XXIII. MASSAGGIO DEL CORPO DIVINO DELL’ITALIA

— In macchina, in macchina! grido ai miei soldati. Al volante, Menghini!

Guardo energicamente negli occhi bagnati di lacrime dei miei soldati. Hanno capito. Hanno capito. Poi ammonisco rudemente il mio cuore: «Hai avuto ragione di piangere, cuore mio, ma ormai sei inzuppato di lagrime come un fazzoletto d’addio. Basta! Non piangere più! Oggi è giorno di guerra! Abbiamo vinto, bisogna stravincere! Hai abbastanza subìto l’incantesimo sonoro. Non sono campane! Strappate dai campanili, sotterrate con furia gelosa, esse rinascano mutate! Sono i bronzi melodiosi del genio Italiano che non poteva subire manipolazione straniera. Conservarono sotterra il timbro profondo e l’ampia virtù suggestiva. È il genio della nostra razza che risuona ancora intorno a noi. È la forza creatrice italiana colla sua commovente elasticità di balzi armoniosi, le sue arrampicanti fioriture di note che sanno l’ampio anfiteatro di echi carnali del golfo di Napoli, e le cadenze flessuose delle colline toscane, e i burroni muggenti d’organo dei valloni abruzzesi. Non piangere! Canta, o mio cuore! Canta, batti, romba rotolando tutte le erre d’una furente velocità.

«Senza nostalgia, senza languori, senza abbandoni mistici, lontano dalle Madonne e dai campanili! Ricordati che nelle città, altre campane prostitute vorrebbero aizzare con falsi annunzi di pace prematura gl’interni salvatori dell’Austria passatista! Sia il tuo canto un martellare, preciso, rettilineo che scalando il cielo, su, su, colpisca le vetrate delle chiese perchè il cristallo infranto si sganasci anch’esso annunciando la nostra vittoria! Su, slanciati, mio cuore motore, su questa bella strada che taglia le più ricche, eleganti variopinte campagne della terra! Sono i capelli sparsi dell’Italia Divina! Noi ne conquistiamo il seno, le belle spalle, su su, verso le due braccia tornite, tanto tempo incatenate e la mano sinistra inanellata di mare: Trieste!... e la mano destra più rude e muscolosa: Trentino!»

O Italia, o femmina bellissima viva – morta – rinata, saggia – pazza, cento volte ferita e pur tutta risanata, Italia dalle mille prostituzioni subìte e dalle mille verginità stuprate ma rifiorite con più fascino di verde pensoso e di ombrie pudiche. Sono io, io il futurista che primo ti libero il petto baciandolo col mio delirante amore!

Cosmica fusione del mio corpo col tuo! Ti sento, ti sento, ti sento! Ti prrrrendo, ti prrrrrendo, ti prrrrrrrrendo! Sei grande, grande, lo so, e non ti posso tutta contemplare!

Eppure, senza sognare senza perdere la ragione, t’immagino tutta, ti vedo! Questa rosea carta geografica, che ho fra le mani, vibra, vibra, mentre io corro nella mia blindata. Vibra l’elegante forma rosea sulla carta! Non è più carta, diventa carnosa! Freme, respira, palpita e spalanca sempre più le braccia nella crescente e trasfigurante velocità del mio motore in sogno! L’impeto virilissimo di questo mio motore che è insieme cuore, sesso, genio ispirato e volontà artistica, entra in te, con rude delizia per te, per me, lo sento! Sono lo strapotente genio- sesso futurista della razza tua, il tuo maschio prediletto che ti ridà penetrandoti la rifecondante vibrazione!

Ah! se potessi avvilupparti tutta in un unico immenso bacio, sintesi ultima di tutti i baci che la tua bellezza florida ha suscitato nei padri, dei padri nostri e in quelli morti per te e nei 500 mila eroi dell’Isonzo, del Carso, del Piave.

Non sono pazzo! Nè allucinato! Creo, creo il tuo fantasma, la tua statua che non è di bronzo, nè di terra, ma umana, viva, di carne. È forse un pazzo, lo scultore geniale? Tale io sono, ispiratissimo, ma con lucido controllo tenace e sapienza di mezzi! Con questo bollore di sangue che ridipinse il mondo, con questa respirante carta geografica, e con una piccola lettera d’amore bagnata di sudore sotto la mia giubba, e forse di lagrime, poichè è la lettera di un’amante ideale, una italiana, che mi scrive il suo pazzo desiderio di cancellare Caporetto!... Con questo, con questo, io compio il miracolo!...

