II.

Parlerò ora del Coro introdotto in questa Tragedia, il quale, per non essere nominati i personaggi che lo compongono, deve al lettore sembrare piuttosto un capriccio e un enigma che altro; e adducendo i motivi per cui questo Coro siasi introdotto, mostrerò quale egli sia.

La vera essenza dei Cori greci non è stata conosciuta che da qualche critico dei nostri tempi, che, mostrando false e superficiali le ragioni che i critici anteriori ne avevano date, ne dimostra le reali ed importanti. Io tradurrò qui alcuni squarci su questo soggetto, dal Corso di letteratura drammatica del signor Schlegel; e scelgo questo scrittore perchè (dei letti da me) è il primo che abbia dato del Coro questa idea (v. Gravina, per precauzione), e perchè mi sembra che essa vi sia assai bene espressa. Il Coro è da riguardarsi, dic'egli, come la personificazione dei pensieri morali che l'azione[392] ispira, come l'organo dei sentimenti del poeta, che parla in nome dell'intera umanità. E poco sotto: Vollero i Greci che in ogni opera il Coro (qual che si fosse la parte sua propria ch'egli altronde vi facesse) fosse principalmente il rappresentante del genio nazionale, e appresso il difensore della causa dell'umanità: il Coro era insomma lo spettatore ideale; egli temperava le impressioni troppo violente o dolorose d'una imitazione talvolta troppo vicina al vero, e presentando allo spettatore reale il riflesso delle sue proprie emozioni, gliele rimandava addolcite dal diletto d'una espressione lirica e armoniosa, e lo conduceva così nel campo più tranquillo della contemplazione. Ricorda quindi il signor Schlegel gli ufficj che Orazio attribuisce al Coro nella Poetica, i quali concordano assai con questi, e passa quindi a enumerare le opinioni dei critici sull'uso del Coro presso i Greci. Altri lo stimarono fatto per non lasciar vuota la scena; altri l'hanno biasimato come un testimonio inutile e incomodo di affari talvolta secreti; altri l'hanno stimato destinato a conservare e motivare l'unità di luogo; altri hanno creduto ch'esso non fosse che una reliquia della prima forma della tragedia, conservata a caso, come avviene in molte altre cose. Basta però rileggere le tragedie di Sofocle, per vedere quanto sia vera l'opinione sopra annunciata, sull'uso dei Cori. Essi, considerati a questo modo, pajono veramente belli ed utili.

Alcuni poeti moderni, continua il signor Schlegel, e poeti talvolta di prim'ordine, cercarono sovente, dopo il rinascimento degli studj dell'antichità, d'introdurre il Coro nelle favole loro, ma mancò ad essi un'idea distinta [precisa], e soprattutto un'idea attiva della sua destinazione. Siccome nè la nostra danza nè la nostra musica gli è appropriata, e oltre a ciò non v'è nei nostri teatri un posto da dargli, difficilmente può aver buon esito il tentativo di renderlo usuale da noi. (Lezione terza).

Ora, mi è sembrato che un mezzo per ottenere una parte (dico una parte) delle bellezze dei Cori greci, e di ottenerla senza discapito della Tragedia, sarebbe appunto d'inserire, dopo ogni Atto, uno squarcio lirico composto nell'idea di quei Cori. Certo che esso non produrrà l'effetto di cose dette[393] da personaggi interessati nell'azione, ma un qualche effetto lo farà; e per qualche compenso della sua minor virtù, si può dire ch'esso non ha inconvenienti. Poiché queste canzoni non essendo collegate coll'azione, non fa d'uopo alterarla e scomporla per accomodarla ad esse; possono essere meditate da sè e ritoccate e cambiate e tralasciate, senza toccare menomamente il disegno dell'opera. Quando non si trovasse il modo di farle convenientemente recitare, servirebbero alla lettura: che è l'uso più frequente delle Tragedie, specialmente in Italia.

