SCENA QUINTA

Camera in casa di Filippo.

Giacinta e Brigida.

BRIGIDA:        Via, via, signora padrona, non pensi tanto. Si diverta, stia allegra. Avverta bene, che la melanconia fa de' brutti scherzi.

GIACINTA:        A me non pare presentemente di essere melanconica, anzi sono così contenta, che non mi cambierei con una regina. Dopo che non vedo colui, mi pare di essere rinata. Sto così bene, che non sono mai stata meglio.

BRIGIDA:        Perdoni, non vorrei equivocare; per colui chi intende ella di dire?

GIACINTA:        Che sciocca difficoltà di capirmi! Non si sa, che quando dico colui, m'intendo di dire di Guglielmo?

BRIGIDA:        (Io tremava che dicesse colui allo sposo).

GIACINTA:        Non ho ragione di parlar di lui con disprezzo, con astio, con villania? Potea far peggio di quel che ha fatto? Tirarmi giù a tal segno? Innamorarmi sì pazzamente? Che vita miserabile non ho io menata per causa sua? Che spasimi, che timori non mi ha egli fatto provare? Non ho goduto un'ora di bene. Ha principiato a insidiarmi sino dal primo giorno. Ah! con qual arte si è egli insinuato nell'animo mio, nel mio cuore! Che artifiziose parole! Che sguardi languidi traditori! Che studiate attenzioni! E come sapea trovare i momenti per esser meco a quattr'occhi, e che soavi termini sapeva egli trovare, e con che grazia li pronunciava! (Con passione.)

BRIGIDA:        (Oh! non ci pensa più, me n'accorgo). (Ironica.)

GIACINTA:        Basta, grazie al cielo me ne son liberata. Parmi di avere avuto una malattia, ed essere perfettamente guarita.

BRIGIDA:        Perdoni, mi pare che vi sia un poco di convalescenza.

GIACINTA:        No, t'inganni. Sono sana, sanissima, com'era prima. Ora tutti i mei pensieri sono occupati all'allestimento che si ha da fare per le mie nozze. Per quello che tocca a fare per mio padre, ho già pensato quello ch'io voglio ch'egli mi faccia. Per quello poi che appartiene allo sposo, io non voglio assolutamente che il signor Leonardo si riporti alla di lui sorella. Non voglio che diasi a lei l'incombenza di porre in ordine il mio vestiario; prima non le conviene, perché è fanciulla; e poi è di cattivo gusto. Si veste male per sé, e son sicura che sarebbe peggio per me. Ecco tutti i pensieri che mi occupano di presente; io non ho altro in testa che abiti, guarnizioni, gioje, pizzi di Fiandra, pizzi d'aria, fornimenti di bionda, scarpe, cuffie, ventagli. Questo è quanto m'interessa presentemente, e non penso ad altro. (Forzandosi di mostrare intrepidezza.)

BRIGIDA:        E fra tanti pensieri non le passa per mente un po' di amore, un po' di bene allo sposo?

GIACINTA:        Io spero d'amarlo un giorno teneramente. Ho sentito dire che tanti che si sono sposati per amore, si sono prestissimo annoiati e pentiti; e che altri che l'hanno fatto per impegno, per rassegnazione semplice, e con poco amore, si sono poi innamorati col tempo, e sono stati bene fino alla morte.

BRIGIDA:        Certo, signora, ella non correrà pericolo d'annoiarsi per averlo troppo amato finora. Prego il cielo che la virtù del legame operi meglio per l'avvenire.

GIACINTA:        Sì, così ha da essere, e così sarà. Io prendo il signor Leonardo come un marito che mi è stato destinato dal cielo, che mi è dato dal padre. So ch'io devo rispettarlo ed amarlo. Circa al rispetto, farò il mio dovere; e circa all'amore, farò tutto quel ch'io potrò.

BRIGIDA:        Perdoni, proponendosi ella di volerlo sì ben rispettare, non farà dunque né più né meno di quello ch'egli vorrà.

GIACINTA:        Sì, ma il rispetto ha da esser reciproco. S'io ho del rispetto per lui, egli ne ha d'avere per me. Non ha perciò da trattarmi villanamente, e da tenermi in conto di schiava.

BRIGIDA:        (Eh! già; vuol rispettare il marito, ma vorrà fare a suo modo).

GIACINTA:        È molto che quel temerario di Guglielmo non abbia ancora tentato di farmi una visita.

BRIGIDA:        S'egli venisse, m'immagino ch'ella non lo vorrebbe ricevere.

GIACINTA:        Perché‚ non l'ho da ricevere? Perché‚ ho da usare questa viltà di mostrar paura di lui? Non ho da esser padrona di me medesima? Non avrò bastante virtù per vederlo e trattarlo con indifferenza? Sono stata debole, è vero; ma in tre giorni ch'io non lo tratto, ho avuto campo di ravvedermi, e di fortificarmi lo spirito e il cuore. Bisogna pur ch'io mi avvezzi a ritrovarmi con esso lui, come mi ho da ritrovare con tanti altri. Ha da esser marito di mia cognata. Poco o molto, dobbiamo essere qualche volta insieme. Che cosa direbbe il mondo, se io sfuggissi la di lui vista? No, no, vo' principiare per tempo ad accostumarmi a trattarlo come se mai non lo avessi né amato, né conosciuto; e son capace di farlo, ed ho coraggio di farlo, e vedrai tu stessa con che bravura, con che spirito, mi darà l'animo di eseguirlo.

BRIGIDA:        E se il signor Leonardo non volesse ch'ella lo trattasse?

GIACINTA:        Il signor Leonardo sarebbe un pazzo. Perché non ha da voler che io pratichi un suo cognato?

BRIGIDA:        Non sa ella quanto è sottile la gelosia?

GIACINTA:        Il signor Leonardo sa che gelosie non ne voglio.

BRIGIDA:        Ma per altro, diciamola qui fra noi, ha avuto qualche motivo d'averne.

GIACINTA:        Quello che è stato, è stato. Ha avuto la soddisfazione che Guglielmo dia parola di sposar sua sorella, e la sposerà, e ciò gli deve bastare. Finalmente Guglielmo è un giovane onesto e civile, ed io sono una donna d'onore; e sarebbe una temerità il pensare diversamente.

BRIGIDA:        (Può dir quel che vuole, io non mi persuaderò mai che la piaga sia risanata).

Share on Twitter Share on Facebook