SCENA SEDICESIMA

Il conte Ercole , poi don Sigismondo

CON. Ecco quel che fa la maledetta invidia. Vorrebbe essere sola vagheggiata e servita, e le spiace che la gioventù della figlia le usurpi gli adoratori. Ma, giuro al cielo, Isabella sarà mia moglie a suo dispetto. Don Sancio a me l’ha promessa, e se non mi manterrà la parola, me ne renderà conto.

SIG. Signor Conte, che vuol dire che mi pare turbato?

CON. Donna Luigia mi ha fatto un affronto, e ne voglio risarcimento.

SIG. A un cavaliere della sua sorte un affronto? Femmina senza cervello! Che le ha fatto, illustrissimo signore, che mai le ha fatto?

CON. Ha dato uno schiaffo alla figlia, in presenza mia.

SIG. A quella che deve esser moglie di V.S. Illustrissima?

CON. Che ne dite, eh? Si può far peggio?

SIG. Che donne! Che donne! Ed ella se la passa così con questa disinvoltura?

CON. Penserò al modo di vendicarmi.

SIG. Il modo è facile. Prender la figlia segretamente, condurla via, sposarla, e rifarsi dell’insolenza. (Così faccio risparmiar la dote al padrone). (da sé)

CON. Il consiglio non mi dispiace. Caro amico, come potremmo fare?

SIG. Lasci fare a me: si lasci servire da me.

CON. Mi fido di voi.

SIG. Ne vedrà gli effetti.

CON. (Questo è un bravo segretario. Fa un poco di tutto). (da sé, parte)

SIG. È necessario andar di concerto colla cameriera. Colombina? (alla porta)

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