VII.

Il Fauriel era stato messo a parte dell'evoluzione religiosa che si veniva compiendo nell'animo del Manzoni: «il già sì fiero Alessandro», come, non senza enfasi e compiacimento d'apostolo, lo chiamava monsignor Luigi Tosi. Il quale era un po' come il Sarto dei Promessi Sposi: avendo avuto mano a quella conversione, gridava volentieri al miracolo. Scriveva da Milano all'abate Dègola, genovese (n. 1761, m. 1826), il 26 agosto 1810:

«Buon per me... che il Signore ha fatto tutto in questa famiglia. Egli ha data a tutti tre tanta semplicità e docilità, quanta non ne ho mai trovata in vent'anni di ministero, nemmeno nelle persone più rozze e più basse. Oh qual miracolo è questo della Divina Misericordia! Non la sola Enrichetta, che è un angelo di ingenuità e di semplicità, ma Madama, ed anche il già sì fiero Alessandro, sono agnellini che ricevono con estrema avidità le istruzioni più semplici, che prevengono i desiderii[xlii] di chi dovrebbe dirigerli, che dànno coraggio a chi loro parla onde parli liberamente, che tutto mettono a profitto di loro santificazione. Intanto il sistema di famiglia è ordinato nel modo più savio; l'unione dei cuori è mirabile; e tutti cospirano ad animarsi vicendevolmente, a rinfrancarsi, a disprezzare tutti i rispetti umani. La città nostra è sommamente edificata da questo prodigio della destra del Signore; i buoni sono inteneriti, e presagiscono grandi beni alla causa della Religione da un tratto di grazia così straordinario ed inaspettato... Alessandro ha intrapresa la carriera con estrema docilità e sommessione; domani avremo ancora una lunga conferenza, e se il Signore conserva ed accresce in lui le sue benedizioni, egli pure sarà per fare gran passi»

Non pare di riconoscere, nella pomposa eloquenza di questo monsignore, quella non meno calda e colorita del diacono Martino, nell'Adelchi?

Il Manzoni, dal canto suo, convinto d'essersi rimesso sulla buona via, tentava d'attirarvi, con quella signorilità di garbo che in lui era natura, anche l'amico del cuore. E gli scriveva da Brusuglio, il 21 settembre di quello stesso anno 1810:

«Quant à moi, je suivrai toujours la douce habitude de vous entretenir de ce qui m'intéresse, au risque de vous ennuyer. Je vous dirai donc qu'avant tout je me suis occupé de l'objet le plus important, en suivant les idées religieuses que Dieu m'a envoyé à Paris, et qu'à mésure que j'ai avancé, mon coeur a toujours été plus content, et mon esprit plus satisfait. Vous me permettez bien, cher Fauriel, d'espérer que vous vous en occuperez aussi. Il est bien vrai que je crains pour vous cette terrible parole: Abscondisti haec a sapientibus et prudentibus, et revelasti ea parvulis. Mais non, je ne le crains point, car la bonté et l'humilité de votre coeur n'est pas inférieure ni à votre esprit ni à vos lumières. Pardon du prêche que le parvulus prend la liberté de vous faire».

A buon conto, ora ha smesso l'idea di tradurre il poema del Baggesen; come invece n'aveva fatto solenne promessa in quella epistola A Parteneide, del 1807-08, che termina:

Che se l'evento il mio sperar pareggia,

Se nè la vita nè l'ardir mi falla,

Forse, più ardito condottier già fatto,

[xliii]

Ti piglierò per mano; e come io valgo,

Meraviglia gentile a la mia sacra

Italia io mostrerotti: a quella augusta

D'uomini madre e d'intelletti, augusta

Di memorie nutrice e di speranze.

Tra' letterati di Lombardia, quando il Manzoni diffuse codesto poema nella traduzione del Fauriel, esso non era piaciuto. E non tanto per difetti suoi propri, quanto pel genere idillico cui apparteneva, che qui riusciva insopportabile. Il febbraio del 1811, il Manzoni riscriveva all'amico:

«Il ne faut cependant pas que je ne vous dise rien de Parthénéide. Vous savez que j'avais le projet de la faire lire à tous ceux de ma connaissance qui savent lire. Je l'ai fait; mais, entre nous, avec beaucoup moins de succès que je ne l'espérais. Baggesen n'en saura rien: mais voilà ce qui le consolerait s'il en était informé: c'est qu'on dit qu'au moins Parthénéide est plus passable qu'Hermann et Dorothée. Je dis que ça le consolerait, parce qu'il verrait que ce n'est pas contre son Poème, mais contre le genre, qu'on est prévenu. Difatti on a plaint beaucoup son beau talent de s'être exercé sur des niaiseries».

