L'Intrusa

(Novella)

Prima ancora che Nello Spera avesse pensato a scongiurare il pericolo di una presentazione, lassù, nel minuscolo salone dell'Hôtel Brandini, perduto sulle falde selvagge dell'appennino abruzzese, la contessa Moraldi, con la consueta vivacità di bruna figlia del Vesuvio, aveva già pronunziato, rapidamente, laconicamente, i due nomi: – Il signor Nello Spera, poeta. La signorina Pia D'Olmo, poetessa – E aveva aggiunto, con una risatina furbesca: – Sono di famiglia, signori!

I due presentati si scambiarono un piccolo inchino. Egli pensò: – Ecco una donnina insopportabile. Ella, a sua volta, si disse: – Ecco un ambizioso. Rapido scambio di colpi pensati, scherma dell'anima che s'arrestò lì.

Al piano, un vecchietto magro, curvo e affilato come una falce, preludiava i lancieri, col moto secco delle dita ossute, che picchiavamo stranamente sulla tastiera. Coppie diverse si disposero qua e là, pigiandosi nella piccola stanza, sforzandosi di formare quattro quadrati.

— Qual'è il nostro vis-à-vis, signor Spera? – chiese lei, appoggiandosi appena al braccio del cavaliere.

— Quel signore laggiù, il marchese Berna, signorina D'Olmo – rispose lui, semplicemente.

E, per tutto il tempo che ballarono i lancieri, non dissero altro. Un inchino reciproco, alla fine, e poi: – Grazie.

Una poetessa! Questo tiro che giocava il destino ai nervi di lui, così lungamente messi alla prova durante otto mesi di paziente, assiduo lavoro, questo tiro che lo colpiva così d'improvviso in un cantuccio perduto di montagna, in quel caro e verde Abruzzo al quale egli era andato a chiedere un po' di tregua riparatrice alle continue ed esaurienti lotte del cervello, gli dava un senso di noia così vivo ed acuto che tutta la gioia onde l'anima sua era stata invasa, la mattina, giungendo al piccolo albergo solitario, fra i faggi e le querce, sfumò, d'un tratto, come un bel sogno spezzato bruscamente. Valeva la pena di arrampicarsi fin lassù, con la speranza di imbattersi soltanto in qualche pastore o in qualcuna di quelle forti e semplici creature della zolla, brune come la terra che le fece germogliare, curve sotto il peso enorme dei fasci di legna che portano a valle, per trovarsi, invece, di fronte ad una di quelle nevrotiche e insulse cinguettatrici di versi e fabbricatrici di rime, che fanno tanto desiderare le buone e modeste massaie che preparano delle squisite torte di frutta e dei mirabili merletti in dentelles? «Poetessa!». La parola della contessa Moraldi, evidentemente, era un po' ironica, o abbastanza adulatrice; ma questo gli diceva che il pericolo era maggiore: se essa gli si fosse appiccicata al fianco, sapendolo del mestiere?

Nello Spera, per dispetto, non volle invitarla per qualche altro ballo, e, mentre il vecchietto attaccava con vivacità una polka saltellante, importuna, tutta trilli e scrosci di note petulanti come risate insolenti, si avvicinò ad una delle finestre, che guardava la cima del monte sulla quale scendevano fiocchi grigi di nuvole strappati al cielo da un fresco vento di ottobre. Era un disperso armento lanuto che precipitava lungo i fianchi dell'appennino, incalzato da un pericolo sconosciuto, una fuga fantastica fra le insenature delle rocce, i grossi picchi nudi emergenti dalla boscaglia e le vette dei faggi che si scompigliavano al soffio della tempesta imminente. Così, pareva passassero nell'anima di lui stormi di pensieri grigi, disperso armento anch'essi, che un pericolo improvviso aveva messo in fuga, e, fra tutti, uno restava, tenacemente, il pensiero dell'intrusa, che continuava il suo lavorìo tormentoso nel cervello stanco di aver troppo a lungo pensato e creato.