Ponno essere occasione ad un buon poeta di comporre bellissime liriche; ponno servire ad interpretare l'intenzione morale dello scrittore, a regolare e a correggere le false interpretazioni dello spettatore, a dare insomma al vero morale quella forza diretta, che non riceve che da chi lo sente per la meditazione spassionata e non per l'urto delle passioni e degl'interessi. Certo, la lirica non deve essere dissertatrice; ma si osservi che l'espressione de' sentimenti che nascono dall'avere osservato una serie di fatti e di discorsi importanti, può esser piena dell'azione più poetica. Dirò per ultimo che l'uso di questa maniera di Cori riserberebbe al poeta un cantuccio, donde mostrarsi e parlare in persona propria: vantaggio da osservarsi. Il poeta vuole quasi sempre comparire, e spesso fa dire ai personaggi quello ch'egli vorrebbe dire, e che starebbe bene in bocca sua e sta male in bocca loro: difetto dei più notabili e dei più notati nei moderni tragici. Ora, avendo egli quest'agio di manifestare i suoi proprj sentimenti, sarà ben frettoloso e bene inesperto se non saprà starsi in disparte sino alla fine dell'Atto, facendo intanto che i personaggi parlino come ad essi si conviene: cosa però non delle più facili. Di questo genere sono i Cori dell'Aminta: hanno però il difetto d'essere opposti di fronte allo scopo principale; ognuno vede che spirano, massime il primo, l'immoralità più grossolana.

Quanto alla scelta e all'ordine nella successione dei fatti, non deve la Tragedia, a parer mio, differire da un racconto qualunque, fuorchè in ciò, che in un racconto tutti sono narrati, e nella Tragedia parte narrati e parte rappresentati. In[394] questo si eleggono i fatti importanti, e legati fra di loro in modo che si vada chiaramente alla cognizione del fine, si omettono le circostanze volgari o estranee benchè unite di tempo o di luogo, e si va insomma dietro al fatto dov'egli si trova. Così, in una Tragedia conviene seguire l'andamento del soggetto, e presentare di volta in volta allo spettatore quella parte che più si collega col passato e con ciò che deve venir poi, quella parte alla quale egli è più disposto in quel punto. Se per questo deve la scena correr dietro al fatto, vi si faccia correre: l'illusione principale che nasce dall'unità dell'azione sarà osservata; il male è far correre il fatto dietro la scena. Sacrificare lo scopo principale dell'arte a un mezzo arbitrario, mi sembra una fanciullaggine.

I drammi di Shakespeare possono servire di filo ad un narratore. Gli eventi e i discorsi famigliari sono utili nella Tragedia, oltre a molte altre cose, anche perchè molte passioni non possono essere spinte al loro più alto punto se non per mezzo di questi fatti. Per esempio, quanto la gelosia d'Otello supera quella d'Orosmane! E una delle ragioni è che il poeta si è servito di mezzi, che ad un critico volgare possono parere di carattere comico per la famigliarità. Il fazzoletto è essenziale nella tragedia di Shakespeare. Si vedano le due tragedie. Voltaire, volendo far senza Jago, fu obbligato a far da Jago egli stesso: voglio dire che il poeta è quegli che studia tutti i modi per tener viva la gelosia di Orosmane; e così l'artificio è apparentissimo. Quando la gelosia cede, la tragedia minaccia rovina, e il poeta fa nascere un incidente che la rimetta in vigore. Nell'Otello invece v'è un genio maligno che ordina le cose a fomentare questa passione nel protagonista, e a distruggere la fiducia che vorrebbe nascere nell'animo suo. Che quegli che concepisce il primo un soggetto lo lasci mancante, e un altro imitandolo lo perfezioni, non fa meraviglia; bensì il contrario, come in questo caso. La colpa è del modo di concepire la[395] Tragedia, che era in voga in Francia ai tempi del Voltaire; quei principj di Poetica eran per questo la condizione sine qua non, e a questi sacrificò il principale. È impossibile la pittura di una gelosia conjugale senza particolarità domestiche.

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Dimostrare che il Bossuet, il Nicole e il Rousseau, come s'apposero nel dire immorali le opere teatrali francesi, così errarono nel credere che il teatro sia essenzialmente immorale. - Questo loro errore viene in parte dal non aver conosciuto il teatro inglese, e in parte forse dal non immaginare che potessero le cose teatrali essere trattate in altro modo da quello seguito dai Francesi; nei quali trovavano l'arte portata al più alto grado in ogni parte, fuorchè nella morale.

