(Paesaggi Abruzzesi)
a mia sorella
La fonte.
L'acqua chiara, che sgorga in sottil vena
da la ferita de la terra fonda,
corre su i sassi, dilagando in onda
piana, con dolce maestà serena.
Cantan le donne, curve ne la schiena,
battendo i cenci su la cesta tonda,
e stillan, su le siepi de la sponda,
i bianchi lini, risciacquati appena.
Dice una voce:
«Chi se parte scorda...»
Rispondon l'altre:
«...e chi rimane piagne...»
Battono i cenci, con cadenza sorda...
Poi, v'è silenzio; e l'acqua chiara geme,
quasi portasse via, per le campagne,
sogni dispersi e foglie morte, insieme...
La vanga
La vanga rude, che la rude mano
strinse, compagna fida, nel tenace
lavoro, ne la lotta senza pace
pel verde tralcio e per il biondo grano,
la vanga rude che, nel già lontano
ieri, s'affondò, lieta, nel vorace
solco (la strofa gaia, ora, si tace)
attende il morto, prona, in mezzo al piano.
Vien, nel tramonto, per la strada bianca,
la bianca cassa. O campi, ricordate
l'assidua mano, che riposa, stanca?
Riposa; e attende l'ultimo conforto,
vanga, da te, che, desta a l'opre usate,
scavi il solco supremo pel tuo morto.
Passeri
La siepe, che distende l'intricata
trama di spine lungo i campi, e stilla
di perle in ogni spina, a l'alba, oscilla
da un saltellar di passeri cullata.
E per le siepi tutte è una celata
vita fremente; un occhio nero brilla,
in ogni macchia, ed ogni cespo trilla,
e un chiacchiericcio è tutta la vallata.
Poi, l'invisibil popolo minuto,
come il giorno s'accende di bagliori
e le creste si tingon di viole,
squassa le penne, ha un grido di saluto,
e con un frullo d'ali balza fuori,
levando il volo, in frotta, in faccia al sole.
Pentima (Aquila)
Dicembre 1903