Scena quinta

La Contessa , poi il Marchese

BEAT. In altro tempo gradito avrei moltissimo il trattenermi in piacevole compagnia, ma ora sono così angustiata, che non ho cuore di vedere persona, né di trattare con chi che sia.

MAR. Signora, la riverisco umilmente.

BEAT. Serva divota.

MAR. È ella pure di viaggio?

BEAT. Per obbedirla.

MAR. Per dove, se è lecito?

BEAT. Per Torino.

MAR. Ed io col mio compagno son diretto a Milano.

BEAT. Ella va alla mia patria.

MAR. È milanese adunque?

BEAT. Sì signore. Con sua licenza. (vuol partire)

MAR. Perdoni. Volea domandarle una cosa, se mi permette.

BEAT. Scusi, non vorrei che si destasse mio padre ed avesse occasion di riprendermi, s'io mi trattengo.

MAR. E chi è egli il suo signor padre?

BEAT. Il conte Roberto di Ripalunga.

MAR. (Oimè, che sento? qui la mia sposa? Perché in viaggio? Perché partir da Milano?)

BEAT. Che vuol dir, signore, questa sua sospensione? Conosce ella mio padre?

MAR. Lo conosco per fama. Sareste voi, signora, per avventura la contessina Beatrice?

BEAT. Per l'appunto; come avete voi cognizione di mia persona?

MAR. Non siete voi destinata in isposa al marchese Leonardo de' Fiorellini?

BEAT. Siete anche di ciò informato?

MAR. Sì, certamente. Il Marchese è mio amico, e so che dovea portarsi a Milano per concludere queste nozze. (Vo' tenermi celato fin che arrivo a scoprire qual novità l'abbia fatta movere dal suo paese).

BEAT. Signore... chi siete voi, per grazia?

MAR. Il conte Aruspici, capitano delle guardie del Re.

BEAT. Siete amico del marchese Leonardo?

MAR. Sì, certo, siamo amicissimi.

BEAT. Potrei lusingarmi di ottenere da voi una grazia?

MAR. Comandate, signora. Mi darò l'onor di obbedirvi.

(il Cameriere viene con l'acqua e la presenta alla Contessa)

BEAT. Con permissione. (al Marchese)

MAR. Vi supplico d'accomodarvi. (le dà una sedia; la Contessa siede, e poi beve l'acqua) (Il suo volto mi persuade, son contentissimo della sua gentilezza). (siede) (Il cuore vorrebbe ch'io mi svelassi, ma la curiosità mi trattiene). (il Cameriere parte)

BEAT. Vorrei che con tutta sincerità, da cavaliere, da uomo d'onore qual siete, aveste la bontà di dirmi di qual carattere sia questo signor Marchese, che mi vien destinato in isposo.

MAR. Sì, signora, m'impegno di farvene intieramente il ritratto. Lo conosco assai per poterlo fare, e lo farò esattissimo, ve lo prometto. Permettete però, ch'io vi chieda primieramente per qual ragione qui vi trovate, e non piuttosto a Milano, dove, secondo il concertato, dovea portarsi il marchese Leonardo per isposarvi.

BEAT. Ve lo direi francamente, ma ho timore che si risvegli mio padre, e se mi trova qui con un forestiere...

MAR. Sarà per voi una scusa assai ragionevole, trattenendovi con un amico del vostro sposo.

BEAT. Non dite male. La ragione è onestissima.

MAR. Favorite dunque...

BEAT. Sì volentieri: io sono troppo sincera per poter nascondere la verità. Mio padre mi ha destinata in isposa ad un cavaliere ch'io non conosco. Non l'ho veduto mai, e non so s'io possa lusingarmi di dover essere con lui felice. Non mi cale ch'egli sia bello, non desidero ch'ei sia vezzoso, il più vago, il più brillante giovane di questo mondo potrebbe avere agli occhi miei qualche cosa di ributtante che mi spiacesse, e mi ponesse in necessità di fargli conoscere la mia avversione. Più dell'aspetto suo è interessante per me il suo carattere. Chi mi accerta ch'egli sia umano, virtuoso, trattabile? La ricchezza, la nobiltà, non mi lusingherà mai di star bene, se non avrò la pace del cuore, e questa vogl'io difenderla ad ogni costo, con quel dono di libertà che mi è concesso dal cielo. Mio padre, a dispetto delle mie proteste, ad onta delle mie ripulse, ha sottoscritto un contratto che mi potrebbe sagrificare. Ho de' parenti in Milano che, persuasi delle mie ragioni, mi compatiscono; ed egli, per levarmi ogni adito, ogni soccorso, vuol condurmi a Torino, vuol pormi al fianco di sua sorella, ch'è l'autrice di tal contratto, e piacciami o mi dispiaccia lo sposo, vuole costringermi a legarmi seco. Non ho potuto resistere alla improvvisa risoluzione sua di partire. Mi lascio con lui condurre a Torino ma risoluta, risolutissima di protestare la mia avversione quando mi trovassi disposta ad aborrire il consorte. Andrò io stessa a gettarmi a' piedi di quel Sovrano, chiederò giustizia contro le violenze del padre: pronta a chiudermi in un ritiro per sempre, anziché porger la mano ad un oggetto che mi paresse spiacevole, pericoloso ed ingrato.

