SCENA UNDICESIMA

Vittoria, Guglielmo, Costanza, Rosina e Ferdinando.

GUGLIELMO:        (Mi par di essere al punto di dover sentire la mia sentenza. Chi sa ancora ch'ella non sia favorevole?).

FERDINANDO:        Chi sa quanto staranno in questo colloquio; ed io muoio di volontà di leggere quella lettera.

VITTORIA:        Via, se la volete legger, leggetela. La sentiremo noi; e non mancherà tempo di farla sentire alla signora Giacinta.

COSTANZA:        Confesso il vero, che la sento anch'io volentieri.

ROSINA:        Povera donna! quando me l'ha data, piangeva.

FERDINANDO:        Cospetto! pare scritta in arabico.

VITTORIA:        Signor Guglielmo, dormite?

GUGLIELMO:        Signora no, non dormo.

VITTORIA:        (Io non so come abbia da essere con quest'uomo. Egli è tutto flemma, io son tutta foco).

FERDINANDO:        Ora ho principiato a trovare il filo.

VITTORIA:        Leggete tutto, e non ci fate la baronata di lasciar fuori qualche bel sentimento.

FERDINANDO:        Colla maggiore onoratezza del mondo. Sentite: Crudele: (tutti ridono moderatamente) voi mi avete ferito il cuore; voi siete il primo che abbia avuto la gloria di vedermi piangere per amore. Se sapeste, se vi potessi dir tutto, vi farei forse piangere per compassione. Ah! la modestia non mi permette dir d'avvantaggio. Dacché siete di qua partito, non ho mangiato, non ho bevuto, non ho potuto dormire. Povera me! mi son guardata allo specchio, e quasi più non mi riconosco. S'impassiscono le mie guancie, e il lungo pianto m'indebolisce la vista a segno, che appena veggio la carta su cui vi scrivo. Ah! Ferdinando, cuor mio, mia speranza, bellezza mia. (Tutti ridono.) Ridete forse perché mi dice bellezza sua?

VITTORIA:        Ci vede poco la poverina.

ROSINA:        Ha cispi gli occhi.

COSTANZA:        Ha la lacrimetta perenne.

FERDINANDO:        Bene, bene. Ella conosce il merito, e tanto basta.

VITTORIA:        Sentiamo la conclusion della lettera.

FERDINANDO:        Meritereste che non leggessi più oltre.

VITTORIA:        Eh! via, vogliamo sentire.

FERDINANDO:        Dove sono? Dove ho lasciato?

VITTORIA:        Dormite, signor Guglielmo?

GUGLIELMO:        Signora no.

FERDINANDO:        Ecco, l'ho ritrovato. Mia speranza, bellezza mia, venite per pietà a consolarmi. Ah! sì, venite; se voi mi amate, non sarò ingrata; e se non vi basta il cuore che vi ho donato, venite, o caro, che vi esibisco e prometto... Che diavolo! Scrive qui, che non si capisce; quando ha scritte queste due righe, convien dire che le tremasse molto la mano. Ora, ora, principio a intendere. Venite, o caro, che vi esibisco e prometto una donazione, la donazione, un'ampia donazione, vi prometto la donazione (un'altra volta), la donazione vi prometto di tutto il mio!

        Vostra fedelissima amante e futura sposa

        Sabina Borgna

VITTORIA:        Bravo!

COSTANZA:        Me ne consolo.

ROSINA:        E che vivano le bellezze del signor Ferdinando.

VITTORIA:        Sicché dunque cosa risolvete di fare?

FERDINANDO:        Un'eroica risoluzione. Prendo immediatamente la posta, e me ne vo a consolare, a soccorrere la mia adorata Sabina. Servitor umilissimo di lor signori. (Parte.)

VITTORIA:        Si va a consolar colla donazione.

COSTANZA:        Povera vecchia pazza!

VITTORIA:        Signor Guglielmo, dormite?

GUGLIELMO:        Non signora.

VITTORIA:        Non ridete di queste cose?

GUGLIELMO:        Non ho voglia di ridere.

VITTORIA:        (Oh che satiro!).

ROSINA:        Oh! eccoli: il congresso è finito.

GUGLIELMO:        (Sono in ansietà di sapere). (S'alza.)

VITTORIA:        Pare che ora vi risvegliate. (A Guglielmo.)

GUGLIELMO:        Credetemi, che non ho mai dormito. (Tutti si alzano.)

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