L'altra

A Vincenzo Pappalardo

«Amica mia,

Ho riflettuto, a lungo, se dovessi chiamarvi così: se ne avessi il diritto. Quando si è amata qualcuna, quando le si è consacrato ogni nostro pensiero, ogni palpito nostro, per un mese, per un anno, per un tempo, forse maggiore o, forse più breve, ma costantemente, ora per ora, giorno per giorno, resta, sempre, nell'anima qualche cosa, come resta il profumo di un fiore, in una stanza chiusa, anche quando il fiore sia stato portato via. Lasciate che nel mio cuore resti solo il profumo, di Voi, un profumo lieve, un po' sbiadito, come di pallide viole di febbraio. L'amore, quell'amore intenso, appassionato, ardente, è morto.

Doveva morire.

Voi leggerete questa lettera mia, l' ultima lettera, con stupore, certo: Voi mi crederete, adesso, pazzo o malvagio. Pure, non è così. Io non V'ho ingannata; non ho mentito, sino ad oggi, quando vi ho ripetuto, tante volte, con la voce che mi tremava, come ad un fanciullo, la parola dell'amore, di quell'amore che io credevo immortale. Io non ho mentito, mai; e quando, con le lagrime agli occhi, V'ho chiesto la grazia suprema, una Vostra visita qui, in questo appartamentino solitario, fuori Porta, io sentivo veramente, profondamente (ve lo giuro su quanto ho di più sacro) tutta l'intensità della passione, e imaginavo già la vostra testolina fulva, dai riflessi di fiamma, lievemente piegata sulla spalliera della gran poltrona di velluto color verde antico, di un verde che fa tanto risaltare la bizzarra chioma luminosa... Ma Voi non poserete su quella poltrona, amica mia, Voi non dovete posarvi, e non la vedrete mai; essa è nella stanza dove sono le cose morte, nella stanza chiusa, chiusa per sempre; e Voi vedrete, ora, l'uscio di quella stanza, soltanto; ma ignorerete, per sempre, ciò che è di là .

Come è strano il cuore umano! Voi Vi rifiutaste per due mesi al mio invito; oggi verrete, schiuderete la porta di casa con la piccola chiave che io stesso Vi diedi, da allora, la piccola chiave bizzarra che pare un pugnaletto malese (la compagna è qui, di fronte a me, sullo scrittoio, e brilla come cosa viva) e vi arresterete in anticamera, innanzi allo scrittoio, dove troverete questa lettera. Il resto dell'appartamento è chiuso; è sacro.

Amica mia (io voglio chiamarvi così, perchè Voi non avete commesso nessuna colpa, verso di me), io debbo dirvi tutto, debbo giustificarmi innanzi a Voi. È una storia breve e semplice, la mia; ma Voi avete l'anima buona e saprete comprendermi.

Cinque anni or sono, conobbi qui, in un garden-party della colonia anglo-americana , una strana creatura esotica, dai larghi occhi cerulei pieni di sogni, dalla chioma ricciuta, d'una bizzarra tinta accesa, come d'una massa d'oro su cui si riverberasse il fuoco sanguigno d'un tramonto ardente, che illuminava come un'aureola fantastica un sottil viso bianco, d'un opaco pallore di ostia, il viso d'una creatura che avesse molto amato o che avesse molto sofferto. Mi dissero di lei che suo marito, un ufficiale superiore inglese, era lontano, in India, e mi aggiunsero che non era stato troppo affettuoso con sua moglie, quand'erano insieme. Ella lo aveva adorato da prima: ora, pensava di lui come se fosse morto, e portava, così, nell'anima, il ricordo d'un amore finito e il triste vuoto agghiacciante della vedovanza d'un uomo vivo. Scambiammo, quel giorno, poche parole, e ballammo pochissimo, insieme, ma io sentii che in lei non era morta ogni cosa, e lessi nei suoi occhi che la giovinezza, nel suo cuore, era sopita, ma un soffio, che fosse penetrato fin nelle fibre più riposte, avrebbe ridestato la favilla nascosta sotto la cenere, e il viso bianco, il pallido viso di sfinge insensibile, si sarebbe rianimato di una intensa fiamma di vita, quando l'amore avesse ripreso possesso di quell'anima che pareva, ora, una cava tomba deserta.