MAR. Signora, io non so condannare né le vostre massime, né i vostri timori, né le vostre risoluzioni. Vi compatisco anzi, e vi lodo; e s'io fossi quel desso, a cui vi avessero destinata in isposa, vi lascierei in pienissima libertà, quando avessi la sfortuna di non piacervi.

BEAT. Signore, io vi ho detto sinceramente di me tutto quello che potea dirvi; ditemi ora voi qualche cosa intorno al carattere del vostro amico.

MAR. Dirovvi prima rispetto al suo personale, non esser egli assai bello, ma nel nostro paese non è mai passato per brutto.

BEAT. Benissimo; tanto basta per un marito.

MAR. L'età sua la saprete.

BEAT. Sì, quest'è forse l'unica cosa, che di lui mi fu detta. So ch'egli è ancora in una fresca virilità, e mi dicono aver egli un avvantaggio dalla natura, che lo fa parere ancor più giovane di quello ch'egli è di fatto.

MAR. Egli è piuttosto grande della persona, ma non ha l'incomodo di soverchia grassezza.

BEAT. Tutto ciò è indifferente; vorrei saper qualche cosa del suo carattere, delle sue inclinazioni, de' suoi costumi.

MAR. Vi dirò, è tanto mio amico il marchese Leonardo che non ho cuore di dirne male, e non ho coraggio di dirne bene.

BEAT. Mi hanno detto, ch'egli è qualche volta collerico.

MAR. Sì, è vero, ma con ragione.

BEAT. Sapete voi dirmi s'ei sia geloso?

MAR. Per dire la verità, piuttosto.

BEAT. Se sapete ch'egli è geloso, saprete dunque ch'egli ha fatto all'amore.

MAR. E chi è quel giovane, giunto alla fresca virilità che voi dite, che non abbia fatto all'amore?

BEAT. Questa è una cosa che mi dispiace infinitamente.

MAR. Non vi dolete di ciò. Egli ha amato sempre con onestà, con rispetto e con fedeltà.

BEAT. Ha amato sempre? Dunque ha amato più volte.

MAR. (Cospetto! ha un'argomentazione che imbarazza). Vi accerto, che s'ei si marita, donerà tutto il cuore alla di lui sposa.

BEAT. Voi vi potete di ciò compromettere?

MAR. Sì, certamente; lo conosco sì a fondo, e talmente noti mi sono i di lui pensieri, che potrei giurare per esso, non che promettere ed assicurarvi.

BEAT. E quali sono i suoi più cari trattenimenti?

MAR. Ve li dico immediatamente. I libri, la conversazione, il teatro.

BEAT. Male, malissimo. Un marito che studia, trascura assai facilmente la moglie. Chi ama la conversazione non prende affetto alla casa; e chi frequenta il teatro, trova delle occasioni assai comode per concepire delle novelle passioni.