Toccare questo punto: che la perfezione morale è la perfezione dell'arte, e che perciò Shakespeare sovrasta agli altri, perchè è più morale. - Più si va in fondo del cuore, più si trovano i principj eterni della virtù, i quali l'uomo dimentica nelle circostanze comuni e nelle passioni più attive che profonde, e nelle quali hanno gran parte i sensi. I Francesi dipingono gli uomini occupati ad ottenere uno scopo manifesto, e quindi eccitano minor simpatia. Questa nasce più forte per i patimenti che per i desiderj e per i conati verso un intento, sia d'amore, sia d'ambizione o d'altro. Noi non ci immedesimiamo colla rappresentazione dell'uomo mosso da queste passioni, come con quella dei dolori e dei terrori. Il desiderio eccita minor simpatia, perchè per desiderare bisogna trovarsi nelle circostanze particolari, e per esser commosso e atterrito basta esser uomo. La rappresentazione dei dolori profondi e dei terrori indeterminati è sostanzialmente morale, perchè lascia impressioni che ci avvicinano alla virtù. Quando l'uomo esce coll'immaginazione dal campo battuto delle cose note e degli accidenti coi quali è avvezzo a combattere, e si trova nella regione infinita dei possibili mali,[396] egli sente la sua debolezza, le idee ilari di vigore e di difesa lo abbandonano, e pensa che, in quello stato, la sola virtù e la retta coscienza, e l'aiuto di Dio, ponno dar qualche soccorso alla mente. Ognuno consulti sè stesso dopo la lettura di una tragedia di Shakespeare, se non senta un consimile effetto nel suo animo.

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Cangiamento che deve produrre in ogni giudizio delle nostre azioni, e in ogni nostro sentimento, questa massima, resa volgare dal Vangelo: Che ogni avvenimento di questa vita mortale è mezzo e non fine.

La morale dei Cori greci consisteva nei sentimenti che dovevano conseguire dal dogma della fatalità. L'idea divulgata dalla Religione Cristiana deve predominare in ogni componimento.

Quegli i quali accusano la Religione di essere inutile all'uomo, perchè tutto dispone ad un'altra vita, fanno a parer mio due errori. Il primo è una petizione di principio: perchè come la Religione propone il conseguimento della felicità (vero fine dell'uomo, senza quistioni) nella vita futura, bisogna provare che questa promessa sia falsa e che non vi sia un'altra vita più importante, prima di accusare la Religione di trascurare le cose importanti di questa, perchè essa ottiene il suo fine quando conduca l'uomo alla felicità maggiore. Il secondo errore sta nel non riflettere che la Religione, per farci ottenere questa seconda vita, propone appunto i mezzi che possono rendere la presente meno infelice all'universale.

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Alcune belle opere moderne sulla poesia sono cagione che più non si ripeta così frequentemente quel falso principio: che i precetti non influiscono sul miglioramento di quest'arte.[397] Sì, i precetti materiali che non riguardano che l'ordine esteriore e la forma; ma i precetti morali, che insegnano quali sentimenti si debbano eccitare dalla poesia e che gli eccitano insegnandoli, producono un effetto grandissimo. Quando uno scrittore, cogli esempj dei grandi poeti e colle considerazioni generali sull'animo umano, mostra quello che la poesia può fare, illumina ed accende gli spiriti nati alla poesia, e li toglie dal volgare affatto: ai mediocri che vogliono pur battere la strada della imitazione, toglie ogni fama, e lo fa vedere quale egli è, e così scoraggia chi li vorrebbe seguire.

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I teatri sono utili, secondo l'opinione di alcuni politici, per procurare un divertimento all'universale, e distorlo dal pensiero de' suoi mali e da altre occupazioni pericolose.

Ad ogni modo, quegli che credono di provare che i teatri, come sono, sono utili come preservativi di mali maggiori, hanno torto di dedurre da ciò, che facciano male quegli che per principj religiosi conducono un picciol numero a starne lontani. Poiché i principj religiosi che persuadono questi ad una tale astinenza, fanno che essi non abbisognino di questo rimedio; chè se potessero persuadere tutti, toglierebbero in un tempo a tutti questo bisogno. Appena possono dire che sarebbero imprudenti, se suggerissero di togliere i teatri senza sostituire l'influenza universale dei principj religiosi, ed un'altra serie d'interessi e di occupazioni.

Perchè si possano togliere i teatri, bisogna fare in modo che quelli che li frequentano perdano la voglia di frequentarli. Sulla possibilità e sul modo di far questo, io non istarò a discorrere, che è troppo vasta materia.

