Scena quattordicesima

Leandro dalla bottega del giuoco e detti.

LEANDRO Bravo, bravo; mi ha guadagnati i miei denari; e s'io non lasciava stare, mi sbancava.

EUGENIO Ah? Son uomo io? In tre tagli ho fatto il servizio.

LEANDRO Mette da disperato.

EUGENIO Metto da giuocatore.

DON MARZIO (a Leandro) Quanto vi ha guadagnato?

LEANDRO Assai.

DON MARZIO (ad Eugenio) Ma pure quanto avete vinto?

EUGENIO (con allegria) Ehi, sei zecchini.

RIDOLFO (da sé) (Oh pazzo maledetto! Da jeri in qua ne ha perduti cento e trenta, e gli pare aver vinto un tesoro, ad averne guadagnati sei.)

LEANDRO (da sé) (Qualche volta bisogna lasciarsi vincere per allettare.)

DON MARZIO (ad Eugenio) Che volete voi fare di questi sei zecchini.

EUGENIO Se volete che gli mangiamo, io ci sono.

DON MARZIO Mangiamoli pure.

RIDOLFO (da sé) (O povere le mie fatiche!)

EUGENIO Andiamo all'osteria? Ognuno pagherà la sua parte.

RIDOLFO (piano ad Eugenio) (Non vi vada, la tireranno a giuocare.)

EUGENIO (piano a Ridolfo) (Lasciateli fare; oggi sono in fortuna.)

RIDOLFO (da sé) (Il male non ha rimedio.)

LEANDRO In vece di andare all'osteria, potremo far preparare qui sopra nei camerini di messer Pandolfo.

EUGENIO Sì, dove volete, ordineremo il pranzo qui alla locanda, e lo faremo portar là sopra.

DON MARZIO Io con voi altri, che siete galantuomini, vengo per tutto.

RIDOLFO (da sé) (Povero gonzo! non se ne accorge.)

LEANDRO Ehi, messer, Pandolfo?

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