V.

Il Grimm racconta nella sua Correspondance Littéraire (a. 1770) che, verso il 1760, Diderot insieme a lui e ad altri amici erano afflitti che il marchese di Croismare, un gentiluomo amabilissimo, si fosse ritirato in una sua terra in Normandia. Per richiamarlo a Parigi, pensarono d’inventare qualche cosa, che destasse l’interesse del Marchese, e lo riconducesse in mezzo a loro, che avrebbero poi saputo ben ritenerlo. Qualcuno fra essi ricordò che, poco prima della sua partenza, il Marchese, avendo saputo d’una monaca di Longchamps, che reclamava giuridicamente contro i suoi voti, senza conoscerla, senza sapere il nome di lei, s’era adoperato perchè la sciagurata ottenesse giustizia. Per quanto valida la protezione, suor Susanna Simonin perdette il processo: le sue catene furon ribadite. Diderot pensò che, ridestando la memoria di costei nell’animo gentile e nobile del Marchese, avrebbero raggiunto l’intento di cavarlo dal suo ritiro. Immaginò allora che suor Susanna fosse riuscita ad evadere dal convento, e che ora sola nel mondo, fra tante strettezze e pericoli, fosse in bisogno di ricorrere al già suo generoso difensore. Così Diderot cominciò a nome della Monaca una corrispondenza col M. di Croismare, che, nulla potendo subodorare del tiro, non smentì il suo buon cuore, e decise di tôrsi in casa la Monaca, come aia d’una figlia che voleva ritirare dall’educandato. Per altro non si mosse da Caen. Vedendo che le cose non pigliavano la piega voluta, i congiurati, i banditi, come dice Grimm, diedero per malata la Monaca. Il Marchese, dolente della malattia, ne seguiva il corso con sollecitudine; e scrisse più volte alla signora Mudin, presso cui si diceva ospite suor Susanna. Finalmente Diderot, per non affligger di troppo il Marchese, e per finire una mistificazione che non sortiva l’effetto desiderato, si vide costretto ad uccidere... l’immaginata eroina. – Più tardi, i congiurati confessarono tutto al Marchese, e ne risero insieme.

Ma «une circonstance, qui n’est pas la moins singulière – scrive Grimm – c’est que tandis que cette mystification échauffait la tête de notre ami en Normandie, celle de Diderot s’échauffait de son côté. Celui-ci se persuada que le Marquis ne donnerait pas un asile dans sa maison à une jeune personne sans la connaître; il se mit à écrire en détail l’histoire de notre religieuse. Un jour qu’il était tout entier à ce travail, un de nos amis communs lui rendit visite, et le trouva plongé dans la douleur et le visage inondé de larmes.... – Ce que j’ai, lui dit Diderot, je me disole d’un conte que je me fais.» – Queste ultime parole son l’elogio migliore di Diderot romanziere.

È così, che la Religieuse fu in pochi giorni letta agli amici, ma solo a frammenti, nella società del barone D’Holbach e di madame d’Épinay; e dieci anni dopo Grimm ne parlava come d’opera incompiuta e probabilmente distrutta. – Il dramma di La Harpe «Mélanie ou la Religieuse» richiamò a Grimm il racconto di Diderot; e lo rimpianse con vivo desiderio, tanto più che la produzione del La Harpe era mediocrissima «piena d’una sensibilità declamatoria e d’un volgare patetico; dacchè La Harpe volle sfruttare il luogo comune della Monaca invasa da un amore mondano, e perciò insofferente del chiostro.» Ora questo, se poteva provocare facili applausi, toglieva efficacia alla produzione dal lato filosofico, senza darle un merito letterario.

Fu nel 1796 che il libraio Buisson pubblicò ad un tratto la Religieuse, senza dire come fosse giunto a procurarsi il manoscritto originale. – Straordinario il successo che accolse il romanzo: le edizioni si tennero dietro con molta rapidità, di tutti i formati, di tutti i prezzi. Nè fu voga passeggiera, se nel 1824 – si noti bene – la Censura sentì ti bisogno d’una proibizione, rinnovata nel 1826. Ciò che vuol dire che il successo doveva esser vivissimo ancora, quando il giovane Manzoni dimorava a Parigi.

Ed eccoci ora a raccoglier le fila principali di questo studio.

Conobbe il Manzoni il romanzo di Diderot – e l’ebbe presente nell’episodio della Monaca?

