SCENA DECIMA

Sabina, servita di braccio da Ferdinando, e detti.

TOGNINO:        (Ehi, la vecchia). (A Rosina.)

ROSINA:        (La vecchia). (A Costanza.)

COSTANZA:        (Sì, col suo amorino). (A Rosina.)

SABINA:        Serva umilissima di lor signori.

VITTORIA:        Serva sua, signora Sabina.

COSTANZA:        Riverisco la signora Sabina.

ROSINA:        Come sta la signora Sabina?

SABINA:        Bene, bene, sto bene. Che bella compagnia! Chi è quel giovanotto? (Accennando a Tognino.)

TOGNINO:        Servitor suo, signora Sabina.

SABINA:        Vi saluto, caro: chi siete?

ROSINA:        Non lo conosce? È il figliuolo del signor dottore.

SABINA:        Di qual dottore?

COSTANZA:        Del medico; del nostro medico.

SABINA:        Bravo, bravo, me ne consolo. È un giovanetto di garbo. È maritato? (A Rosina.)

ROSINA:        Signora no.

SABINA:        Quanti anni avete? (A Tognino.)

TOGNINO:        Sedici anni.

SABINA:        Perché non ci venite mai a trovare?

ROSINA:        Ha da fare.

COSTANZA:        Ha da studiare.

ROSINA:        Non va in nessun luogo.

SABINA:        Sì, sì, ho capito. Bravi, bravi; non dico altro. Io poi, quando si tratta... se mi capite, non abbiate paura, che non sono di quelle. Ferdinando.

FERDINANDO:        Signora.

SABINA:        Cara gioia, datemi il fazzoletto.

FERDINANDO:        Vuole il bianco?

SABINA:        Sì, il bianco. Ieri sera ho preso dell'aria ed ho una flussioncella a quest'occhio.

FERDINANDO:        Eccola servita. (Le dà il fazzoletto con un poco di sdegno.)

SABINA:        Cos'è, che mi parete turbato? (A Ferdinando.)

FERDINANDO:        (Niente, signora). (A Sabina.)

SABINA:        (Avete rabbia, perché ho parlato con quel giovanotto?). (A Ferdinando.)

FERDINANDO:        Eh! signora no. (Ho rabbia di dovermi in pubblico far minchionare).

SABINA:        (No, caro, non abbiate gelosia, che non parlerò più con nessuno). (A Ferdinando.)

FERDINANDO:        (Parli anche col diavolo, che non ci penso).

SABINA:        (Tenete il fazzoletto). (A Ferdinando.)

FERDINANDO:        (Mi stanno sul cuore quei diecimila scudi).

SABINA:        (Non dico tutto, ma qualche cosa bisognerà poi ch'io gli doni).

GIACINTA:        Orsù, signori, si vogliono divertire? Vogliono fare qualche partita?

VITTORIA:        Per me faccio quello che fanno gli altri.

COSTANZA:        Disponga la signora Giacinta.

SABINA:        Di me non disponete, ché la mia partita l'ho fatta. (A Giacinta.)

GIACINTA:        E a che vuol giocare la signora zia?

SABINA:        A tresette in tavola col signor Ferdinando.

FERDINANDO:        (Oh povero me! Sto fresco). Signora, questo è un gioco che annoia infinitamente. (A Sabina.)

SABINA:        Eh! signor no, è un bellissimo gioco. E poi, che serve? Avete da giocare con me.

FERDINANDO:        (Ci vorrà pazienza).

SABINA:        Avete sentito? Per me sono accomodata. (A Giacinta.)

GIACINTA:        Benissimo. Faranno un ombre in terzo la signora Vittoria, la signora Costanza e il signor Guglielmo.

COSTANZA:        (Poteva far a meno di mettermi a tavolino con quella signora del mariage).

VITTORIA:        (Mettermi con lei! Non sa distribuir le partite). (Da sé.)

GUGLIELMO:        (Non sono degno della vostra partita?). (A Giacinta.)

GIACINTA:        (Mi maraviglio che abbiate ardir di parlare). (A Guglielmo.) Faremo un altro tavolino d'ombre il signor Leonardo, la signora Rosina ed io.

ROSINA:        Come comanda. (Può essere ch'io goda qualche bella scena). (Da sé.)

GIACINTA:        È contento, signor Leonardo?

LEONARDO:        Io sono indifferentissimo.

GIACINTA:        Se volesse servirsi a qualche altro tavolino, è padrone.

LEONARDO:        Veda ella, se le pare che le partite non sieno disposte bene.

GIACINTA:        Io non posso sapere precisamente il genio delle persone.

LEONARDO:        Per me non ho altro desiderio che di dar piacere a lei, ma mi pare che sia difficile.

GIACINTA:        Oh! è più facile ch'ella non crede. Ehi! chi è di là? (Vengono i Servitori.)

GUGLIELMO:        Accomodate tre tavolini. Due per l'ombre, ed uno per un tresette in tavola. (I Servitori eseguiscono.)

VITTORIA:        Mi pare un po' melanconico il signor Guglielmo. (A Guglielmo.)

GUGLIELMO:        Non lo sa, signora? Son così di natura.

VITTORIA:        Voi amate poco, signor Guglielmo.

GUGLIELMO:        Anzi amo più di quello che vi credete.

VITTORIA:        (Manco male, che mi ha detto una buona parola).

GIACINTA:        (Bravo, signor Guglielmo, me ne consolo. Ho piacere che amiate la signora Vittoria). (A Guglielmo.)

GUGLIELMO:        (Ognuno può interpretar le cose a suo modo). (A Giacinta.)

LEONARDO:        (Signora Giacinta, che cosa avete detto piano al signor Guglielmo?). (A Giacinta.)

GIACINTA:        (Ho da rendervi conto di tutte le mie parole?). (A Leonardo.)

LEONARDO:        (Mi pare che ci sia un poco troppo di confidenza). (A Giacinta.)

GIACINTA:        (Questi ingiuriosi sospetti non sono punto obbliganti). (A Leonardo.)

LEONARDO:        (È una condizione la mia un poco troppo crudele). (Da sé.)

GIACINTA:        Orsù, è preparato, signori. L'ora è tarda, e se non si sollecita, or ora ci danno in tavola.

SABINA:        Per me son lesta. Andiamo, Ferdinandino.

FERDINANDO:        Eccomi ad obbedirla. (Per una volta si può soffrire). (Da sé, e va a sedere al tavolino indietro con Sabina.)

VITTORIA:        Favorite, signor Guglielmo.

GUGLIELMO:        Sono a servirla.

VITTORIA:        S'accomodi, signora Costanza.

COSTANZA:        (Vuole stare nel mezzo per non guastare il bell'abito). (Siedono a tavolino.)

GIACINTA:        Se comanda, signora Rosina...

ROSINA:        Eccomi. (Tognino, venite con me.) (A Tognino.)

TOGNINO:        Signora, sì. (Vorrei che si andasse a tavola). (Tutti siedono, e principiano a giocare.)

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