Non è, in fondo, che gli importasse molto di quella fanciulla; abbastanza scettico, nei suoi rapporti con le donne, convinto profondamente che l'amore non fosse che una ginnastica dello spirito e una specie di mannequin psicologico del quale l'artista sapesse farsi un modello per un bel quadro, si era, tuttavia, piegato da qualche tempo a un fidanzamento che egli aveva accettato, spinto dalla madre e dai parenti, con la naturale indolenza del suo carattere, e al quale serbava una fedeltà senza entusiasmi e senza pentimenti. Non aveva mai amato molto, e ne era lieto, ed aveva per le donne quella specie di rancore che hanno tutti quelli che dicono di averle conosciute troppo o che non le hanno conosciute affatto. Non poteva fuggirle apertamente, per un certo pudore cavalleresco, lontano retaggio, forse, dei suoi antenati, ma non le cercava punto, sicuro che in ciascuna di esse si celasse un'insidia; e quando il caso voleva che s'imbattesse in una donna finiva coll'adattarsi a farle da cavaliere, con molto garbo o con molta freddezza, ma col sottile risentimento di chi, non potendo sottrarsi ad un pericolo, deve affrontarlo e subirne le conseguenze. Una letterata, poi! Poteva trovarsi al mondo una specie peggiore del genere femminile? Tutto doveva essere in lei artificiale, falso, il riso e il pianto, gli affetti, le passioni, la gioia, il dolore, tutto per farsi della psicologia di maniera, tutto per le esigenze della «posa» o della rima! Altro che insidia! L'anima di lei doveva essere uno di quei sapienti trabocchetti così ben celati sotto uno strato di rami e di foglie e così profondi e fatali... Fatali, ben inteso, per «gli altri», per gl’ingenui, per quelli che credono...

Nel piccolo salone si ballava, ora, un boston: nel largo ritmo, un po' triste, le coppie giravano, lente, con un sommesso scalpiccio sull'impiantito che aveva una lieve oscillazione. Scendevano, ancora, per i fianchi del monte, nuvole grige, ma più lentamente, quasi cullate dall'onda della musica: tintinnavano, ai vetri delle finestre, le prime gocce di pioggia. Egli si volse indietro; ella era sempre là, seduta in un cantuccio della sala, guardando macchinalmente le coppie, forse senza vederle.

Nella luce che scemava, la massa dei capelli oscuri pareva più bruna, più severa, come una di quelle classiche chiome botticelliane che incorniciano bianchi visi di vergini pensose; e la piccola bocca, un po' scolorata, era alquanto dischiusa, come una bocca innocente di bimbo, in un'attitudine di ingenuità e di stupore, insieme.

Gli parve, così, meno pericolosa e meno falsa di quel che egli l'avesse pensata; la vide sola, abbandonata dall'unica amica che avesse, forse, lassù, dalla vivace e bruna contessa Moraldi, che s'era abbandonata tutta all'ebbrezza del boston e girava, girava, appoggiata languidamente a un grosso e rosso maggiore di artiglieria in borghese; e n'ebbe come un senso di pietà. Fece un passo innanzi, poi un altro: le fu accanto.

— La signorina è stanca?

Ella levò su lui gli occhi sereni: due grandi occhi trasparenti, tinti di mare e come il mare profondi e luminosi, due occhi che gli apparivano, ora, come non li aveva visti, poc'anzi, in quei lancieri ballati così a malincuore.

— Un poco. – disse – Ma preferisco di restare qui, spettatrice.

Vi fu silenzio. I grandi occhi guardavano, ora, ai vetri della finestra vicina, rigati da lunghe stille di pioggia. Egli riprese, dopo poco, con una certa fredda cortesia che sentì di doversi imporre:

— È da molto tempo qui?

— Da stamattina.

— Come me. E le piace l'Abruzzo?

S'aspettava una tirata romantica. Ella rispose, semplicemente, ma con una certa fierezza: – Sono abruzzese.

Allora, dopo una pausa, egli arrischiò la gran domanda, che gli fremeva dentro da un pezzo:

— La signorina è, dunque, una poetessa?

Ancora una volta i grandi occhi trasparenti si levarono su lui, ma con una certa espressione d'ilarità; la piccola bocca scolorata sorrise.

— Poetessa? – esclamò – Dio ne liberi! Lo lasci dire alla mia buona amica, e un po' mia parente, la contessa Moraldi, che lo fa per tormentarmi. – E aggiunse, con voce più bassa e più lenta: – Mi piacciono i versi degli altri, quando sono belli...

Egli la guardò, e volle dire a sè stesso: – Lo fa per posa, o per adularmi – Ma non riuscì a dirselo, e, cosa strana, ne fu lieto.

*
* *

La notte piovve moltissimo: ma, al mattino, il cielo era stanco di piovere e lasciò passare un barlume scialbo attraverso la nuvolaglia che era rimasta attaccata qua e là alle falde dei monti come il residuo di un esercito decimato dalla lotta e disperso per il campo di battaglia.

Nello Spera uscì molto presto e s'avviò su per la costa, camminando a caso, lieto di aspirare l'acre profumo della menta selvaggia, umida ancora.

La conoscenza della sera innanzi, quelle poche parole scambiate, quei commenti che egli aveva fatti, fra sè e sè, tutto ciò era stato quasi completamente dimenticato; la pioggia notturna pareva avesse cancellato ogni cosa dalla sua mente. Era, adesso, in lui, come una vaga tristezza; di quelle tristezze che dà all'anima un paesaggio autunnale, silenzioso, un po' grigio; di quelle tristezze che non danno dolore, ma assopiscono in una specie di sogno malinconico, cullato, ogni tanto, dalle rare voci lontane che salgono dalla valle, nella pace grande.

