SCENA QUINTA

Ferdinando e Sabina.

SABINA:        (Dicano quel che vogliono; mi basta che il mio Ferdinando mi voglia bene).

FERDINANDO:        (Ora ho da digerire tutto il divertimento che ho avuto questa mattina).

SABINA:        Caro il mio Ferdinando.

FERDINANDO:        Cara la mia cara signora Sabina.

SABINA:        Datemi da sedere.

FERDINANDO:        Subito. Volentieri. (Le porta una sedia.)

SABINA:        E voi, perché non sedete? (Siede.)

FERDINANDO:        Sono stato a sedere finora.

SABINA:        Sedete, vi dico.

FERDINANDO:        Me lo comanda?

SABINA:        Sì, posso comandarvelo, e ve lo comando.

FERDINANDO:        Ed io deggio obbedire, e obbedisco. (Va a prendere la sedia.)

SABINA:        (Ma che figliuolo adorabile!).

FERDINANDO:        (Quanto ha da durare questa seccatura?). (Porta la sedia.)

SABINA:        (Ma quanto ben che mi vuole!).

FERDINANDO:        Eccola obbedita. (Siede.)

SABINA:        Accostatevi un poco.

FERDINANDO:        Sì, signora. (Si accosta un poco.)

SABINA:        Via, accostatevi bene.

FERDINANDO:        Signora... ho preso il reobarbaro...

SABINA:        Ah bricconcello! M'accosterò io. (S'accosta.)

FERDINANDO:        (Che ti venga la rabbia).

SABINA:        Caro figliuolo, governatevi, non disordinate. Ieri sera avete mangiato un poco troppo. Basta; questa mattina a tavola starete appresso di me. Vi voglio governar io; mangerete quello che vi darò io.

FERDINANDO:        Eh! da qui all'ora del pranzo vi è tempo. Può essere ch'io stia bene, e che mangi bene.

SABINA:        No, gioia mia; voglio che vi regoliate.

FERDINANDO:        Che ora è presentemente?

SABINA:        Ecco, diciassett'ore; osservate. Non avete anche voi l'oriuolo? (Mostrando il suo.)

FERDINANDO:        Ne aveva uno... non saprei... andava male; l'ho lasciato a Livorno.

SABINA:        Perché lasciarlo? Un galantuomo senza l'oriuolo, specialmente in campagna, fa cattiva figura.

FERDINANDO:        È vero, se sapessi come fare... Arrossisco di non averlo. Andrei quasi a posta a pigliarlo.

SABINA:        Se il mio avesse la catena da uomo, ve lo presterei volentieri.

FERDINANDO:        Una catena d'acciaio si può trovare facilmente: a Montenero se ne trovano.

SABINA:        Sì, si potrebbe trovare. Ma io poi avrei da restare senza il mio oriuolo?

FERDINANDO:        Che serve? Credete ch'io non lo sappia, che l'avete detto per ridere, per burlarmi? Andrò a Livorno...

SABINA:        No, no, caro; ve l'ho detto di cuore. Tenete, gioia mia, tenete. Ma ve lo presto, sapete?

FERDINANDO:        Oh! ci s'intende. (Questo non lo avrà più).

SABINA:        Vedete, se vi voglio bene?

FERDINANDO:        Cara signora Sabina, siete certa di essere corrisposta.

SABINA:        E se continuerete ad amarmi, avrete da me tutto quel che volete.

FERDINANDO:        Io non vi amo per interesse. Vi amo perché lo meritate, perché mi piacete, perché siete adorabile.

SABINA:        Anima mia, metti via quell'oriuolo, che te lo dono. (Piangendo.)

FERDINANDO:        (Oh! se potessi ridere! Riderei pur di cuore).

SABINA:        Senti, figliuolo mio, io ho avuto diecimila scudi di dote. Col primo marito non ho avuto figliuoli. Sono miei, sono investiti, e ne posso disporre. Se mi vorrai sempre bene, io ho qualche anno più di te, e un giorno saranno tuoi.

FERDINANDO:        E non vi volete rimaritare?

SABINA:        Briccone! per che cosa credi ch'io ti voglia bene? Pensi ch'io sia una fraschetta? Se non avessi intenzione di maritarmi, non farei con te quel ch'io faccio.

FERDINANDO:        Cara signora Sabina, questa sarebbe per me una fortuna grandissima.

SABINA:        Gioia mia, basta che tu lo voglia. Quest'è una cosa che si fa presto.

FERDINANDO:        E avete diecimila scudi di dote?

SABINA:        Sì, e in sei anni che sono vedova, ho accumulati anche i frutti.

FERDINANDO:        E ne potete disporre liberamente?

SABINA:        Sono padrona io.

FERDINANDO:        Che vuol dire, non avreste difficoltà a farmi una piccola donazione.

SABINA:        Donazione? A me si domanda una donazione? Sono io in tale stato da non potermi maritare senza una donazione?

FERDINANDO:        Ma non avete detto, che un giorno la vostra dote può essere cosa mia?

SABINA:        Sì, dopo la mia morte.

FERDINANDO:        Farlo prima, o farlo dopo, non è lo stesso?

SABINA:        E se ci nascono dei figliuoli?

FERDINANDO:        (Oh vecchia pazza! Ha ancora speranza di far figliuoli).

SABINA:        Ditemi un poco, signorino, è questo il bene che mi volete senza interesse?

FERDINANDO:        Io non parlo per interesse. Parlo perché, se fossi padrone di questo danaro, potrei mettere un negozietto a Livorno, e farmelo fruttare il doppio, e star bene io, e fare star bene benissimo la mia cara consorte.

SABINA:        No, disgraziato, tu non mi vuoi bene. (Piange.)

FERDINANDO:        Cospetto! se non credete ch'io vi ami, farò delle bestialità, mi darò alla disperazione.

SABINA:        No, caro, no, non ti disperare, ti credo: che tu sia benedetto!

FERDINANDO:        Ho un amore per voi così grande, che non lo posso soffrire.

SABINA:        Sì, ti credo, ma non mi parlare di donazione. Non ti basta ch'io t'abbia donato il core?

FERDINANDO:        (Eh! col tempo può essere che ci caschi).

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