Il regalo.

Doni di un tempo e di adesso – Quel che la borsa consente e quel che il gusto suggerisce – Dall'automobile alla “zeppola” – Usi veneziani – Le dolenti note – La scienza del calendario – L'indirizzo di un poeta.

Un tempo, nelle grandi famiglie principesche, i doni che si inviavano alla fidanzata erano qualche cosa di piramidalmente grandioso. Occorrevano carri interi, trainati da dozzine di buoi e scortati da uomini di arme a cavallo. E i doni erano stoffe preziose, scrigni di gioie, frutta di paesi lontani e perfino greggi di animali. Il corredo di una sposa, allora, era semplicemente spaventevole.

In un inventario che riguarda le nozze del serenissimo Principe di Mantova, don Francesco Gonzaga, con Margherita di Savoia, figlia di Carlo Emanuele il Grande, si legge, infatti, che il corredo della serenissima donna Margarita constava: di sedici saye, di tela d'argento bianca, ricamata d'oro e d'argento, con fiori di seta; di sattino azzurro ricamato d'argento; di tabico ad occhi di pavone; di satino incarnatino; di satino negro, con colletto d'Ambra; di peluchia color di mare; di tabico verde tessuta con oro; di ormesino incarnato e bianco con liste d'argento; di «ormesino Baretino a fioco verde» e di altre dieci gradazioni di verde; di sette robboni di ogni tinta; di sei giupponi di satino verde incarnatino, di veluto negro, e di «tella di argento»; di sette pari di maniche di satino listato e frangiato d'oro; più di svariati mantelli, e chilometri di pezze di broccato, di seta, di Damasco e perfino di «garza nera a fioroni d'oro et argento integra».

Di fronte a un corredo di questo genere si pensi un pò che cosa dovesse portare lo sposo e quel che costasse un fidanzamento in quel tempo, sopratutto al... paese, che aveva l'onore di fare le spese per i suoi principi.

Ai nostri giorni, il dono ha assunto una forma assai più modesta, perchè le tasche sono più piccole. Ma è evidente che ciò che si dà è proporzionato alle forze del donatore ed anche alla sua raffinatezza. Un milionario americano, per esempio, può impunemente regalare alla sua fidanzata un'automobile con l'analogo chauffeur e una provvista di benzina per cinque anni. Un gentiluomo della vecchia società latina darà un gioiello antico di famiglia, doppiamente caro per il suo valore intrinseco e perchè ha raggiato sulla testa poudrée di un'antenata, prima di ascendere a un monte di.... pietà. Il fidanzato della piccola borghesia si contenterà di portare, alla domenica, in casa della sposa, dove pranza, un cartoccetto di sfogliate o, se è più evoluto, un gateau Margherita, infilato per il cappio dello spago nel dito mignolo: il popolano, a S. Giuseppe, darà le zeppole con le viole di Pasqua; il contadino, alla festa del Santo protettore, comprerà alla fiera, per la fidanzata, un fazzolettone a fiorami o un paio di zoccoletti.

La poesia del dono, del resto, è tutta nelle intenzioni di chi lo fa: un semplice mazzo di fiori, colti con le mani tremanti e baciati da una bocca che porta, come suggello eterno, un nome solo, può avere, ed ha, certo, un valore che uno scrigno non ha.

Vi sono, anche in questa faccenda dei doni, delle consuetudini locali, e v'è una specie di regolamento, in proposito. Fra gli usi nuziali veneti, per esempio, questo dei regali tra fidanzati è regolato dalle norme seguenti, riferite dal Bernoni, nel grazioso dialetto lagunare:

«Fra morosi e morose se açeta e se da regai.

I regai che fa el moroso a la morosa de regola xe questi:

Da Pasqua: una fugazza co do botiglie de çipro, o de malega; da Nadal: una scatola de mandolato e un vaseto de mostarda; dai Morti: una scatola de fava; da S. Martin: i maroni; da S. Marco: el bòcolo (bottone di rosa, perchè la festa di S. Marco ricorre il 25 aprile).

Se el vol, el ghe dà qualcossa anche el dì del so nome de ela, e cussì al primo de l'ano; ma no ghe xe de dover.

Le tose adeso usa darghe ai morosi dei fazzoleti de seda o una siarpeta co un pondapeto. Una volta el costume gera de darghe un per de tirache recamae, co i so fiocheti in colore e col cuor in mezo e un per de ligambi.

No xe permeso po' che dar e gnanca de açetar pètini, santi, libri de ciesa, forfe ed aghi; perchè i pètini xe roba per stregarie; i libri e i santi xe dispiacer; la, forfa xe lingua cativa; e i aghi xe roba che ponze.

E chi dona de sta roba no se marida de sicuro».

È bene aggiungere, giacchè si parla di doni, che, oltre a quelli da farsi alla fidanzata, vi sono, poi, i doni complementari, egualmente indispensabili, e che, dimenticati, potrebbero cagionare i disastri più irreparabili nella vita avvenire dei disgraziati sposi.

Doni per onomastici: alla futura suocera (ramo pasticceria e generi alimentari, con contorno di fiori), al futuro suocero (ramo oggetti personali, servizio da fumo, accessori per passeggio, ordigni del mestiere), alle future cognate (ramo lirico: libri francesi, molto francesi, con della poesia, molta, moltissima poesia: sachet di fondants lievi, ideali, ciò che vi ha di più ideale in un fondant; oggettini svariati, di stile nuovo, straordinariamente nuovo, della moda di domani, se è possibile; e fiori, molti fiori, più fiori che si può: un orto botanico avvolto in nastri di seta), ai futuri cognati (rami svariati, oggetti da toilette, portasigarette, incerti eventuali di ogni genere, stoccate per perdite al giuoco ecc. ecc.).

Doni per festività diverse, giorni ricordevoli, avvenimenti notevoli di famiglia, licenze elementari di futuri nipotini, nozze d'argento e d'oro di futuri nonni.

Mance al basso personale, alle domestiche ed ai domestici, al cuoco, al portinaio, a colui che viene a fruttare il pavimento ogni sabato, al povero del rione che vi saluta ogni giorno col suo più bel sorriso, a chiunque vi faccia degli auguri, alla gente che conoscete poco, alla gente che conoscete solo di vista, alla gente, sopratutto, che non avete vista mai.

Il fidanzato impara, così, a conoscere, molto da vicino, un'istituzione che prima gli era quasi del tutto indifferente: il calendario. Egli deve apprendere, rapidamente, tutti gli onomastici, tutte le date solenni, tutti i giorni in cui egli deve fare o dare, scrivere o presentarsi; e guai a fare uno sbaglio o a commettere una dimenticanza; può essere più dotto di Newton, il semplice fatto che egli ignori che vi sono quattro S. Franceschi e non meno di sei S. Giovanni, che ricorrono ad epoche diverse dell'anno e non hanno nulla di comune fra loro, lo fa guardare dall'alto in basso perfino dalla serva di casa che si domanderà sprezzantemente a che cosa serva la laurea quando non sappia far distinguere un santo dall'altro.

Del resto, chi dona è felice, afferma un proverbio persiano: e un poeta provenzale ha cantato che fare un dono è tanto dolce che chi non lo ha mai provato non può saperlo.

Un mio amico, che è fidanzato con una signorina che ha diciotto persone di famiglia, venne un giorno da me per conoscere l'indirizzo di questo poeta. Ma mi parve in uno stato così anormale, e con gli occhi così fuori dell'orbita, che non stimai prudente di darglielo.

Tanto più, signore e signori, che quel poeta ha avuto il buon senso di morire da sei secoli.

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