SCENA QUINDICESIMA

Donna Luigia e il conte Ercole , poi donna Isabella ritorna collo specchio.

CON. Ma, cara signora donna Luigia, compatitemi se a troppo mi avanzo, non mi par carità trattare così una figlia.

LUIG. Voi non sapete, come si allevino i figliuoli. Questa è una cosa che tocca a me.

CON. Io per altro so che le persone civili non trattano così le loro figliuole.

LUIG. Che vuol dire, signor Conte, che vi riscaldate tanto? Siete forse di lei innamorato?

CON. Quante volte ve l’ho da dire? Non sapete che la desidero per consorte?

LUIG. Questo sinora l’ho creduto un pretesto.

CON. No, signora, disingannatevi. Per voi ho tutta la stima, tutta la venerazione; per la signora Isabella ho tutto l’affetto.

LUIG. Benissimo. Ho piacer di saperlo. (sdegnata)

ISAB. Ecco lo specchio.

LUIG. Lascia vedere. (glielo leva con dispetto)

CON. (Or ora le dico qualche bestialità). (da sé)

LUIG. Vammi a prender il coltellino.

ISAB. (Oh son pure stufa!) (da sé)

LUIG. Via, ciompa, sbrigati.

ISAB. (Mi fa svergognare dal signor Conte). (da sé, parte)

CON. Signora, dopo essermi io dichiarato di voler vostra figlia, gli strapazzi che a lei fate, sono offese che fate a me.

LUIG. Garbato signor Conte! (donna Isabella ritorna)

ISAB. Ecco il coltellino. (lo dà a donna Luigia; ella lo lascia cadere e dà uno schiaffo ad Isabella, la quale, coprendosi il volto col grembiale, singhiozzando parte)

CON. A me quest’affronto?

LUIG. Voi come ci entrate?

CON. C’entro, perché deve esser mia moglie.

LUIG. Prima che Isabella sia vostra moglie, la voglio strozzare colle mie mani. (parte)

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