Egli «risentiva», adesso, il suo Abruzzo, solenne e maestoso, e lasciava passare nell'anima sua la mestizia dolce di quell'ora, andando in su, lentamente, col passo stanco di chi sogna.

A una svolta del viottolo scorse fra i cespi una veste oscura e si arrestò, un po' seccato: qualcuna era lì, a guastargli la dolcezza della solitudine e dell'assopimento tranquillo dello spirito.

Era lei.

Nello Spera si sentì tutt'a un tratto turbato e sconvolto da tutti quei pensieri che avevano turbinato in lui, la sera innanzi, e che ritornavano, ora, a frotte, come uno stormo di falchi che piombino insieme sopra una rupe sulla quale una preda sia apparsa. Pensò: – Essa è qui per fingersi artista; essa si buscherà un'infreddatura per avere la soddisfazione di «posare» a romantica... – Nella stizza che lo vinse, per poco non evitò di salutarla: fu, ad ogni nodo, un saluto assai freddo, il suo. La signorina Pia, che si era fermata anche lei, sola, stringendo un piccolo fascio di ciclamini nella manina inguantata, si volse e rispose con un lieve inchino. Parve che capisse i pensieri di lui, perchè mormorò, sorridendo un poco: – Ho avuto il torto di trovarmi sulla sua via, non è vero?

E come Nello, sorpreso, non ebbe tempo di rispondere, ella soggiunse: – Non si deve disturbare un poeta che sogna.

Egli allora protestò, per cortesia, ma la frase lo aveva scosso un poco; esitò, poi chiese, a sua volta:

— E lei, signorina, non sognava?

Ella rispose, semplicemente, alzando la mano che stringeva i ciclamini: – Coglievo fiori.

Nello fu tentato di domandarle un'altra cosa, ma tacque: forse pensò che non valeva la pena d'interessarsi tanto per lei. E, tuttavia, non sapeva decidersi a ripigliare il cammino.

La fanciulla era rimasta lì, tranquilla, senza nessuna soggezione, diritta nella semplicità della sua giubba grigia, di foggia maschile, un po' attillata, che disegnava la linea flessuosa della persona sottile. Ripresero, d'un tratto, la via insieme, come per necessità.

Il viottolo saliva, bianco di ciottoli, su per la costa verde; qua e là, fra i sassi, i ciclamini, a gruppi, levavano sull'agile gambo la testolina rosea, graziosa e gentile come una piccola coppa rovesciata; più in alto, presso alla vetta del monte, i faggi si tingevano di rossiccio, per l'inverno imminente. In un cespuglio di spini era un lieve cinguettìo di passeri e i rami nudi oscillavano, luccicanti di perline lasciatevi dalla pioggia, al saltellare dei piccoli uccelli, che non si vedevano.

Egli, per primo, parlò.

— Chi vi ha detto ch'io sognassi, signorina?

Subito dopo, la domanda sfuggitagli lo stupì; sentì, anche, con sorpresa, che era passato dal lei a voi.

La fanciulla tese il braccio, indicando il cielo, la montagna, la siepe dei passeri. – Tutto questo – disse.

— Avevate ragione – rispose lui, senza levare gli occhi – Ero triste.

Ella rispose: – Eravate solo.

Nello allora la guardò; ella non ne fu turbata. Una grande serenità era nei suoi trasparenti occhi di mare.

Ed egli allora chiese, un po' esitante:

— Credete voi, dunque, che in due non si possa esser tristi?

Pia sfogliò vagamente un ciclamino che sporgeva dal piccolo fascio; poi disse, con voce tranquilla:

— Si è tristi, qualche volta. Ma è più dolce, la tristezza che si può sentire in due.

Dalla valle venne un lieve scampanìo che si levò nel cielo pallido come un lontano canto di gioia; ella volse il viso, a sentire, e la mano che reggeva i fiori si abbasso, un po' stanca. Intorno ad essi, era la solitudine; solo, a un tratto, dalla siepe, si levarono due passeri, con un rapido frullar d'ali, e si gettarono, cinguettando, dietro una macchia di querciòle.

— E voi credete alla felicità? – chiese a un tratto Nello, per un impulso che gli venne dall'anima e al quale non seppe resistere.

La fanciulla guardò i fiori e rispose, calma:

— Io credo all'affetto.

La voce lontana delle campane tacque. Una luce diffusa pioveva dalle nuvole rade, e i faggi rossicci avevano foschi riflessi di rame, e i ciclamini parevano più pallidi, minuscoli visi di convalescenti, curvi sugli steli.