Da quanto siamo venuti esponendo, non ci par dubbia la risposta.

È troppo noto che Manzoni, nel soggiorno fatto a Parigi, fu tutto alle idee filosofiche, di cui, nelle società di madama Helvetius e madama Cabanis, conobbe e frequentò gli ultimi cospicui rappresentanti. Del filosofismo, delle idee volteriane, il Manzoni non penò a sbarazzarsi: al suo spirito riflessivo non poteva a lungo bastare quella critica negativa, e non tardò a sentirne tutto il vuoto. Scrisse stupendamente l’Heine nella prima parte della sua Germania: «... il riso di Voltaire non ha provato nulla: ha solo prodotto un effetto brutale, come l’ignobile mannaia di Samson. Voltaire non ha fatto che ferire il corpo del Cristianesimo: tutti i suoi sarcasmi, derivati dalla storia ecclesiastica, tutti i suoi epigrammi sul dogma e il culto, sulla Bibbia, questo santo libro dell’umanità, sulla Vergine, il più bel fiore di poesia; tutta quella faretra, irta di freccie filosofiche, che egli liberò contro la chierisia, il sacerdozio, non colpì che l’involucro caduco del Cristianesimo, e non la sua essenza interiore: non potè toccare nè la profondità del suo genio, nè il suo spirito immortale.» – È ciò che dovè dirsi il Manzoni; è ciò che espresse, più tardi, con più forte strappo dell’anima, anche il Musset, nell’eloquente apostrofe a Voltaire, che si legge nel Rolla (IV). – Del resto, il rivolgimento filosofico-religioso operatosi nel Manzoni dovè lungamente e lentamente maturarsi nei segreti combattimenti del dubbio, nel nuovo ambiente di famiglia: fu tutto insomma interiore – una qualunque di quelle cause esterne, che posson solo spiegare la conversione volgare d’uno spirito debole, non è seria davanti a così profondo mutamento d’un uomo quale il Manzoni: nè ci voleva meno perchè egli potesse ricrearsi un nuovo mondo psicologico.

Facile fu rigettarne le idee filosofiche; – ma l’influenza letteraria del Voltaire (e in genere degli scrittori francesi) fu decisiva sul Manzoni, e ad essa dobbiamo la rigenerazione della nostra prosa, ritemprata all’agilità, alla vivezza di que’ modelli. Ancora: il Manzoni potè bene disfarsi delle opere del Voltaire, abbandonandole alla santa ira del Tosi – che, pare, di cento bei volumi rilegati in marocchino, col labbro dorato, ne risparmiò soli quattro, e degli altri lasciò i cartoni soltanto, ma pel Manzoni non fu egualmente possibile spogliarsi dell’«abito all’arguzia, alla satira» che l’affinità elettiva del suo temperamento s’era formato alla lettura del Voltaire. La mordacità caustica del quale traspare sempre nella prosa manzoniana, per quanto si veli d’una pia compassione cattolica. Come nel Voltaire, è vivissima nel Manzoni la percezione del ridicolo, delle debolezze umane: il fantasma comico si affaccia pronto alla sua fantasia, ma si direbbe che egli cerchi scacciarlo come una tentazione, e non potendo mitighi lo scetticismo, la malizia con un pietoso risolino, quasi un dio benigno e beffardo, che assista dall’alto al mesto e comico spettacolo della piccolezza e miseria umana. In uno stesso periodo par d’incontrare il riso scettico di Voltaire, e ad uno svolto giù in fondo una voluta bonomia paterna di credente.

