XVI. LE VILLE NOSTALGICHE

Sulla strada Ferrara – Padova le nostalgiche ville venete nascondono la faccia nel fresco dei loro parchi tenebrosi voltando la schiena impaurita alla furente trepidante azzannante velocità degli automobili di guerra.

La villa De-Concilis ha tutte le eleganze settecentesche in questo atteggiamento tremante di bella coricata, un po’ sotto la strada, con la faccia tuffata nella tenerezza avviluppante del suo giardino intenso, pieno di passioni verdi-rossastre violacee che l’autunno punge di acredini tragiche. Teme nella schiena il rombo precipitoso e i blocchi sconquassati del rumore e i rotolanti globi del polverone solare.

Un brivido passa sull’acqua patetica delle vasche cosparsa di foglie che sembrano le bucce di molli cuori femminili trascinati via pei piccoli canali dalla corrente delle lagrime. Brividi, sospiri, febbrili contatti di foglie come di mani leggere in amore... Ma non è la solita brezza che anima il bosco sentimentale. L’atmosfera è turbata. Il silenzio non sa dove rifugiarsi poichè tremendi scossoni d’aria valangano giù dalla strada.

Sono, per un giorno, ospite della marchesa De Concilis buona e indulgente amica della mia amica Maria Baldini. Questa abita con suo marito in una villa vicina e verrà fra poco.

L’aspettiamo in giardino. La marchesa De Concilis elegantemente vestita di nero, seducente col suo languore carnoso e le sue curve delicate che non guastano la linea generale. Corto-vestita, nella sedia a dondolo, mostra per indolenza il polpaccio tornito che dalla caviglia affusolata e spiritosa sale sensualizzandosi con promesse-offerte di morbide-sode cosce affettuose. Intuisco e fiuto la forza sana del dorso quasi groppa di bella fattrice resistente.

Il viso pallido, d’un pallore giovane ma intriso di piacere. Gli occhi neri un po’ grossi di bel gatto angora che finge di sognare pur sorvegliando il canestro dei pesci. Deve essere ghiotta, tutta consacrata ai piaceri della tavola dopo una rinunzia semi-forzata quasi totale agli adulterii aspri turbolenti che bruciano. Il corpo s’appesantisce. Forse lo stomaco è un po’ stanco d’avere goduto tanti pranzi saporosi.

Ora, dopo la lauta colazione, la bellezza della marchesa è più languida.

Il viso vorrebbe disfarsi nella pace buia fresca del sonno.

Le guance di pesca succosa prendono nel sorriso accogliente ombre sfumate di placido ardore. Il sorriso si scioglie in tenerezza digestiva distrattamente erotica e materna. Ha il braccio sinistro abbandonato sui fianchi di sua figlia Gisella dodicenne, vivo ritratto suo più colorito, più ardente con languori irrequieti. Quella fresca miniatura lega la figura della marchesa al corpo del marchese De Concilis che continua virilmente le curve della moglie nelle sue guance un po’ flosce di seduttore maturo sensuale pigro e raffinato. Il marchese musicista mi parla d’una sua opera inedita, che darebbe se fosse energico, se non ci fosse la guerra, e se il bosco non avesse tante ombre snervanti.

Con le mani irrequiete la piccola Gisella abbottona e sbottona la fondina del mio revolver voltando i grandi occhi neri indagatori verso la strada ad ogni urlo di automobile che s’avvicina prima flautato quiii, quiii, quiiiiii implorante, esasperato demente... Eccolo. Eccolo. La macchina rapida invoca minaccia esige un varco, un varco ad ogni costo, presto; perchè il delirante spasimo della velocità guerresca non sia rallentato...

Con arrogante slancio danze baldanze da spaccamonti viene una seconda automobile. Tremano le foglie. Rompe l’aria una terza macchina. Petulante schiamazzare di fischi. Passano così, incalzandosi infilzandosi forse laggiù, 6 automobili diaboliche spazzole sulla stoffa della polvere arroventata. Il parco assalito geme e Gisella trema:

— Mi porti con lei in blindata. Sa, non ho paura.