La rividi due giorni dopo, di mattina, ai giardini pubblici, in un viale deserto sul quale le acacie lasciavano sfogliare i loro fiori e i passeri mettevano il loro cinguettio festoso. Era insieme con una vecchia signora, una zia od un'accompagnatrice, alla quale feci un profondo saluto. Poco dopo, allo svolto del viale, la scorsi tutta sola, sopra un sedile di pietra, con i chiari occhi assorti in una visione lontana e un raggio di sole che, passando attraverso i rami d'un albero, le accendeva una fiamma sottile fra i riccioli della nuca. Io non so perchè mi accostai, io non so che cosa le dissi; mi parve che una mano arcana mi avesse spinto e che un'arcana volontà avesse deciso tutto questo. Sì, era stabilito , forse, e fu per ciò che ella mi intese , come io l'avevo intesa.

Otto giorni dopo che l'avevo conosciuta, io l'amavo, come s'ama una volta sola nella vita; ed ella rispose al mio amore con la schiettezza e la semplicità d'un'anima che si offre perchè conosce tutta la grandezza e la nobiltà dell'offerta. Ed io sentii la sua giovinezza rinascere, come un tronco che rinverdisce all'april novo, e vidi la vita rifluire con la sua fiamma rosata nel volto bianco, e fui superbo come d'una resurrezione.

La primavera circondò del suo verde il nostro amore, ancora tutto pieno dei riserbi e delle delicatezze d'un amore di fanciulli, un amore casto e vibrante, e gli diede i suoi fiori e il canto dei suoi uccelli; e noi portammo la nostra felicità sotto la volta intrecciata degli alberi, fra le siepi odorose, in faccia all'ampia coppa cristallina del cielo solcato dal volo delle rondini, rendendo alla primavera, col dono magnifico di questa rifioritura esuberante dell'anima nostra, ciò che essa ci dava, mescendo il pulsante fiotto di vita che sentivamo erompere dalla giovinezza nostra all'onda fremente ond'essa ribolliva in ogni cosa vivente, fondendo il palpito nostro nel gran palpito della natura rinascente. Ma nulla ancora io le chiesi, nulla ne sperai, non osando, timido, sospettoso della mia stessa felicità. Un giorno, che vagavamo insieme per i campi, fuori la città (ricordo che le prime rose schiudevano le piccole bocche pallide fra le siepi, anelando al bacio del tiepido sole) scoprimmo insieme una casetta bianca, perduta in un orto solitario. Ella disse, con un tremito nella voce, pianamente: – Come si deve star bene, qui, così lontani dalla vita, così vicini al Sogno!

Io la guardai negli occhi, che s'accendevano d'un fulgore radioso, e lessi, allora, senza un sol dubbio, senza una sola esitazione, la Promessa.

*
* *

E dopo dieci giorni ella venne a trovarmi in quella casetta, e sedette nella gran poltrona di velluto verde antico che io le avevo preparata (ella adorava quel colore), nel salottino tappezzato in verde con grandi fasce di argento...

E vi tornò spesso; e vi tornò sempre. Io mi recavo mezz'ora prima ad aspettarla, lì, in quel salottino verde... Che palpiti, nell'attesa! Di fuori il silenzio, alto, incombeva sulla campagna, e ricordo ancora, nel mese più bello e più vibrante del nostro amore, nel meriggio sonnolento del giugno, il canto acuto, incessante delle cicale, mentre io l'aspettavo, in quell'ora grave, nella stanza ombrosa, dove le tende verdi avevano come un aspetto di freschezza, quasi grandi fogliami di palme. E poi, a un tratto, sentivo lo scricchiolìo della chiave, di quella piccola chiave bizzarra – quella stessa, quella stessa! – che io diedi a Voi, che, ora che leggete, avete forse ancora fra le mani.

...Tre mesi più tardi, dopo una settimana di silenzio, una triste settimana di ansie spaventose, una breve letterina di lei – l'ultima – mi annunziava la terribile tragedia. Il marito la richiamava in India, il morto stendeva la sua mano gelida verso di lei, per attirarla a sè.

Dopo un lungo sogno, ecco il ridestarsi amaro... No, no, meglio continuare il sogno, meglio non ridestarsi più, mai...

«Io non tornerò a lui, perchè non posso» diceva la sottile scrittura nervosa «e non tornerò a te, perchè ora non lo debbo più. Parto per il mio paese; addio amore! Egli risorge; io muoio.»

