[corrispondente alla sc. V della stampa, dacchè nell'abbozzo manca una scena che corrisponda alla IV, a quella cioè del monologo del CONTE].
IL CONTE.
Anco il Doge hai tu detto?
MARCO.
Il Doge, e quanto
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Ha di più illustre la città, s'aduna
Or nel Palazzo ad aspettarti; e vuole
Fino alla riva accompagnarti, in pieno
Corteggio.
IL CONTE.
Il premio che precorre all'opra
È incitamento a meritarlo; e spero
A questa alma tua patria offrir ben presto
Più che la mia riconoscenza. Or tutta
Abbila tu, ch'io qui ti vegga: acerbo
M'era il partir, se alla sfuggita, e tra la
Folla dei salutanti, oggi io doveva
Cercar lo sguardo dell'amico.
MARCO.
Pensa
S'io lascerei che tu partissi, senza
Darti un più speciale intimo addio.
Va, vinci, e torna. Oh come atteso e caro
Verrà quel nuncio, che la gloria tua
Con la salvezza della patria arrechi!
IL CONTE.
Marco, ad impresa io non m'accinsi mai
Con maggior cor che a questa. È giunto il tempo
Che quell'ingrato, che da' miei servigj
Estimarmi non seppe, or dal travaglio
Che gli darò m'estimi; e finalmente
Gli risovvenga che gli manca un uomo:
Quell'uom, su cui nelle più dure strette
Solea posarsi il suo pensier, gli manca,
Anzi è quel desso che l'incalza; e solo
Perch'egli il volle. Oh venga il dì che alcuno
Mi dica: - Io il vidi sbigottito, affranto,
Tra i fidi suoi, che non ardian levargli
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Lo sguardo in fronte, e l'udii dire: io fui
Mal consigliato, allor che offesi il Conte! -
Questa parola t'uscirà dal labbro,
O Duca di Milano; ed anco io spero
A tal ridurti, che ti sembri acquisto
Conservar parte del tuo regno, e darmi
Ciò che a gran torto ora mi neghi, e ch'io
Ho di più caro al mondo. Or tu sei lieto
D'aver tai pegni; ma vedrai che importi
Tenersi in man quel ch'è dei prodi! - O amico,
Questo è il pensier che sempre è meco, e forte
Più che il desìo della vendetta: intera
Gioja mai non avrò, se d'essa a parte
La sposa mia, la figlia mia non viene.
So che in corte del Duca a lor non fassi
Altro che onor; son certo che un capello
Torcere a lor non ardirà: ma il giorno
Ch'io rivedrolle, e le potrò dir mie,
Sarà il più bello di mia vita. - Ascolta:
Non è d'alcuno l'avvenir, ma quale
È l'uom che sopra non vi fa disegno?
Or questo è il mio: se vincitor ritorno,
E non solo (chè, vinto e senza speme,
So quel che far dovrei), qui finalmente
Restarmi; il vecchio genitor con noi
Qui trarre; e, poi che questa nobil madre
M'ha nel suo glorioso antico grembo
Accolto, e dato di suo figlio il nome,
Esserlo, e tutto, e correr sempre, il primo
Tra i figli suoi, s'ella gli chiami all'arme,
Per guardar la santissima quiete
Che a lei senno e giustizia han partorita;
E se la spada mi perdona, e s'io,
Cresciuto in campo di battaglia, gli occhi
Non chiuderò sul campo, in questa sede
Chiudergli, fra i congiunti e fra gli amici,
Qualche desìo lasciando e qualche nome.
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A questa scena, che nell'abbozzo era anche indicata come 1ª dell'atto II, seguivano una 2ª ed una 3ª, delle quali non v'ha traccia nella stampa, e che noi riproduciamo qui sotto.