Sì, sì, Italia! Ho sotto la giubba una lettera d’amore! È lei che mi scrive! Una Italiana! Bellissima! Non la ricordi? È tua figlia. Ti somiglia. I suoi capelli hanno la morbida serica fluidità dei tuoi boschi. Pensa al più sognante declivio della tua più languida collina e ti sarà facile immaginare quelle guance tenere sensuali calde di pesca e magnolia. Soltanto certe curve dei tuoi fiumi ricordano un poco l’invito sinuoso delle sue labbra! La sua voce evoca il canto delle onde notturne nello stretto di Messina udito da un areoplano volante a 1000 metri. Lenti archetti di dolore su violoncello d’oro giocondo. Glauche chitarre di roccia con lunghi accordi d’acque che s’infrangono. Arpe elastiche di vento con pizzicati di lampi allegrissimi. E piangenti clarini smarriti in meandri di pazzie colorate.

Lei! Lei! Se cammina, ondeggia come un fumo lieve innamorato del cielo.

È tua figlia, o Italia! Le parole carezzevoli della letterina sua tremano sul mio petto, insorgono, susurrano, suonano. Sono le sue tenerezze che odo, ma anche le tue, le tue! Sei tu che rispondi ai miei baci, tu, Italia, che mi gridi con le sue parole: Amore, amore, amore!

La mia passione parla così nella velocità amorosa della mia blindata 74 che attraversa correndo i villaggi e le loro schiumanti ondate di grida, braccia, fiori, campane agitate.

— Vivaaaaaaa! Vivaaaaaaa! Dan dan dan.

Ti prendo, ti prendo, ti prendo, Italia! E sono geloso di te, geloso! Tutti ti amano, tutti ti amano, tutti ti vogliono! Io ti voglio per me! I miei soldati hanno strani visi pieghettati arsi da un forsennato desiderio di te! Sento l’acciaio di queste pareti bruciare di voluttà per te! L’occhio orizzontale di questa mia 74 d’acciaio già si muta nel delirio in una calda bocca dalle potenti labbra affamate di te! Stride e strilla tutta la mia blindata! Ha un tono quasi brutale! Non sa più contenere la sua follia per te!

— Sono io, son io che ti bacio! urrrla la mia blindata 74 — Sono io che ti bacio! Io sono la bocca d’acciaio veloce che scivola sulle morbide colline del tuo seno, sulle ben tornite montagne delle tue spalle, baciandoti tutta, avidamente, con lussuria! Sono io che ti bevo e mangio tutta di baci minutissimi rapidissimi, Italia mia, donna-terra saporita, madre-amante, sorella-figlia, maestra d’ogni progresso e perfezione, poliamorosa – incestuosa, santa – infernale – divina!

In sogno ho ascoltato queste stridenti parole d’amore della mia blindata. Ma bruscamente morso dalla gelosia urlo:

— Via! Basta! non facciamo scherzi! Non ti permetto queste libertà! È mia, è mia, comprendi? È tutta mia, l’Italia bella! È da tempo, da tempo, da tempo che l’amo, d’un amore preciso – confuso, eterno – istantaneo! Profondo amore spiritualissimo, religioso! Un amore in ginocchio, prosternato e insieme un amore sensuale tutto morsi, baci graffi carezze rudi! Un amore che s’infittisce e s’insuccolenta, ghiotto, ghiotto nell’Italianissimo sugo d’un buon piatto di spaghetti alle vongole napoletano! Tu non sai cosa vuol dire assaporare con mille labbra l’Italia nel giallo risotto alla Milanese e nel polisaporico minestrone! Dopo lungo girovagare di lingua e di palato fra le plagiarie insipide culinarie estere, godere un piatto italiano! Ah, ah! Questo è un amore senza confine ed ha le smisurate minuziose e chilometriche voluttà del sole quando in Agosto possiede la Terra!...

Ed anche la girante oleosa carezza d’un battello a vapore che beatamente prende in giro colla sua scia l’isola di Capri, mammella della Terra, emersa dalla tenerezza lunare come da una serica camicia ideale!