— Povera piccola, mormora sonnecchiando la mamma; non ha più i suoi amici per giuocare. Ormai è grandicella, disprezza le bambole e si fa far la corte dagli ufficiali... Ma è piena di saggezza. Fa da sè il suo letto ogni mattina. Sa, Signor Marinetti, non abbiamo più quella brava cameriera. Siamo privi d’ogni comodità: niente burro e niente zucchero...

— Io non mi curo del burro, interrompe Gisella, nè dello zucchero! Voglio andare in blindata, alla battaglia, con Lei. Mi porti in blindata.

Sento che la tragedia del burro e dello zucchero opprime l’anima zuccherina e burrosa di tante belle dame veneziane come la marchesa De Concilis costretta a consumare ora tutte le riserve d’adipe nutritissimo delle floride braccia mammelle e cosce.

Il marchese si allontana con Gisella. Subito la Marchesa si sveglia per interrogarmi sulla nostra amica Maria che ritarda.

— Strana, la vostra passione! Maria è intelligente, anzi geniale, adorabile. Ma quel suo neutralismo è assurdo. Non capisco come possiate andare d’accordo voi due...

— Non è neutralista Maria!... Ma ama di contraddirmi, bizzarria e capricci... È anche influenzata da quello stupido marito odioso pedante vero professore di tedesco.

— Alle tre, mi mormora la marchesa, noi andiamo in automobile a Padova. Parte con me anche Gisella. Resterete solo con Maria tutto il pomeriggio. Sono o non sono una buona amica?

— Una amica eccezionale, unica! Vorrei ricambiarvi il favore. Non avete bisogno d’un confidente segreto?

— Oh no! sospira la marchesa abbandonandosi sulla sedia a dondolo. Per me, ogni poesia è finita.

La sua anima è già ripresa dall’incubo doloroso: zucchero, burro, burro, zucchero!

— Ecco Maria!

Saluti, baci, abbracci, chiaccherio.

— Ti lascio con Marinetti. Noi andiamo a Padova, torneremo presto.

Rimango solo con la mia amica ansante, febbrile. Ha dovuto fare in fretta, inventare mille bugie per liberarsi dal pedantissimo e professorale marito e dai suoi lunghi piagnistei sulla guerra. Maria Baldini è un bel tipo di falsa magra milanese fine nervosa pungente e smorfiosa. Viso asciutto, occhi azzurri vivissimi. Ma i fianchi rivelano una mollezza passionale e la bocca una praticità volitiva.

La villa è assolutamente deserta. Il giardiniere è in fondo al bosco. Nella camera da letto della marchesa, colla mia disinvoltura di guerra io abbraccio e svesto Maria.

È convulsa di desiderio, scossa da brividi felici, allegrissima, pur dichiarandomi insistentemente che è stanca di vivere.

— Credimi, credimi, sono stanca, stanca! (poi tra due baci lunghi avviticchiati). Neanche il mio piccolo Adolfo adorato mi attacca alla vita!... Tu solo, tu solo dài un sapore alla vita! Ma la vita con mio marito è insopportabile. Figurati, è diventato ardente, ora! Che orrore! Una volta almeno passava le giornate al Pedrocchi coi suoi amici germanofili... Sai, tutti contro la guerra quei professori!... Anch’io sono contro la guerra. Se non ci fosse la guerra saresti sempre con me a Padova. Invece, ora mi devo sorbire mio marito! Gliene faccio di tutti i colori. Certamente il mio contegno deve esasperarlo. Scenate terribili. È così pesante, minuzioso, meschino! Osservazioni miserabili su ogni cosa! E avaro, avaro, sino alla pazzia. Noi stiamo bene, lo sai. Ebbene, se la piglia colla guerra e mi rifiuta tutto. Bisogna che io gli dica: «Ma guarda il tuo vestito. Un professore non deve avere le scarpe rotte. Quando ti decidi a comprarne un paio? Risponde che costano caro. Poi fa le smorfie amorose. Dio, che schifo! Quando non posso proprio rifiutarmi gli dico: «Spicciati!» Oppure: «Dal momento che la cosa mi annoia voglio essere pagata per le mie prestazioni. Ti faccio un prezzo ridotto: 500 lire».

