SCENA OTTAVA

Costanza Rosina, Tognino e detti.

GUGLIELMO        (si ritira da una parte).

COSTANZA:        Serva, signora Giacinta.

GIACINTA:        Serva sua, signora Costanza.

ROSINA:        Serva divota.

GIACINTA:        Serva, signora Rosina.

TOGNINO:        Servitor suo.

GIACINTA:        Signor Tognino, la riverisco.

COSTANZA:        Siamo qui a darle incomodo.

GIACINTA:        Anzi a favorirci; mi dispiace che saranno venute a star male.

COSTANZA:        Oh! cosa dice? Non è la prima volta ch'io abbia ricevute le sue finezze.

GIACINTA:        Ehi, chi è di là? Da sedere. (I Servitori portano le sedie.) (Perché non venite avanti?) (A Guglielmo, piano.)

GUGLIELMO:        (Sono mortificato). (A Giacinta.)

GIACINTA:        Le prego di accomodarsi. (Siedono.) Favorisca, signor Guglielmo, qui c'è una seggiola vuota. vicino a lei.

GUGLIELMO:        (Quella non è per me, signora).

GIACINTA:        (E per chi dunque?).

GUGLIELMO:        (Non tarderà a venire chi ha più ragion di me di occuparla).

GIACINTA:        (Se principiate a far delle scene, vi darò quella risposta che non ho avuto cuore di darvi).

GUGLIELMO:        (Vi obbedirò, come comandate). (Siede.)

COSTANZA:        (Che dite, eh? Anch'ella ha il mariage alla moda). (A Rosina.)

ROSINA:        (Eh! sì, queste due signore illustrissime vanno a gara).

GIACINTA:        Che fa il signor Tognino? Sta bene?

TOGNINO:        Servirla.

GIACINTA:        Che fa il signor padre?

TOGNINO:        Servirla.

GIACINTA:        Non è andato in Maremma, mi pare?

TOGNINO:        Servirla.

GIACINTA:        (Che sciocco!). (Piano a Guglielmo.)

GUGLIELMO:        (Ma è fortunato in amore). (Piano a Giacinta.)

COSTANZA:        Anch'ella, signora Giacinta, s'è fatto il mariage alla moda?

GIACINTA:        Eh! un abitino di poca spesa.

COSTANZA:        Sì, è vero, è un cosettino di gusto. Mi piace almeno, ch'ella lo spaccia per quel che è; ma la signora Vittoria ne ha uno cento volte peggio di questo, e si dà ad intendere d'avere una cosa grande, un abito spaventoso.

GIACINTA:        Vogliono divertirsi? Vogliono fare una partita? Gioca all'ombre la signora Costanza?

COSTANZA:        Oh! sì signora.

GIACINTA:        E la signora Rosina?

ROSINA:        Per obbedirla.

GIACINTA:        E il signor Tognino?

TOGNINO:        Oh! io non so giocare che a bazzica.

GIACINTA:        Gioca a bazzica la signora Rosina?

ROSINA:        Perché vuol ella ch'io giochi a bazzica?

GIACINTA:        Non saprei. Vorrei fare il mio debito. Non vorrei dispiacere a nessuno; s'ella volesse far la partita col signor Tognino...

ROSINA:        Oh! non vi è questo bisogno, signora.

COSTANZA:        Via, la signora Giacinta è una signora compita, e fra di noi c'intendiamo. Ma il signor Tognino, che giochi o che non giochi, non preme; starà a veder a giocare all'ombre, imparerà: starà a veder la Rosina.

GIACINTA:        Ella sa meglio di me, signora Costanza, l'attenzion che ci vuole nel distribuir le partite.

COSTANZA:        Oh! lo so, per esperienza. Lo so che si procura di unire quelle persone, che non istanno insieme mal volentieri. Anch'io ho tutta l'attenzione per questo; ma quel che mi fa disperare si è, che qualche volta vi è fra di loro qualche grossezza, o per gelosia, o per puntiglio, e s'ingrugnano, senza che si sappia il perché: a chi duole il capo, a chi duole lo stomaco, e si dura fatica a mettere insieme due tavolini. Verrà una per esempio, e dirà: ehi, questa sera vorrei far la partita col tale. Verrà un'altra: ehi, avvertite, non mi mettete a tavolino col tale e colla tale, che non mi ci voglio trovare. Pazienza anche, se lo dicessero sempre. Il peggio si è, che qualche volta pretendono che s'indovini. Ci vuole un'attenzione grandissima: pensare alle amicizie e alle inimicizie. Cercare di equilibrar le partite fra chi sa giocare. Scegliere quel tal gioco, che piace meglio a quei tali. Dividere chi va via presto, e chi va via tardi, e qualche volta procurar di mettere la moglie in una camera, ed il marito nell'altra.

GIACINTA:        Vero, vero; lo provo ancor io: sono cose vere. Sento una carrozza, mi pare. Sarà la signora Vittoria e il signor Leonardo. Fatemi un piacere, signor Guglielmo, andate a vedere se sono dessi.

GUGLIELMO:        Sì, signora, è giusto; questa seggiola non è per me. (S'alza.)

GIACINTA:        Se non volete, non preme...

GUGLIELMO:        Contentatevi. Son giovane onesto, e so il mio dovere. (Parte.)

GIACINTA:        (Oggi m'aspetto di dover passare una giornata crudele).

COSTANZA:        Dica, signora Giacinta, è egli vero che il signor Guglielmo si sia dichiarato per la signora Vittoria?

GIACINTA:        Lo dicono.

COSTANZA:        Siccome deve essere sua cognata, ella lo dovrebbe sapere.

GIACINTA:        Finora non c'è stata gran confidenza fra lei e me.

COSTANZA:        E le nozze sue si faranno presto?

GIACINTA:        Non so, non glielo so dire. E ella, signora Costanza, quando fa sposa la signora Rosina?

COSTANZA:        Chi sa? potrebbe darsi.

ROSINA:        Oh! non c'è nessun che mi voglia.

TOGNINO:        (Nessuno?). (Piano a Rosina, urtandola forte.)

ROSINA:        (Zitto, malagrazia). (Piano a Tognino.)

GIACINTA:        Mi pare, se non m'inganno... (Verso Tognino ecc..)

COSTANZA:        Le pare, signora Giacinta? (Sogghignando per piacere.)

ROSINA:        Qualche volta l'apparenza inganna.

GIACINTA:        Il signor Tognino non è giovane capace di burlare.

TOGNINO:        Ah? (Fa uno scherzo a Rosina ridendo, poi s'alza e passeggia sgarbatamente.)

GIACINTA:        (È un buon ragazzo, mi pare). (A Costanza.)

COSTANZA:        (Non ha molto spirito). (A Giacinta.)

GIACINTA:        (Cosa importa? Basta che abbia il modo di mantenerla). (A Costanza.)

COSTANZA:        (Oh! sì, è figlio solo). (A Giacinta.)

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