La breve letterina racchiudeva, anche, un ricciolo fulvo, una spira di fiamma viva, che mi si attorcigliò intorno alle dita come un serpentello luminoso. Era tutto quello mi rimaneva, di lei; tutto quello che io potevo ancora sentire sotto la mano ardente, baciare con la bocca fremente, premere alle tempie che pulsavano, cingendone la fronte come d'una sottil benda d'oro... Tutto, tutto!

«Egli risorge; io muoio». Ed era morta, come seppi qualche giorno dopo da un giornale inglese, mandatomi non so da chi: era morta a Southampton, tre giorni innanzi – la noticina luttuosa, stampata negli Echi mondani, diceva di meningite.

Ma io lessi, attraverso quelle parole stampate, ciò che non era scritto, ciò che io sapevo , e piegai la fronte, singhiozzando, sulla lieve ciocca di capelli, sulla reliquia adorata della mia troppo breve felicità...

*
* *

Da allora, quella casetta, questa casetta, dove Voi, ora, Vi trovate, è rimasta chiusa. Non una volta ebbi il coraggio di ritornarvi; sarei morto, forse, ricordando, col capo abbandonato sulla grande poltrona di velluto verde.

E questo inverno (altri cinque anni, son passati, da allora!) in una festa come quella, nella stessa villa, io ho conosciuto Voi. Rividi, improvvisamente, in Voi, quei riccioli di fiamma, quegli occhioni cerulei, trasparenti come un sereno lago alpino, e, per un istante, tremai, dubitando.

Ma i morti non tornano più, sulla terra, e seppi di Voi, e di Vostro marito, che Vi adora, e che è anch'egli, come quello, lontano da Voi, in missione diplomatica. E fui geloso, di quest'amore che aveva per Voi Vostro marito e che Voi ricambiavate, certo, con tutte le Vostre forze, e ne soffersi, come d'un tradimento... Io vedevo in voi l’«altra», la mia morta adorata, e mi pareva di vedere la Vostra testolina ricciuta piegata sulla spalliera della gran poltrona verde, come quella testolina... E fu così che V'amai; e fu una conquista lenta e tenace, una conquista ardita ma perseverante... E voi ignoravate perchè v'amassi; ignoravate che io amavo qualche cosa che imaginavo in Voi, come l'Anima di quella, dell’«altra». Vi ho amata, così, a lungo, d'un amore che doveva, lentamente, stringervi nelle maglie della sua salda rete, con la fatalità delle cose che debbono succedere, e che nulla può impedire... E ho sentito questo amore crescere in me, e farsi gigante, e la sua fiamma, a poco a poco, toccarvi, e vincervi, con lunga ma sicura vittoria... E Vi ho chiesto, così, una visita qui, dove veniva l’«altra»; io sognavo di rivivere quei giorni felici, sognavo di ridestare gli echi morti di questa casetta col suono delle nostre voci, ripetenti insieme le strofe dell'amore... Ed ora che Voi avete accettato, ora che Voi, dimenticando lui , l'assente, che è buono e Vi ama, e non sa , siete venuta, per forza d'amore, io non sarò più qui, e Voi troverete questa lettera, e partirete, sola, senza vedermi più, mai.

No, io non posso avere le vostre carezze, io non posso ospitarvi, qui, nella casetta, per ritessere una trama infranta. Siete voi, forse, l’«altra»? È in voi l'anima di lei? Bacerei io, nella vostra, la bocca della morta? No, voi non siete quella; voi siete sottile, com'essa, e com'essa pensosa, e la vostra chioma ha riccioli luminosi come quello che è la mia reliquia più sacra; ma voi siete – ah, la dolorosa parola! – un'altra.

Ed io commetterei un delitto, se Vi amassi ancora, se Vi amassi come amavo l’«altra». Commetterei un delitto, e i morti, nella tomba, sanno.

Così, dunque, io Vi dimenticherò; penserò che tutto questo sia stato un sogno. E la casetta resterà chiusa, per sempre, e nella grande poltrona verde nessuno sederà più, in quel salottino, ove, nel meriggio sonnolento, le tende verdi avevano un aspetto di freschezza, quasi grandi fogliami di palme...

Tutto ciò è morto, come lei; dimenticate anche Voi, il triste sogno; lasciamo che l'ombra e il silenzio si stendano sulle cose morte.»

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