingua indemoniata! Si può sentire di peggio? Mi ha posto mille pulci nel capo. Ho da gran tempo de' sospetti, de' dubbi, de' batticuori. Costui ha finito di rovinarmi. Ho male in casa, vanno mal gl'interessi, sto pessimamente nel cuore. Povera me! Sconto bene il piacere della villeggiatura. Meglio per me ch'io non ci fossi nemmeno andata! (Parte.)

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