SCENA SESTA

Tognino con un abito assai lungo, con parrucca lunga a tre nodi e cappello colla piuma all'antica; poi un Servitore.

TOGNINO:        Oh! eccomi. Ah! sto bene?

COSTANZA:        Oh che figura! Non ve l'ho detto io, che sarebbe stato una caricatura? (A Rosina.)

ROSINA:        Eh! gli è un poco lungo, ma non vi è male.

COSTANZA:        Eh! andatevi a levar quel vestito. Parete in veste da camera.

TOGNINO:        Volete ch'io vada per città col giubbone da viaggio?

COSTANZA:        E non avete il vostro abito consueto?

TOGNINO:        Signora no.

COSTANZA:        E che cosa ne avete fatto?

TOGNINO:        L'ho dato al servitore acciò m'aiutasse a portar via questo a mio padre.

COSTANZA:        Certo avete fatto un bel cambio!

TOGNINO:        È bello, è gallonato. È un po' lunghetto, ma non importa. Ah! non mi sta bene? Ah! cosa dite, Rosina? Ah!

ROSINA:        Bisognerebbe che ve lo faceste accomodare alla vita.

TOGNINO:        Me lo farete accomodare, signora zia? (A Costanza.)

COSTANZA:        Zitto, malagrazia. Non mi dite zia; per ora non si ha da sapere che sia seguito fra di voi il matrimonio. Non lo dite a nessuno, e abbiate giudizio, e non vi fate scorgere.

TOGNINO:        Oh! io non parlo.

ROSINA:        E bisognerà che pensiate a mettere il cervello a partito.

TOGNINO:        Cosa vuol dire mettere il cervello a partito?

ROSINA:        Far giudizio, studiare, imparar bene la professione del medico.

TOGNINO:        Oh! per istudiare, studierò quanto voi volete. Basta che non mi lasciate mancar da mangiare, che mi conduciate a spasso, che mi lasciate giocar a bazzica.

COSTANZA:        Eh povero scimunito!

TOGNINO:        Che cos'è questo scimunito?

COSTANZA:        Se non avrete cervello...

TOGNINO:        Io non voglio essere strapazzato...

SERVITORE:        Signora... (A Costanza.)

TOGNINO:        Son maritato, e non voglio essere strapazzato.

COSTANZA:        Zitto.

ROSINA:        Zitto.

SERVITORE:        È maritato il signor Tognino?

COSTANZA:        Egli non sa quello che si dica. E tu non entrare in quelle cose che non ti appartengono. (Al Servitore.)

SERVITORE:        Perdoni. La signora Giacinta è qui poco lontana, che viene per riverirla.

COSTANZA:        (Povera me!). La signora Giacinta! (A Rosina.)

ROSINA:        Cosa volete fare? Convien riceverla. (A Costanza.)

COSTANZA:        Sa che sono in casa? (Al Servitore.)

SERVITORE:        Lo saprà certamente. Ha mandato il servitore, e il servitore lo sa.

COSTANZA:        (Ci vuol pazienza, convien riceverla). Dille che è padrona... Senti: dille che compatisca, che sono venuta ora di villa, che ho la casa sossopra. Senti: va alla bottega ad ordinare il caffè. Ehi! senti: se viene a casa mio marito, digli che non mi comparisca dinanzi come sta in bottega: o che si vesta bene, o che si contenti di stare nella sua camera.

SERVITORE:        (Oh quanta maladetta superbia!). (Parte.)

COSTANZA:        E voi andate via di qui. Non vi lasciate vedere in quella caricatura. (A Tognino.)

TOGNINO:        Certo, mi mandate via perché non beva il caffè; e io ci voglio stare.

COSTANZA:        Andate, vi dico, che se mi fate muover la bile, vi caccio via di casa come un birbante.

TOGNINO:        Son maritato.

COSTANZA:        Rosina, or ora non posso più.

ROSINA:        Via, via, caro, andate di là, che il caffè lo porterò io.

TOGNINO:        Son maritato, e son maritato. (Parte.)

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