MAR. Perdonatemi, signora mia, a me sembra che v'inganniate, e credomi in necessità di fare l'apologia al sistema del mio buon amico. Lo studio delle lettere è un'occupazione dello spirito, che non toglie al cuore l'umanità. L'amore è una passione della natura, e questa si fa sentire in mezzo alle più serie, o alle più dilettevoli applicazioni. Chi non sa far altro che amare, per necessità deve qualche volta annoiarsi della sua medesima compiacenza, e quel ch'è peggio, dee infastidire l'oggetto de' suoi amori. Lo studio all'incontro divide l'animo con proporzione; insegna ad amare con maggiore delicatezza, fa discernere il merito della persona amata, e sembrano più brillanti le fiamme, dopo i respiri del cuore, dopo la distrazion dello spirito. Veniamo ora all'articolo delle conversazioni. Infelice quell'uomo, che non ama la società. Questa lo rende colto e gentile, spogliandolo di quella selvatichezza, che lo renderebbe poco dissimile dalle bestie. Un misantropo, un solitario, non può essere che incomodo alla famiglia, e seccante per una sposa. Chi aborrisce per se medesimo la conversazione, molto meno l'accorderà alla consorte, e per quanto si amino due coniugati, non può a meno, stando insieme tutto il giorno e la notte, che non trovino frequenti motivi di corrucciarsi, e va a pericolo la tenerezza di convertirsi in noia, in dispetto, in aborrimento. Dirò per ultimo quel ch'io penso intorno ai teatri, e assicuratevi che, come io penso, pensa pure il marchese Leonardo, come se noi fossimo la stessa cosa, ed ei medesimo favellasse colle mie labbra. Il teatro è il migliore trattenimento di tutti gli altri, il più utile ed il più necessario. Le buone commedie istruiscono e dilettano in un tempo stesso. Le tragedie insegnano a far buon uso delle passioni. Il comodo di conversare in teatro non è quello che cercano le persone di mal talento, e gli occhi del pubblico esigono anzi il contegno, il rispetto, la civiltà, il buon costume. In somma, signora mia, se vi cale d'avere un marito onesto, amoroso e bastantemente discreto, io conosco il Marchese, tale ve lo assicuro e ve lo prometto; ma se lo voleste o zotico, o effeminato, disingannatevi in tempo, e siate certa, che penetrando egli il vostro pensiere, sarà il primo a mettervi in libertà, a disciorre il contratto, e a porvi in istato di non perdere il vostro cuore e la vostra pace.

BEAT. Confesso il vero, in virtù delle vostre parole, io vado a Torino assai volentieri.

MAR. Siete persuasa del carattere del marchese Leonardo? Siete contenta di quanto di lui sinceramente v'ho detto?

BEAT. Io sono persuasa, io sono contenta di quello che voi mi dite; cioè, che s'ei non mi piace, mi abbia da lasciare nella mia pienissima libertà.

MAR. Signora Contessa, scusate l'ardire, io dubito che abbiate il cuor prevenuto.

BEAT. No certo, se amassi un altro, lo direi francamente.

MAR. Possibile che la vostra bellezza non abbia ancora ferito il cuore di qualcheduno?

BEAT. Io non dico, che non vi sia qualcheduno che mi ami; dico soltanto, ch'io non ho il cuore impegnato.

MAR. E chi è, se è lecito, che per voi sospira?

BEAT. Volete sapere un po' troppo, signor capitano.

MAR. Siete tanto sincera, ch'io mi lusingo non mi terrete celato neppur quest'arcano.

BEAT. Non è arcano altrimenti. Lo sa mio padre, lo sanno tutti, e ve lo dirò francamente, è il baron Talismani.

MAR. Non lo conosco. È giovane?

BEAT. Bastantemente.

MAR. È bello?

BEAT. Non è sprezzabile.

MAR. E voi non l'amate?

BEAT. Non l'amo, ma non l'aborrisco.

MAR. Lo prendereste in isposo?

BEAT. Piuttosto lui, che una persona ch'io non conosco.

MAR. Scusatemi, io credo che ne siate accesa.

BEAT. Mi conoscete poco, signore; io non sono avvezza a mentire.

MAR. L'essere voi sì mal prevenuta per il marchese Leonardo, pare un indizio di radicata passione.

BEAT. Perdonate, io non ho detto di esserne mal prevenuta; temo, dubito, e me ne vo' assicurare. Potete voi condannarmi?

MAR. No, adorabile Contessina. Voi meritate di esser contenta, e desidero che lo siate; felice colui che avrà la sorte di possedere una sposa sì amabile e così sincera. Ammirabile è la vostra virtù, rara è la vostra bellezza, soavi sono e vivacissimi i vostri begli occhi... (con tenerezza)

BEAT. Signor capitano, mi sembra che vi avanziate un po' troppo. (si alza)

MAR. Mi anima l'interesse ch'io prendo pel caro amico.

BEAT. Fatelo con un poco più di contegno.

MAR. Oh cieli! vorrei pur chiedere... Ma non ardisco.

BEAT. Con permissione. È tempo ch'io vada a risvegliare il mio genitore. (in atto di partire)

MAR. Permettetemi.

BEAT. E che cosa vorreste?

MAR. Ditemi coll'usata vostra sincerità, s'io fossi colui che vi è destinato in isposo, potrei lusingarmi di essere da voi gradito?

BEAT. Se amate la sincerità, soffrite ch'io vi dica di no.

MAR. Sono orribile agli occhi vostri?

BEAT. Non vi dirò, se piacciami o mi dispiaccia l'aspetto vostro. Dicovi solamente, che gli ultimi accenti vostri dimostrano in voi un poco troppo di militare licenza. Io non bramo uno sposo né zotico, né selvaggio; ma lo desidero onesto, morigerato e prudente. (parte)

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