SCENA SETTIMA

Ferdinando e le suddette.

FERDINANDO:        O di casa. Si può venire? (Di dentro.)

COSTANZA:        Venga, venga, è padrone. (Verso la scena.) Il signor Ferdinando. (A Rosina.)

ROSINA:        Che vuol da noi questo seccatore?

COSTANZA:        Non lo sapete? È uno che si caccia per tutto; e bisogna fargli delle finezze, perché è una lingua che taglia e fende.

ROSINA:        Corbella quella povera vecchia, che è una compassione.

FERDINANDO:        Servo, signore, padrone mie riverite.

ROSINA:        Serva.

COSTANZA:        Serva divota.

FERDINANDO:        Cospetto! che bellezze son queste?

ROSINA:        Ci burla, signore.

FERDINANDO:        Ma siete così sole? Non avete compagnia, non avete nessuno?

COSTANZA:        Questa mattina non è ancora venuto nessuno.

FERDINANDO:        E il signor dottore non è ancora venuto questa mattina?

COSTANZA:        Non signore, è in Maremma a fare una visita.

FERDINANDO:        E il dottorinoin erba non si è veduto?

COSTANZA:        Non ancora.

FERDINANDO:        Gran bel capo d'opera è quel ragazzo! Ma, oh diavolo! non mi ricordava ch'è l'idolo della signora Rosina. Scusatemi, signora, voi siete una giovane che ha del talento; non credo che la parzialità vi possa dare ad intendere, ch'egli sia spiritoso.

ROSINA:        Io non dico che abbia molto spirito; ma non mi pare che sia da porre in ridicolo.

FERDINANDO:        No, no, ha il suo merito, è di buona grazia. (Il secondare non costa niente).

COSTANZA:        Signor Ferdinando, volete che vi faccia fare il caffè?

FERDINANDO:        Obbligatissimo. La mattina non lo prendo mai.

COSTANZA:        Avrete preso la cioccolata.

FERDINANDO:        Sì, una pessima cioccolata.

COSTANZA:        E dove l'avete avuta così cattiva?

FERDINANDO:        Dove sto, dal signor Filippo. Un uomo che spende assai, che spendequello che può e quello che non può, ed è pessimamente servito.

ROSINA:        Oggi siamo invitate a pranzo da lui.

FERDINANDO:        Sì, vedrete della robaccia; della roba, se siamo in dodici, bastante per ventiquattro, ma senza gusto, senza delicatezza: carnaccia, piatti ricolmi, montagne di roba mal cotta, mal condita, tutta grasso, carica di spezierie; roba che sazia a vederla, e non s'ha un piacere al mondo a mangiarla.

COSTANZA:        Per dir la verità, ieri sera dal signor Leonardo ci hanno dato una cena molto polita.

FERDINANDO:        Sì, polita se voi volete. Ma niente di raro.

COSTANZA:        C'erano de' beccafichi sontuosi.

FERDINANDO:        Ma quanti erano? Io non credo che arrivassero a otto beccafichi per ciascheduno.

ROSINA:        Io mi sono divertita bene col tonno.

FERDINANDO:        Oibò! era condito con dell'olio cattivo. Quando non è olio di Lucca del più perfetto, io non lo posso soffrire.

ROSINA:        Oh! vedete chi viene, signora zia?

COSTANZA:        Sì, sì, Tognino.

FERDINANDO:        Ho ben piacere che venga il signor Tognino.

COSTANZA:        Vi prego, signor Ferdinando: quel povero ragazzo non lo prendete per mano.

FERDINANDO:        Mi maraviglio, signora Costanza, io non sono capace...

ROSINA:        Perché poi chi volesse dire del signor Ferdinando colla sua vecchia, se ne potrebbono dir di belle.

FERDINANDO:        Lasciatemi star la mia vecchia, che quella è l'idolo mio. (Ironicamente.)

COSTANZA:        Sì sì, l'idolo vostro, ho capito.

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