SCENA VIII.

CARLO, DESIDERIO, ADELCHI ferito e portato.

DESIDERIO.

Ahi, figlio!

ADELCHI.

O padre, io ti rivedo! Appressa;

Tocca la mano del tuo figlio.

DESIDERIO.

Orrendo

M'è il vederti così.

ADELCHI.

Molti sul campo

Cadder così per la mia mano.

[114]

DESIDERIO.

Ahi, dunque

Insanabile, o caro, è questa piaga?

ADELCHI.

Insanabile.

DESIDERIO.

Ahi lasso! ahi guerra atroce!

Io crudel che la volli; io che t'uccido!

ADELCHI.

Non tu, nè questi, ma il Signor d'entrambi.

DESIDERIO.

Oh desiato da quest'occhi, oh quanto

Lunge da te soffersi! Ed un pensiero

Fra tante ambasce mi reggea, la speme

Di narrartele un giorno, in una fida

Ora di pace.

ADELCHI.

Ora per me di pace,

Credilo, o padre, è giunta; ah! pur che vinto

Te dal dolor quaggiù non lasci.

DESIDERIO.

Oh fronte

Balda e serena! oh man gagliarda! oh ciglio

Che spiravi il terror!

ADELCHI.

Cessa i lamenti,

Cessa, o padre, per Dio! Non era questo

Il tempo di morir? Ma tu, che preso

Vivrai, vissuto nella reggia, ascolta.

Gran segreto è la vita, e nol comprende

Che l'ora estrema. Ti fu tolto un regno:

[115]

Deh! nol pianger; mel credi. Allor che a questa

Ora tu stesso appresserai, giocondi

Si schiereranno al tuo pensier dinanzi

Gli anni in cui re non sarai stato, in cui

Nè una lagrima pur notata in cielo

Fia contra te, nè il nome tuo saravvi

Con l'imprecar de' tribolati asceso.

Godi che re non sei; godi che chiusa

All'oprar t'è ogni via: loco a gentile,

Ad innocente opra non v'è: non resta

Che far torto, o patirlo. Una feroce

Forza il mondo possiede, e fa nomarsi

Dritto: la man degli avi insanguinata

Seminò l'ingiustizia; i padri l'hanno

Coltivata col sangue; e omai la terra

Altra messe non dà. Reggere iniqui

Dolce non è; tu l'hai provato: e fosse;

Non dee finir così? Questo felice,

Cui la mia morte fa più fermo il soglio,

Cui tutto arride, tutto plaude e serve,

Questo è un uom che morrà.

DESIDERIO.

Ma ch'io ti perdo,

Figlio, di ciò chi mi consola?

ADELCHI.

Il Dio

Che di tutto consola.

(si volge a CARLO)

E tu, superbo

Nemico mio....

CARLO.

Con questo nome, Adelchi,

Più non chiamarmi; il fui: ma con le tombe

Empia e villana è nimistà; nè tale,

Credilo, in cor cape di Carlo.

[116]

ADELCHI.

E amico

Il mio parlar sarà, supplice, e schivo

D'ogni ricordo ad ambo amaro, e a questo

Per cui ti prego, e la morente mano

Ripongo nella tua. Che tanta preda

Tu lasci in libertà.... questo io non chiedo....

Chè vano, il veggo, il mio pregar saria,

Vano il pregar d'ogni mortale. Immoto

È il senno tuo; nè a questo segno arriva

Il tuo perdon. Quel che negar non puoi

Senza esser crudo, io ti domando. Mite,

Quant'esser può, scevra d'insulto sia

La prigionia di questo antico, e quale

La imploreresti al padre tuo, se il cielo

Al dolor di lasciarlo in forza altrui

Ti destinava. Il venerabil capo

D'ogni oltraggio difendi: i forti contro

I caduti, son molti; e la crudele

Vista ei non deve sopportar d'alcuno

Che vassallo il tradì.

CARLO.

Porta all'avello

Questa lieta certezza: Adelchi, il cielo

Testimonio mi sia; la tua preghiera

È parola di Carlo.

ADELCHI.

Il tuo nemico

Prega per te, morendo.

[117]

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