VIII.

In grazia degl'Inni, il Manzoni aveva messo da parte - per poco tempo, come immaginava, nella certezza di riprenderlo poi più tardi (sono illusioni di cui si può esser vittima anche senza esser «letterati grandi»!) - un altro suo poemetto; che, a giudicarne dagli scarsi indizi, sarebbe riuscito d'ispirazione, anch'esso, tra virgiliana e pariniana.

«Il s'en faut bien que j'aie mis de côté mon petit poème, quoique depuis quelque temps je n'y ai pas mis la main; mais j'ai tout mon plan fait, et quelques morceaux d'écrits».

Di codesto disegno generale e di codesti brani il Bonghi dichiarò di non aver ritrovata traccia nè tra i manoscritti manzoniani, nè presso gli amici del poeta. Non è improbabile che altri, in grazia di più diligenti ricerche, possa essere più fortunato. Ad ogni modo, da una lettera precedente, del 5 ottobre 1809, scritta a Parigi e diretta alla Maisonnette, apprendiamo che il soggetto del poema era la vaccinazione.

«Je suis plus heureux que je ne le mérite, pour ma Vaccine. Je réçois de Milan un extrait d'un ouvrage que l'on va imprimer, et dans lequel il est dit que non seulement on a trouvé la petite vérole dans les vaches en quelques endroits de la Lombardie, mais que dans la Valle di Scalve, qui est dans les montagnes de la Bergamasque, il y avait une tradition, que l'on conduisait les vaches infectes dans les maisons de ceux qu'on voulait preserver de la petite vérole naturelle. Ainsi, voyez, j'ai vaccine, Lombardie, montagnes et tradition!».

[xlvi]

Si trattava dunque d'una specie d'ampliamento, sul modello delle Georgiche, con variazioni didascaliche, descrittive e narrative, della famosa ode al dottor Bicetti? A buon conto, oramai il poeta aveva già sotto mani, sulla tavolozza, quel che di meglio, anzi d'essenziale, l'arte sua pretendeva: l'ambiente storico o leggendario della sua Lombardia, e quei monti, quella pianura a perdita d'occhio, quei colli «beati e placidi», quei laghi incantevoli, quei fiumi e quei ruscelli, che son già nello sfondo delle sue tragedie, e son tanta parte del suo romanzo.

Vero è che il momento buono di mettersi intorno a codesto poema non veniva mai. Aveva, sì, fatto un altro passino avanti. Per quanto egli fosse un grande ammiratore del Giorno, e di quel verso sciolto che ha tutta la squisita e snella eleganza d'una clamide, onde gli scultori greci rivestivan le Giunoni o le Minerve, le Flore o le Muse; e ammirasse, anche in questo d'accordo col Fauriel, la stupenda versione montiana dell'Iliade : si era dovuto convincere che, per un poema un po' ampio, il verso sciolto dovesse riuscire a stancare. Altro è un poemetto, come il Carme all'Imbonati e l'Urania, come il Prometeo del Monti e I Sepolcri; e altro, poniamo, un poema come L'Italia liberata dai Goti o Le Api del Ruccellai o La Coltivazione dell'Alamanni. Il metro veramente acconcio per componimenti di tanta ampiezza, nella nostra poesia, è l'ottava: quella dell'Orlando Furioso, se non anche quella della Gerusalemme Liberata, e della Coltivazione de' Monti di Bartolomeo Lorenzi.

Il 6 marzo del 1812, il Manzoni riscriveva da Milano:

«Je vous dirai aussi un mot de ce travail dont je vous ai parlé à Paris. Je n'y ai pas trop pensé, ainsi je n'ai fait jusqu'à présent que le plan et le commencement du premier chant. Il est en octaves, auxquelles je me suis decidé par la crainte qu'une suite trop longue de vers blancs ne devint assommante, et je m'en trouve très content. Mais je pense bien vous consulter là-dessus, si vous avez la patience de m'écouter».

[xlvii]

Il 20 aprile, si era ancora allo stesso punto: il poema stava molto in mente del poeta, ma quanto al tradurlo sulla carta non sembra fosse progredito. Anzi si direbbe, a giudicarne dalla risposta del Manzoni, che le assennate osservazioni del Fauriel non dovessero contribuir molto a confortare e spingere il poeta a quella traduzione. Riscriveva da Brusuglio:

«Un mot de mon ouvrage; que l'intérêt que vous y prenez m'est cher! Je suis plus que jamais de votre avis sur la poésie; il faut qu'elle soit tirée du fond du coeur; il faut sentir, et savoir exprimer ses sentiments avec sincérité: je ne saurai pas comment le dire autrement. Quel dommage qu'après avoir prétendu faire de la poésie sans ces qualités, on se soit avisé à présent de la gâter dans ces qualités-là même! J'ai bien des choses à vous dire là-dessus, et j'espère que j'en aurai davantage à entendre, car c'est toujours pour moi un grand plaisir et un grand profit».

Certo, anche un poema sulla vaccinazione può dar luogo a poesia sentita, cavata dal fondo del cuore, e può essere espressa con sincerità; ma insomma, non è proprio un poema didascalico-narrativo quel che si sia meglio disposti a comporre, quando si è in quell'ordine d'idee circa la poesia! Il Manzoni non ne aveva però smesso il pensiero, anzi fa, sul proposito, nuove risoluzioni. Continua a dire:

«Vous avez deviné que j'ai agrandi mon plan; je l'ai même bien établi à présent, et j'en vois déjà beaucoup de détails. J'ai cependant pensé de ne pas trop m'occuper de ceux-là que quand j'y serai. Quant au style et à la versification, après m'être un peu tourmenté là-dessus, j'ai trouvé la manière la plus facile, c'est de ne pas y penser du tout. Il me parait qu'il est impossible d'appliquer dans le moment de la composition aucune des règles, ou qu'on peut avoir apprises, ou que notre expérience peut nous fournir; que de tâcher de le faire, c'est réussir à gâter sa besogne, et qu'il faut bien penser, penser le mieux qu'on peut, et écrire. Je me suis souvenu alors du verbaque provisam rem non invita sequentur [Hor., A. Poetica, v. 311], que je trouve être la seule règle pour le style, sans vouloir mettre en doute l'utilité réelle et très grande qu'il y a dans les recherches sur les causes des beautés du style, ni les bons effets de ces études sur l'esprit de celui qui fait des vers, et sur ses vers par conséquent».

Qui ci si affaccia già il critico audace della mirabile Lettera sulle Unità di tempo e di luogo, e il poeta spregiudicato delle tragedie; qui lo scrittore più meditativo, o uno[xlviii] dei due più meditativi, dell'Italia nuova (giusti son duo; ma non sembra vi siano ora molto intesi, dacchè altre faville hanno i cori accesi!), annunzia già il suo programma del pensarci sù!

Dal naufragio, che pare travolgesse il poemetto, furon salvati due versi soltanto, la chiusa d'un'ottava, mercè l'indiscrezione del più intimo degli amici del Manzoni. Scrivendo al Giusti, Tommaso Grossi venne fuori a dire:

«....Quando parli del concetto che si presenta splendido alla mente, e che costa tanto sforzo a tradurlo sulla carta, e riesce sempre monco, mi tornano alla memoria due versi del nostro Alessandro, che si trovano in una certa filastrocca inedita e non compita, che lavorò da giovane, e che avea per titolo: L'innesto del vaiuolo. Volendo anch'egli significare in versi quello che tu significhi in prosa, finiva una ottava così:

E sento come il più divin s'invola,

Nè può il giogo patir della parola».

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