Dei due sistemi tragici moderni più conosciuti.

Interessare ad uno o più personaggi, tener sospeso l'animo dello spettatore sulla sorte di esso, mostrarla cangiata inaspettatamente in bene o in male, commovere con questa ansietà, far passare nell'animo dello spettatore le passioni di questo ecc., sono i soli effetti sperabili dalla tragedia? E quella che li ottiene è esclusivamente buona tragedia? Chi rispondesse affermativamente senz'altro esame, porrebbe arbitrariamente dei limiti all'ingegno umano ed allo sviluppo dell'arte non solo, ma trascurerebbe un fatto importante e noto, cioè che vi ha tragedie d'un altro genere, e tragedie che hanno i tre suffragi dai quali pare solo sia accertato il merito di una composizione letteraria, quello della moltitudine, dei pochi teoristi pensatori, e del tempo.

Il genere di questa tragedia poi è superiore ad ogni altro genere di tragedie? Anche a questo quesito non si deve rispondere senza un esame ragionato.

V'è una tragedia la quale, trascurando in molti casi quest'interesse di curiosità e d'incertezza, anzi escludendolo perchè non combinabile con un altro interesse potente, è fatta per commovere e per istruire. - V'è una tragedia che si propone d'interessare vivamente colla rappresentazione delle passioni degli uomini, e dei loro intimi sensi, sviluppati da una serie progressiva di circostanze e di avvenimenti; di dipingere la natura umana, e di creare quell'interesse che nasce nell'uomo al vedere rappresentati gli errori, le passioni, le virtù, l'entusiasmo, e l'abbattimento a cui gli uomini sono trasportati nei casi più gravi della vita,[389] e a considerare nella rappresentazione degli altri il mistero di sè stessi. - Una tragedia la quale, partendo dall'interesse che i fatti grandi della storia eccitano in noi, e dal desiderio che ci lasciano di conoscere o d'immaginare i sentimenti reconditi, i discorsi ecc., che questi fatti hanno fatto nascere, e coi quali si sono sviluppati (desiderio che la storia non può, nè vuole accontentare), inventa appunto questi sentimenti nel modo il più verosimile, commovente e istruttivo. La pratica di quest'ideale drammatico si vede portata al più alto grado in molte tragedie di Shakespeare; ed esempj notabilissimi ne sono pure le tragedie di Schiller, del signor Goethe, per non parlare che di quelle ch'io conosco. - La teoria è (non già completa, nè senza eccezione, nè senza alcuna picciola contradizione, nè senza mancamento in alcuna sua parte, come pare che la domandino alcuni che dimenticano che a nessuna teoria umana si è mai domandato tanto) la teoria è negli scritti del signor Schlegel, di M.ᵐᵉ di Stäel, del signor Sismondi, nel Discours des préfaces, premesso alla traduzione di Shakespeare; e dei tratti nuovi e luminosi se ne trovano pure in varj recentissimi scritti di nostri Italiani, principalmente negli estratti ragionati di opere drammatiche che stanno nel Conciliatore.

Che questo genere non abbia alcune perfezioni dell'altro, è questione almeno inutile, perchè quelli che lo lodano lo concedono benissimo; dicono anzi che non le deve avere, perchè ne escludono alcune che sono proprie di esso e di esso solo. Per esempio, l'agitazione che eccita l'incertezza dello scioglimento della Rodogune, dell'Eraclio, del Bajazet, la perplessità di vedere se soccomberà il personaggio che lo spettatore ama o quello che gli è odioso, non si trova nella Maria Stuarda di Schiller. Ma chi dicesse: lo spettatore non è incerto fra la morte di Elisabetta o di Maria, dunque non può essere interessato; non avrebbe egli il torto? Gli si risponderebbe: Schiller ha creduto che lo spettacolo di una donna che ha gustate le più alte prosperità del mondo, di una donna caduta nella forza della sua nemica, di una donna lusingata da speranze di esser tolta alla morte, rassegnata nello stesso tempo quando la vede inevitabile, memore de'[390] suoi falli, pentita, consolata dai sentimenti e dai soccorsi della religione; che lo spettacolo di questa donna, che vediamo avvicinarsi di momento in momento ad una morte certa, sia commoventissimo. Ora quella parte di commozione, che nasce appunto dalla certezza che lo spettatore ha che questo carattere grandioso e interessante va alla sua ruina, non era combinabile colla incertezza del suo destino. - Ma il mantenere lo spettatore in perplessità, commoverebbe di più. - Questo è un affare di sentimento. Chi lo può decidere? Basta che non si possa senza irriflessione, o senza ostinazione, dire che il modo scelto dallo Schiller non è atto a commovere.

Così pure (per applicare un altro principio noto alla stessa tragedia) Aristotele ha detto una cosa ch'è stata ripetuta universalmente e costantemente: che l'uccisione d'un personaggio per volontà del suo nemico, è la meno tragica. Benissimo, quando si tratti di non cavare gli effetti che dal contrasto dei doveri e dei sentimenti colle passioni, o dalla terribile sventura di commettere per ignoranza l'azione da cui si sarebbe più lontani, quella cioè di cagionare la morte di chi si ama. Ma se Schiller avesse voluto servirsi appunto della inimicizia di Elisabetta e di Maria per rappresentare la sorte di chi cade in mano di un nemico potente, artificioso e vendicativo; se avesse voluto rappresentare lo stato dell'animo di chi prova questa sorte, il contrasto tra le antiche passioni di avversione e di rancore e l'abbattimento della sventura, tra il desiderio di deprimere il nemico e quello di placarlo, e dall'altra parte la triste e amara e torbida gioia di chi si tien quel nemico con cui ebbe tanti contrasti e del quale ha temuto, la smania della vendetta e il timore della infamia che le può seguire, la viltà ingegnosa degli adulatori, che la propongono come necessaria alla pubblica tranquillità, e il coraggio degli uomini dabbene che la vogliono impedire; se avesse voluto rappresentare i diversi sentimenti che eccitano le due nemiche in quelli che le circondano, la ambizione cortigianesca mista di disprezzo interno che si agita intorno alla fortunata, la compassione mista di prevenzioni fanatiche e l'amore misto di debolezza che eccita quella[391] che è nella sventura: se, dico, Schiller avesse voluto cavare questo partito dal soggetto di un nemico che ne sacrifica un altro, si avrebbe ragione di piantargli in faccia la sentenza di Aristotele, e di dirgli: il vostro soggetto non è interessante? Ma si dovrebbe prima esaminare se tutti questi mezzi, ed altri ch'io taccio, sieno mezzi di commozione e d'istruzione morale.

Dico d'istruzione morale; e, senza appoggiarmi a questo esempio, io credo che questo genere, considerato in teoria, sia per questa parte molto superiore all'altro; e questa parte è importantissima. Senza avanzare la nota questione se il fine della poesia sia di commovere o d'istruire, io partirò da un principio nel quale tutti convengono: che il diletto e la commozione devono essere subordinati allo scopo morale, o almeno non contradirgli......................

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