V. IL PAZZO

Sono costretto di passare 2 giorni al deposito di Scandiano.

Due giorni di burocrazia militare aereati dalla compagnia del futurista Virgilio Marchi, granatiere valoroso, ora invalido di guerra. È riuscito a improvvisare qui una piccola esposizione di quadri futuristi. La visito per consolarmi dell’atmosfera imboscata discutendo sull’equilibrio delle dinamiche architetture ideate da Marchi.

Spacco, sfondo e incendio la tediosa atmosfera di Scandiano con un discorso ai bombardieri e una susseguente discussione sul futurismo col generale Sacchero. Dormo male a Scandiano, assillatissimo dal desiderio di conoscere presto la bella blindata che mi aspetta, le sue forme snelle e il suo cuore carburante. Ma la mia propaganda futurista e quella degli amici Marchi e Francesco Flora sembrano aver già trasformato la piccola città ultra-passatista.

Ne sboccia l’ormai immancabile prodigio. Cosa è questo gridio di folla? Usciamo dalla mensa. Sensazione di sommossa. Tutti corrono. Redarguisco due sergenti che fuggono davanti a un pericolo inspiegabile. Sassate fitte piovono su noi. Risacca di bambini e donne urlanti. Entriamo nella vasta piazza erbosa e vuota davanti al palazzo Estense.

In fondo, vicino alla porta ducale, gesticola un pazzo. Nudo dalla testa calva congestionata ai ginocchi. Ha le fasce alle gambe e le scarpe. Il pazzo, curvo, cerca febbrilmente delle grosse pietre e le scaglia con forza contro la cancellata del palazzo, dove si agitano confusamente ufficiali e soldati.

Divertente e tragico consiglio di guerra sotto il fuoco accelerato del pazzo. La sentinella ha dovuto spostarsi cercando di parare col fucile a baionetta inastata i colpi molto precisi. La folla ondeggia allo sbocco della via Cesare Battisti, con fughe repentine, quando il pazzo si avvicina preceduto dalle sue pietre.

Appare veramente il dominatore di questa piazza lugubre, sonnolenta, austera, troppo saggiamente imboscata lontano dagli aeroplani e dal fronte. Nudità potente, forte torace, maestria di lanciatore di pietre. Il membro pendente fuor dalla nicchia dei peli neri beffeggia spavaldamente le morali freddolose, magnetizzando gli sguardi delle ragazze che strillano paura, orrore, curiosità dietro le grate vezzose delle dita sugli occhi.

Ad un tratto il pazzo si curva, prende una manata di sterco e la mangia avidamente.

Forse per insegnare gli indispensabili sacrifici dello stomaco a coloro che non si contentano di salvare la pelle ma la vogliono anche riccamente nutrire mentre i combattenti bevono e mangiano il ferocissimo fuoco solare delle battaglie.

Il pazzo ha impugnato due grosse pietre e con esse si percuote atrocemente la fronte. Vendicatore selvaggio venuto dalle lontane caverne e dalla amicizia dei mammuth egli vuole dimostrare che nella media saggezza prudente non c’è virtù. L’ora è venuta di sfondare tutti gli scrigni compreso quello della fronte, liberandone le generose pazzie. Sputa ripetutamente il pazzo contro il palazzo ducale, sputa dal fondo della sua violenza barbarica sulla mezza civiltà cauta dei restauratori di palazzi antichi e di viltà moderne. È un uomo preistorico che dà meglio di me una lezione di futurismo agli imboscati di Scandiano.

Ecco però i passatisti alla riscossa. Sono numerosi. Li guida il tenente colonnello Tusini, piccola barba quadrata nerissima, quasi finta sul viso bruno, nervoso, collerico. Lo segue un siciliano nerboruto e bruno, il tenente Trafficante. Il pazzo indietreggia tirando sassi. È accerchiato. Sente il muro dietro di sè. Ha un minuto di esitazione, che lo perde. Tutti si slanciano su lui, lo afferrano alla vita, lo rovesciano a terra, quasi soffocato. Mi precipito per soccorrerlo, mentre piovono sul suo capo calvo pugni violentissimi, accaniti, esasperati dalla paura.

— Basta! basta! non massacratelo!

Un caporale atletico, impazzito più del pazzo gli imbavaglia con una mano la bocca. Il pazzo tutto insanguinato torce spaventosamente gli occhi senza implorare pietà; mentre un soldato lo strozza quasi col braccio destro e dichiara solennemente:

— È così che si tengono i pazzi.

Io gli grido:

— Ma i saggi come voi fanno schifo!

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