SCENA VI.

[corrispondente alla sc. V della stampa, dacchè nell'abbozzo manca una scena che corrisponda alla IV, a quella cioè del monologo del CONTE].

IL CONTE.

Anco il Doge hai tu detto?

MARCO.

Il Doge, e quanto

[279]

Ha di più illustre la città, s'aduna

Or nel Palazzo ad aspettarti; e vuole

Fino alla riva accompagnarti, in pieno

Corteggio.

IL CONTE.

Il premio che precorre all'opra

È incitamento a meritarlo; e spero

A questa alma tua patria offrir ben presto

Più che la mia riconoscenza. Or tutta

Abbila tu, ch'io qui ti vegga: acerbo

M'era il partir, se alla sfuggita, e tra la

Folla dei salutanti, oggi io doveva

Cercar lo sguardo dell'amico.

MARCO.

Pensa

S'io lascerei che tu partissi, senza

Darti un più speciale intimo addio.

Va, vinci, e torna. Oh come atteso e caro

Verrà quel nuncio, che la gloria tua

Con la salvezza della patria arrechi!

IL CONTE.

Marco, ad impresa io non m'accinsi mai

Con maggior cor che a questa. È giunto il tempo

Che quell'ingrato, che da' miei servigj

Estimarmi non seppe, or dal travaglio

Che gli darò m'estimi; e finalmente

Gli risovvenga che gli manca un uomo:

Quell'uom, su cui nelle più dure strette

Solea posarsi il suo pensier, gli manca,

Anzi è quel desso che l'incalza; e solo

Perch'egli il volle. Oh venga il dì che alcuno

Mi dica: - Io il vidi sbigottito, affranto,

Tra i fidi suoi, che non ardian levargli

[280]

Lo sguardo in fronte, e l'udii dire: io fui

Mal consigliato, allor che offesi il Conte! -

Questa parola t'uscirà dal labbro,

O Duca di Milano; ed anco io spero

A tal ridurti, che ti sembri acquisto

Conservar parte del tuo regno, e darmi

Ciò che a gran torto ora mi neghi, e ch'io

Ho di più caro al mondo. Or tu sei lieto

D'aver tai pegni; ma vedrai che importi

Tenersi in man quel ch'è dei prodi! - O amico,

Questo è il pensier che sempre è meco, e forte

Più che il desìo della vendetta: intera

Gioja mai non avrò, se d'essa a parte

La sposa mia, la figlia mia non viene.

So che in corte del Duca a lor non fassi

Altro che onor; son certo che un capello

Torcere a lor non ardirà: ma il giorno

Ch'io rivedrolle, e le potrò dir mie,

Sarà il più bello di mia vita. - Ascolta:

Non è d'alcuno l'avvenir, ma quale

È l'uom che sopra non vi fa disegno?

Or questo è il mio: se vincitor ritorno,

E non solo (chè, vinto e senza speme,

So quel che far dovrei), qui finalmente

Restarmi; il vecchio genitor con noi

Qui trarre; e, poi che questa nobil madre

M'ha nel suo glorioso antico grembo

Accolto, e dato di suo figlio il nome,

Esserlo, e tutto, e correr sempre, il primo

Tra i figli suoi, s'ella gli chiami all'arme,

Per guardar la santissima quiete

Che a lei senno e giustizia han partorita;

E se la spada mi perdona, e s'io,

Cresciuto in campo di battaglia, gli occhi

Non chiuderò sul campo, in questa sede

Chiudergli, fra i congiunti e fra gli amici,

Qualche desìo lasciando e qualche nome.

..............

[281]

A questa scena, che nell'abbozzo era anche indicata come 1ª dell'atto II, seguivano una 2ª ed una 3ª, delle quali non v'ha traccia nella stampa, e che noi riproduciamo qui sotto.

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