Al tempo che i medici vestivano toga e parlavano latino, trovandosi uno d'essi in una brigata, se gli fece presso un solenne mangiatore, e gli chiese che dovesse fare per certe indigestioni che di frequente lo molestavano. - Ad ogni indigestione, pigliatevi un buon purgante, rispose il medico. - Ma, replicò il ghiottone, io ho inteso dire che i purganti[398] sciupano lo stomaco. - Pur troppo è vero, disse il medico; ma questo è un male inevitabile. Volete voi lasciare ammassare nel vostro corpo tanti mali umori, che vi portino ad una febbre gastrica, e questa al sepolcro? - Un uomo che era presente al consulto, e che non era dell'arte, si fece ardito di proferire con molta modestia questa sua opinione: - Se questo signore vivesse sobriamente, non potrebb'egli schivare le indigestioni e i purganti? - Il medico gli si volse con un grave sorriso, e disse: Io do consigli pratici, e non faccio progetti romanzeschi. - Un altro presente, sorridendo al bel tratto del medico, aggiunse questa profonda sentenza: Alcune cose sono bellissime in teoria, che non valgono nulla in pratica. - Al che fu applaudito dagli astanti: un dei quali proruppe in quest'altra non meno profonda sentenza: Bisogna considerare gli uomini quali sono e non quali dovrebbero essere. - Queste sentenze sono ora divenute comuni, e sono gran parte della sapienza del secolo.

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Rivolgendo l'occhio al corso delle scienze morali dal loro principio fino ai dì nostri, è doloroso il vedere come tutti quelli che in queste primeggiarono, furono o perseguitati o beffeggiati e straziati almeno; e tanto più, quanto più grande si manifestava negli scritti loro il desiderio del progresso durevole degli uomini, e il sentimento affettuoso della carità universale. Un uomo eccellente nelle scienze fisiche e nelle arti liberali è stretto spesse volte dalla invidia e dalle ire dei malevoli; ma questi ch'io dico si trovano in guerra col genere umano. Volevo dire col genere letterato.

Si vede come i contemporanei hanno potuto perdonare ad un astronomo, ad un naturalista, ad un matematico (non sempre però), di averli spinti assai in là in queste dottrine; ma appena, in fatto di scienze morali, scorgono gli uomini uno che li precorra di un gran tratto, e che gl'inviti a seguirlo, si danno a toglier pietre da ogni parte e a lapidarlo. Quando poi quella generazione è morta in cammino,[399] i posteri vanno oltre, trovano quelle pietre, le raccolgono divotamente, ne fanno un monumento al povero defunto, e cantano un inno di lode a questi, e d'imprecazioni ai loro antecessori, non omettendo però di gettar pietre a chiunque di loro ardisca d'imitarlo e di precederli. Omettendo le persecuzioni dei potenti, non fu scrittor morale di prim'ordine che non abbia avuto a dolersi de' suoi pari; i quali, invece di esser riconoscenti a chi li amava e li bramava migliori, invece di consolarlo, cogli amorevoli applausi, del dolore più intenso che lo spettacolo dei mali cagiona a tali animi, invece di ajutarlo a portare la croce del genio, lo satollarono di odj e di scherni e di sospetti, peggio che non avrebbero fatto ad un nemico. Ben è vero che il più di questi scrittori ricordano talvolta, con una cert'aria d'indifferenza e di tranquillo disprezzo, tutte queste contradizioni; ma io non son di parere che si debba loro affatto credere in questo: chè essi mostrarono questi sentimenti o per ingannare i loro disgusti, o per non rallegrare i nemici del vero e del bello, ai quali par troppo gran trionfo il contristare un uomo tanto a loro superiore. Io stimo che ognuno di questi abbia provato una continua amaritudine dal contegno dei suoi contemporanei: perchè è una dote dolorosa dei sommi ingegni, il desiderio irrequieto e ardente che gli uomini ricevano la verità che essi mettono in luce: perchè negli animi elevati regna un senso di benevolenza, che si affligge dell'inimicizia; perchè a questi animi ogni giudizio della mente d'un uomo pare di una tale importanza e dignità, che non si possono ridurre a non farne conto per quanto traviati essi sieno, e quando son tali che è loro forza disprezzarli, questo disprezzo riesce loro penosissimo; perchè infine nessuno è tanto forte e sicuro in sè medesimo, che possa far senza gli applausi e l'incoraggiamento de' suoi simili.