Maria ride, si agita, coricata sul letto, gesticola colle belle gambe nude tornite che lancia freneticamente da tutte le parti. È un temperamento isterico di bambina viziata, tutta bizzarrie, capricci, scatti nervosi incomprensibili e assurdità assolutamente pazze. Mi dice:

— Ti ho scritto ieri una lunga lettera, per finire tutto fra noi.

— Perchè?... Non capisco.

— Ho stracciato la lettera; non pensarci... Quando mio marito non sa cosa fare mi parla male del futurismo. Non sa nulla, ma ti odia. Crede che ci sia un semplice flirt fra di noi. Cioè, non vuole sapere. Ha il terrore di sapere. Scherza ironicamente su me e su te. Che pachiderma! Talvolta mi guarda negli occhi, paurosamente. Forse vede spuntare nel mio sguardo la possibilità d’una confessione e cambia discorso! Sa che sono capace di questi colpi di testa. L’altra mattina disapprovava la scelta del collegio per Adolfo. Lo trova costoso. In realtà è un collegio per bambini snob, con dei sistemi di educazione troppo chic, un collegio come direi puf puf... puf. Insisteva. Mi sono seccata, gli sono saltata addosso e craac colle due mani gli ho graffiato le guance. Tutto insanguinato! ah! ah! ah! Che ridere! Lui, il professore, così preoccupato della sua pelle. Subito panni freddi, compresse gelate!... Dopo le mie sfuriate però si calma, non mi secca più. È un uomo lento, ha bisogno di essere trattato male... Anche tu hai bisogno di essere trattato male. Se ti dicessi per esempio che io desidero la sconfitta dell’Italia cosa mi faresti?

Io la prendo, la stringo, la bacio, la stritolo. Implora pietà. Si abbandona all’amplesso e mi grida nello spasimo!

— Caro! Caro! Sarò buona! Sarò docile! Farò tutto quello che vuoi! Ho scherzato. Penso tutto ciò che vuoi. Amore! Amore!.... Amore! Viva la Guerra! Viva la guerraaa! Viva la guerraaaa!...

Quell’ora d’amore è stata così assorbente e intensa che non ci siamo accorti dell’uragano.

Fuori con Maria Baldini godo il crepuscolo limpido gioioso sulla campagna fresca e soddisfatta. Ogni verde di pianta e d’erba ha il suo tono preciso. A sinistra le voluttà dilatate brillanti dei giardini sotto le manate di viola porpora e d’oro che l’autunno il vento e il sole al tramonto rimescolano buffamente. A destra il canale Battaglia con un ritmo lento d’acqua verde ammonisce ironicamente la veemenza delle automobili militari e degli autocarri che si incrociano sulla strada come vampe di grossi calibri. Con ritmo lento il canale Battaglia ci accompagna sino al ponte. Un carabiniere. Tre carabinieri. Altri carabinieri qua e là vigilano quella villa dove abita il generale Diaz. La placida Villa Bondi dell’Orologio, facciata a colonnine, architettura piena di grazia e moine, parco folto e invitante all’amore, contiene il pensiero ordinato della nostra guerra mentre il canale Battaglia ha il ritmo sicuro della Nazione e la strada scaglia automobili, autocarri e motociclette verso il ponte, sotto un Caproni maestoso inghirlandato dal volo capriccioso di tre caccia.

Sento l’offensiva prossima. In Albania e in Macedonia gli Austriaci avevano 4 divisioni contro 2 e mezza dell’Intesa. Ora ne hanno 6 poiché ne hanno ritirato 2 dalla Romania. Non potendo facilmente fermarsi sulla linea di Nisch gli austriaci debbono formare una linea salda sul Danubio. Questa linea esige 20 divisioni per lo meno.

Stanno racimolandone 6 in Ucraina e ne ritirano 8 dal fronte Italiano. Fra pochi giorni vi saranno dunque circa 50 divisioni Austriache contro le nostre 50 divisioni.

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