[corrispondente alla sc. III della stampa].
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IL DOGE.
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Non fia per questo che salirlo ancora
Un cauto e franco cavalier non voglia.
MARINO.
Ma in questa leale alma, che chiude
Tante virtù da farne appien securi,
Quella per certo esser non de' sbandita
Che anco nel petto più volgar s'annida:
L'amor de' suoi. Crederem noi ch'ei ci ami
Più del suo sangue, e possa un risoluto
Coral nemico esser di lui che tiensi
E la sua moglie e la sua figlia? d'uno
Che gli puote ogni dì mandar dicendo:
- Pensa ch'è in mano mia farti il più lieto
Marito e padre, o far che tu sia stato
Marito e padre?
IL DOGE.
Egli è fondato e grave
Questo sospetto; e in me pur nacque, e in tutti
Sarà nato, cred'io: pur, se mia mente
Troppo a persuäder non è leggiera,
Ragion dirò per cui sarà da voi
Sgombro, come da me. Spesso del Conte
Io l'animo tentai, se da quel lato
Speme o timor lo ritenesse ancora
Avvinto al Duca; e questo ognor vi scorsi:
Pei cari suoi tema ei non ha. - Filippo,
Ei mi dicea sovente, in ciò diverso
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Da tanti suoi feroci avi, bruttarsi
D'inutil sangue non fu visto mai.
E sparger quello d'innocenti donne,
E strette affini sue, che gli varrebbe?
A farlo infame e obbrobrioso, al segno
In cui non puote un re tenersi in trono
S'ogni uomo in forza ed in valor non passa
Come in perfidia e in crudeltà! Speranza
Di riaverle per accordo, è sogno;
Chè il Duca è tal che non compensa mai
Con beneficj nuovi ingiurie antiche,
Nè mai dal far vendetta altro il ritenne
Che il non poter: quindi a colui che fatto
Gli sia nemico, un sol partito è buono:
Esserlo a morte. - Nè per questo il Conte
Vedovo tiensi; nè ogni speme ei lascia
Di conquistare i suoi, ma in noi la fonda.
Tôrgli tai pegni, collo Stato insieme,
Coll'armi nostre ei si confida; o trarlo
A tale estremo, ch'ei li renda almeno.
Ciò che quindi potea farcel sospetto,
A noi più ligio e più devoto il rende.
MARINO.
Poichè sì certo è di quest'uomo il Doge
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