O. Una lettera di Mazzini ai Mayer.

Commovente la lettera con cui Mazzini invitò il Mayer a quell’ultimo convegno (Linaker, I, 344):

Caro Enrico,

Da circa trentacinque anni ho con te un debito che ho indovinato dall’epistolario del povero Bini. Ciò che oggi fo ti provi che non ho potuto far prima, ma che v’ho sempre pensato. È fatto che pochi crederebbero ma che tu crederai; non ebbi mai in tutti questi lunghi anni di mio tremila lire disponibili fuorchè alla morte di mio padre; e allora la somma ch’io ebbi sparì in non so quali imprese politiche nelle quali mi trovavo ingolfato.

Dal 1859 in poi, mutate le cose, potei cominciare a economizzare qualche lira sui due vitaliziucci che, per antiveggenza della buona santa mia madre, mi fanno vivere. E son più che lieto di poterti dire: «non t’ho dimenticato mai.» M’hanno detto che molte tue opinioni sono mutate: poco importa; l’anima tua non può esserlo. Ti scrissi una volta e mi dissero che la lettera non t’era giunta. Il mio silenzio con te non fu che prudenza d’uomo deciso da molti anni di non volere procacciare noie o sospetti a chi non divide in coscienza tutta la mia credenza intorno al da farsi. Ma t’ho ricordato sempre come una delle migliori anime incontrate da me nella tristissima via ch’io, per profondo convincimento, calcai.

Di me e delle mie condizioni fisiche ti dirà l’amico. Di passaggio da Pisa, ricaddi malato. Non posso nè venire a vederti nè parlare a lungo. Non ho bisogno di dirti che se a te riesce di visitarmi per mezz’ora, sarò lieto di stringerti la mano coll’antico affetto.

Tuo

Giuseppe Mazzini.

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