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L'emulazione letteraria fra le nazioni, che anima gli scrittori dell'una a vituperare gli scrittori delle altre, è picciola, illiberale e dannosa. Quando avrete creduto provare che la[400] nazione tale non ha poesia, non ha versi, non ha una bella lingua (lasciando da parte che l'assunto è assurdo), non darete già più pregio alla vostra poesia, ai vostri versi, alla vostra lingua; farete credere anzi che voi siete tanto poco sicuri della vostra gloria patria, che non potete farla comparir grande che comprimendo le altre. Gli uomini animati dal vero amore del bello, considerano ogni progresso nelle arti letterarie e in ogni cosa appartenente all'uomo, come un guadagno comune; e se in un'altra contrada, in un'altra lingua, sorge, per esempio, un gran poeta, si rallegrano che il genere umano ha un gran poeta di più. Poichè uno non può esser grande in queste facoltà, che dicendo cose utili a tutti gli uomini.

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Allora le belle lettere saranno trattate a proposito, quando le si riguarderanno come un ramo delle scienze morali. Le lettere ebbero per anni, anzi per secoli, un singolare destino in Italia: d'essere cioè pregiate e magnificate oltremodo da quelli che le coltivavano, e tenute in vilissimo conto da quelli che attendevano a studj diversi. Il che procedeva dall'essere le lettere male esercitate dagli uni, e male intese dagli uni e dagli altri. Scorrendo le poesie di più di due secoli, vi si vede predominare una stima preponderante per la poesia stessa e pei poeti quali essi sieno, non mancando il poeta quasi mai di parlare di sè come di un uomo sovrumano. Il parlare coi fati, l'alzare monumenti indistruttibili, il dar da fare al tempo edace, il farsi beffe della morte, sono le solite canzoni che vi si trovano per entro. Nello stesso tempo si parla con disprezzo quasi d'ogni altra cosa, salvo sempre i potenti vivi. Egli è strano udire un uomo, in un componimento fatto per cantare, verbi grazia, le nozze del signor tale colla signora tale, o altro fatto di simile importanza, l'udirlo, dico, parlare con disprezzo di coloro che per sete d'oro tentano l'elemento infido, e tali altre bazzecole; le quali non voglion dire altro se non che il commercio è una corbelleria, anzi una peste, e l'uomo che vuole ben meritare dei contemporanei e[401] dei posteri, deve starsene a scander versi per le nozze del signor tale colla signora tale. Così, nei libri di scienze, scritti da un di quegli uomini che vedono una cosa sola e non sanno distinguere nemmeno le più vicine a quella, è parlato della poesia come di una baja da fanciulli. E non è raro di trovare l'epiteto poetico per qualificare una immaginazione falsa, non fondata, o stravagante. Il che non vuol dire altro se non che questi scrittori non sanno che sia, che sia stata, e che possa essere, la poesia.

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Le scienze morali tendon, come tutte le altre scienze, a riunire in corpo una serie di verità naturalmente collegate, e ad escludere le false opinioni che si contrappongono ad esse. E perciò progrediscono assai più lentamente delle altre scienze, perchè non basta a far ricevere le verità che vi si propongono che si persuada l'intelletto, ma è d'uopo vincere le passioni che odiano queste verità, e le abitudini che non vogliono essere sconciate da esse. E non è raro vedere uno, che proponga una di queste tali verità, non trovare chi gli possa opporre una buona ragione, e dover essere contento di avere in risposta un sorriso o il titolo di sognatore.

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Gli scrittori in fatto di queste scienze si dividono in due classi assai distinte. L'una, e la più scarsa, è di coloro che cercano in esse la verità, e raggiunta che l'hanno, essa o la sua immagine, la espongono quale essa appare all'intelletto loro, non badando allo stupore, alle contradizioni, che è per far levare; e che, nè per questo nè per altri riguardi, non si compongono in nulla con quello che essi stimano errore. L'altra è di quelli che scelgono, tra le verità non divulgate, quelle che nel corso dell'intelletto umano sono più vicine alle ultime ricevute, e che quindi troveranno manco ostacoli; quelle che ne troveranno nel minor numero o nel manco autorevole; e le mischiano pure con qualche opinione che essi tengono falsa, ma che, essendo assioma presso i moltissimi, può dar di loro opinione che sieno uomini savj: e queste opinioni ch'essi tengono false, sono quelle che metton fuori con maggiore asseveranza. Questi fanno più pronti effetti, ed ottengono una gloria più precoce; quella degli altri è più tarda, ma d'assai maggiore......

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