Il Diderot non poteva avere una consimile influenza sul Manzoni; ma le opere di questo titano non furono men note al giovane lombardo – nè in particolare la Religieuse, di cui ebbe occasione di vedere il successo, e di cui dovette ben ricordarsi, quando s’avvisò di raccogliere quell’addentellato storico dal Ripamonti, per l’episodio della monaca. Certo, non avranno a contestarlo coloro che invariabilmente adducono in proposito una zia ex-monaca, di cui potè soccorrer la memoria al Manzoni. Ma che cosa sappiamo di costei? «Il Manzoni (scrive lo Stoppani) si ricordava fin negli ultimi suoi anni della buona zia, la quale gli aveva lasciato delle impressioni vivissime, che egli ricordava agli amici come fossero ancora que’ giorni.» Era lei che aveva assunto una parte dell’educazione del nipote, e precisamente di farne un giovanotto brillante, d’insegnargli la vita del mondo – sottoponendolo alle inevitabili lezioni di musica e ballo. Non che l’ex-monaca «fosse una donna meno che ammodo, anzi meno che pia; ella non mancava mai di condur seco Lisandrino alla benedizione, ecc.» ma sapeva conciliar tutte queste cose. Una volta che era a dar lezione al nipote del suddetto viver del mondo, càpita all’improvviso un zio monsignore, e lei svelta a cambiar discorso «con tale disinvoltura da far invidia al comico più provetto. – Dove mai aveva appresa la zia una tattica così sorprendente? Ma... La cosa aveva fatto un gran senso al giovinetto, e gli avrà dato certamente da pensare.» Se cadeva il discorso sulla soppressione, l’ex-monaca esitava a discutere, saltando di piè pari alla conclusione. – Aria, aria! – diceva «trinciando nell’aria di gran cerchi colla mano destra, quasi avesse voluto farsi largo, e sgombrarsi dattorno quel non so che, da cui aveva impedito per tant’anni il respiro.» Quest’ultimo particolare è certo notevole; dunque neanche la buona zia aveva avuto una vera vocazione, o le avevano imposto il velo, o s’era presto pentita d’una decisione leggermente presa. Però questa ex-monaca che si conservava sempre pia, e che possiamo facilmente immaginarci come una buona pastricciana, con un misto curioso di mondanità e di devozione, non certo raro in una donna del secolo XVIII, non ci pare davvero che avesse a far tanto viva impressione al Manzoni, nè perciò a formare una reminiscenza così forte da influire in qualunque modo sull’episodio della Monaca. Non v’era nel caso della «buona zia» un punto di partenza qualsiasi alla storia d’una violenza trista e dolorosa, che va a finire in un truce mistero: nè vediamo in che quel ricordo gli abbia quindi giovato. Invece i ravvicinamenti fin qui fatti ci traggono ad affermare che questa viva, forte impressione non poteva produrla che la Religieuse. – Quando si tratta di certe opere e di certi ingegni, è molto difficile (e quasi temerario) stabilire nettamente l’origine d’una reminiscenza, d’un motivo, perchè o si perde o diventa irriconoscibile ogni traccia nell’appropriazione ed elaborazione personale dell’artista superiore. Pure, nel caso nostro, abbiamo veduto i parecchi contatti nel tema principale de’ due racconti; e, fatta parte alle condizioni storiche cui doveva sempre, benchè nei più larghi limiti, obbedire il Manzoni, ci sembra indiscutibile che egli dovesse aver tenuto l’occhio al romanzo di Diderot. Nel primo periodo delle loro sciagure, la figlia di principe del secolo XVII e la povera fanciulla nata d’adulterio, passano vicende pressochè eguali – colorite diversamente, secondo gli opposti intendimenti. Nè questa diversità può essere, per ciò appunto, fortuita: il Diderot, combattendo l’istituzione, faceva convergere al suo fine tutti i particolari; il Manzoni esponeva un caso, e, anche svelando qualche colpa dell’individuo, teneva sempre l’istituzione al disopra di ogni attacco. Contro il suo stesso appoggio storico, aggravò la reità della vittima, quando un complesso di fatti portava invece a sfrondare l’istituzione. – Il Diderot, molto accortamente, mostrò che nella sua Monaca non era mancato il così detto conforto della religione, ma che questo non era nè sufficiente nè durevole, non bastava insomma al sacrifizio d’uno stato antinaturale; il Manzoni, ossequente alla cristiana rassegnazione, per spiegare i traviamenti della vittima ne disse chiuso il cuore e la mente all’essenza vera della religione, contro la storia che l’aveva pur presentata buona dapprima e tranquilla. In ciò la confutazione indiretta, ma pensata di certo, al libro del Diderot: l’istituzione, l’idea religiosa son rivendicate contro l’aggressiva requisitoria del filosofo.

Fin qui per una critica investigatrice di tendenze; ma l’arte, indifferente, incuriosa di queste, non vuole che vita, creazione – a lei importa quindi sopratutto che Diderot col suo impeto appassionato, Manzoni con la sua analisi profonda, abbiano intensamente vissuto le figlie della loro fantasia. Non sarà nondimeno senza interesse aver provato (come ci lusinghiamo d’aver fatto) che Gertrude e Susanna Simonin, oltrechè di sventura, hanno pur qualche fraternità d’arte.

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