Non bisticciamoci, mia cara 74! Non sei una bocca! Tu sei l’alcova d’acciaio veloce, creata per ricevere il corpo nudo della mia Italia nuda, che ora, con grazia, per i graziosissimi piedi trascino dentro, dentro, dentro di te! È già dentro, e fra le mie braccia!

I villaggi salutano il mio amore irruente, eloquente, e vittorioso.

— Vivaaaa! Vivaaaa! l’Italiaaaa! Dan dan dan. Han ragione quei villaggi di acclamare, elogiare la mia amante divina! Tanto bella così, assopita! Ma un po’ stanca per i troppi baci e le carezze accanite! Giovane, fresca, come prima della schiavitù. Languidamente ha concesso il suo corpo al massaggio sapiente della nostra offensiva. Abbiamo subito ottenuto la rimozione delle piccole rughe che deturpavano i suoi fianchi. Le nostre ruote ora premono come pollici veloci sulla sua pelle ancora un po’ insensibilizzata da un anno di nefasta cocaina. Il massaggio fu in un primo tempo feroce. A cannonate, sì, a cannonate praticammo nella palpebra destra istriana il taglio d’una piega sovrabbondante di tessuto, poi ricucimmo i margini della ferita con punti fitti e sottilissimi di spie.

L’Italia porterà gli occhiali affumicati per qualche anno, poi la cicatrice rossastra sopra e sotto la palpebra sparirà. Per affrettare, un colpo di pastello e di legislazione geniale. Intorno alla bocca che ha nome Piave vi fu gran fervore di lavoro. Con un bombardamento sul labbro superiore, Caviglia massaggiatore esperto, incise e asportò triangoli di tessuto carnoso nel punto di congiunzione tra il labbro e il naso: Vittorio Veneto. Questo massaggio non soltanto restaurò, ma abbellì. Fu così aumentata la potenza espressiva della bocca Piave.

Tirammo a pulimento e riducemmo a forma rettilinea colline rincagnate. Colle mitragliatrici, fra poco, faremo abbondanti iniezioni per correggere le depressioni della linea frontale. Il piombo iniettato si trasformerà in tessuto connettivo. Livelleremo gli incavi e le depressioni morali del bel collo pieno di volontà. Tramuteremo il mento, un po’ molle, in mento pronunciato, volitivo audace insieme e piacevole. Ora la squadra ci aiuta cannoneggiando incisioni nelle regioni capellute sopra gli orecchi – golfi Adriatici.

Presto, presto, si spianino a cannonate le rughe frontali scavate dal dolore. Un colpo di lancetta qui, uno strofinamento di ruote là, e sarà compiuto il perfezionamento dei suoi connotati femminili. Voglio ridare al viso della mia Italia la tinta dei cieli di Sicilia. Già mi scivolano fra le mani gli aliti africani usi a fasciare i fianchi dell’Etna. Ho anche a mia disposizione questo morbido cielo, panno impregnato di soavità misteriose... Non sono forse io il padrone assoluto di questo universo diventato per me un prodigioso Istituto di bellezza? A 50 o 60 chilometri sulla mia destra posso prendere il mare, morbidissima spugna azzurra inzuppata di lozioni orientali. Ecco col mare-spugna azzurro cancello le lividure e le arsure del viso dell’Italia che riprende la freschezza saporosa della gioventù. Poi l’accarezzo con questo cielo di panno imbevuto d’Oriente illanguidito. Il viso si assopisce.

— Menghini, come va il motore?

— Senta, signor tenente; canta come un flauto. Tuvvvvvvvv Tuvvvvvv vrrrrrr vrrrrrrr.

Il motore aveva come me sete, sete, dopo tanta passione bruciante.

Fiuto la maestosa, freschissima bevanda saporosa d’azzurro: il Tagliamento! Se il ponte del Torrente Arzino è ancora in piedi saremo presto al Tagliamento. Presto, giù per le discese a zig-zag e nelle grandi S temerarie della strada, correva la mia 74 girando intorno alle colline sempre più aspre e rocciose che prendevano arie di montagne imprevedute con roccioni strapiombanti, svolte, svolte, e svolte.

Ad una spasmodica velocità, come il sangue corre nelle vene, correvamo nelle vene dell’Italia, su e giù per i suoi muscoli saldi. Era fuori di noi l’Italia, ed era anche nella blindata, addormentata fra le mie braccia, col suo placido respiro melodioso. Tuvvvvv Tuvvvv....

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