Alla versione il Fauriel aveva premesso un suo dotto, assennato e arguto Discorso preliminare, dove faceva man bassa su tutti i trattati di rettorica, ed inaugurava una critica filosofica, che guardava nell'intimo dell'opera d'arte. «C'est une critique au vrai sens d'Aristote, qui parle chez nous pour la première fois», sentenziava un giudice che se n'intendeva, il Sainte-Beuve. E il Discorso sì, era stato gustato anche qui, da tutti.

«Mais votre discours», continuava il Manzoni, «a été goûté extraordinairement par tous. On admire la sagesse et la nouveauté des principes que vous posez; on est enfin enchanté: mais on dit que le genre Idyllique est insipide, sans variété, sans intérêt, sans vraisemblance: que ces poèmes le prouvent. Arrangez-moi cela. Au reste, ne prenez pas tout cela à la lettre, car il pourrait se faire que j'eusse entendu cela d'une manière plus exagérée qu'on n'a voulu le dire».

Il Manzoni ora aveva per il capo qualcosa di radicalmente diverso dal viaggio delle tre giovani sorelle a traverso l'Oberland[xliv] fino alla Jungfrau: il dio della Vertigine e il dio dell'Inverno, troneggianti sui ghiacciai alpini, nè lo attiravano, nè lo commovevano più. Nel suo ardore di neofito, egli veniva vagheggiando l'idea di comporre una serie di Inni sacri, e fissava sulla carta dodici soggetti: 1. Il Natale. - 2. L'Epifania. - 3. La Passione. - 4. La Risurrezione. - 5. L'Ascensione. - 6. Le Pentecoste. - 7. Il Corpo del Signore. - 8. La Cattedra di San Pietro. - 9. L'Assunzione. - 10. Il nome di Maria. - 11. Ognissanti. - 12. I Morti. Dall'aprile al giugno 1812, ne aveva già composto uno, La Risurrezione: quel forte aveva finalmente scosso e gettato via il logoro bagaglio neoclassico, che ne impacciava i movimenti;

Come a mezzo del cammino,

Riposato alla foresta,

Si risente il pellegrino,

E si scote dalla testa

Una foglia inaridita,

Che dal ramo dipartita,

Lenta lenta vi ristè.

L'intonazione morale e qualche procedimento artistico permangono pariniani. Le interrogazioni onde l'Inno comincia («Or come a morte La sua preda fu ritolta? Come ha vinte...? Come è salvo...?»); le figurazioni scultorie («dall'un canto Dell'avello solitario Sta il coperchio rovesciato»; «Un estranio giovinetto Si posò sul monumento...»); il colorito realistico («Non è madre che sia schiva Della spoglia più festiva I suoi bamboli vestir»); i precetti morali e sociali, inculcati con bonaria autorità («Sia frugal del ricco il pasto....»): fanno pensare agli ammirati modelli dell'austero predecessore. Ma qui la morale, che vorrei dire stoica, del cittadino abate è pervasa e sublimata dalle essenze più pure ed eterne del Vangelo. Col fiero laico, già volterriano, rifiorisce la poesia che spera e prega, che accenna «al premio che i desidèri avanza», che, sconfortata dell'impotenza dell'umana Ragione, ridispiega fiduciosa le ali verso quel «Dio che atterra e suscita, Che affanna e che consola».

Con la lettera, onde siamo mossi, del 9 febbraio 1814, il[xlv] Manzoni informa il Fauriel d'aver condotti a termine altri due degl'Inni: certamente Il nome di Maria, che fu composto dal 9 novembre 1812 al 19 aprile 1813, e Il Natale, dal 13 luglio al 29 settembre 1813.

«J'ai écrit deux autres Inni, avec l'intention d'en faire une suite: le premier de ceux-ci, qui ne sont que manuscrits, a eu tout le succès que je pouvais désirer; le second n'a pas été si approuvé, ce qui m'a fait croire que tous ceux qui en ont jugé avaient perdu le sens commun, eux qui avaient tant de pénétration quand ils ont trouvé les autres bons! Quand les temps seront un peu plus tranquilles, je les soumettrai à votre jugement, qui est pour moi la plus grande autorité».

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