Egli ebbe una pausa di esitazione; poi mormorò, timidamente, quasi temendo di commettere un'indiscrezione:

— Voi dovete amare, signorina...

— Sono fidanzata – rispose.

Nello guardò a sua volta quei fiori che essa stringeva e disse, con un sorriso lieve, molto lieve: – Lo avevo pensato.

Poi soggiunse, a bassa voce, brevemente: – Anch'io.

*
* *

Tornarono in silenzio: pareva che ciascuno di loro avesse detto la parola della fine, che null'altro avessero da dire, mai; e, come giunsero all'Albergo, ciascuno si ritirò nella sua camera: Nello trovò una lettera; Pia si accinse a scriverla. E la visione di quel bianco viottolo di montagna, e il suono di quelle parole di cui poc'anzi era piena l'anima loro, tutto ciò disparve, a poco a poco, avvolto da un crescente velo di nebbia; e il ricordo di un vincolo d'affetto, dal quale ciascuno dei due era legato, attraverso le frasi affettuose che l'uno di essi leggeva, che l'altra scriveva, attraverso una folla di ricordanze e di impressioni rievocate da quelle lettere di fidanzati, trionfò, gradatamente. Un senso di calma li conquistò, come un dolce tepore di sole: era il cuore, che risentiva le sensazioni antiche e abituali, e, nello scorrere di quelle frasi sotto gli occhi dell'uno, sotto la penna dell'altra, si adagiava in un gran sogno di pace, con la certezza di un futuro sereno, atteso e immancabile.

Poi, quando l’una delle lettere fu letta, quando l'altra fu suggellata e consegnata al cameriere dell'Albergo, ciascuno di loro restò in camera, a fantasticare e, in quelle ore, parve che tutto si assopisse in loro, in un grande benessere dello spirito, che non aveva più battaglie da combattere.

A pranzo, stettero lontani; ma a sera si videro, sulla terrazza.

Scintillavamo le prime stelle, sulla montagna, e, nella serenità della notte incombente, si disegnava, nitido, preciso, il bianco viottolo serpeggiante su per la costa. E parve, allora, che con quella visione, dolce sotto le stelle, si risvegliasse il ricordo del colloquio che s'era scambiato, salendo fra i ciottoli dove i ciclamini sorgevano, a gruppi; e quelle parole suonavano chiare nella memoria. Esser tristi in due per soffrir meno: cercare la felicità nell'affetto: queste due confessioni sfuggite a un'anima Nello le sentì vibrare in sè, come una triste e soave musica lontana che l'anima sua riconoscesse, per aver sentita altra volta, in tempi lontani, dimenticati, sognati, forse...

Ripensò alla lettera che aveva ricevuta, poco prima; ma non trovò, in quel pensiero, nulla che gli facesse sentire la dolcezza di quelle note familiari e pure obliate, da tempo... Dunque, non era quella, la felicità? E, se era così, dove l'avrebbe cercata? E a chi? Si scosse, stupito di questa domanda che egli stesso s'era rivolta, e guardò la signorina Pia.

Essi poggiava i gomiti sulla ringhiera e, con la fronte fra le mani giunte, pareva dormisse. La chiamò: non intese. Ma Nello s'accorse che non dormiva: gli occhi, i grandi occhi di mare, sereni e profondi, fissavano qualche cosa, nell'ombra. Egli seguì quello sguardo: la striscia biancastra del viottolo di montagna si discerneva ancora, sotto il ciclo stellato. E d'un tratto uno strano desiderio lo vinse, un desiderio di piangere, di singhiozzare, di poggiare la fronte sulla spalla di qualcuno che potesse infondergli pace... Perchè, quello sconforto? Che cosa voleva, ora, l'anima sua? Di che era scontenta? Che cosa sognava?

Una voce salì, allora, nella notte: una giovane voce di donna che cantava, forse scendendo alla fonte, per acqua; e la voce si levava pura e cristallina, senza tremare:

— Te so' ito cercanno, amore amore,

pe te potè truvà spierto so' ito...

Era, nelle note limpide, la cadenza triste delle canzoni abruzzesi: la voce si perdeva, giù per la viuzza che scendeva a valle, fra le case del villaggio:

E quanne casa mia sì ritruvato

tu ce sì 'ntrato e i' me n'era scito...

— Troppo tardi, troppo tardi! – mormorò Nello, come rispondendo a qualcuno... – Si strappò bruscamente alla ringhiera e si volse per salutare. – Buona notte, signorina... – Vide, allora, che la fanciulla non si muoveva: le toccò lievemente il braccio, ed ella si scosse, ridestandosi. L'ombra della notte era intorno; ma in quell'ombra egli scorse che qualche cosa luccicava nei grandi occhi trasparenti, qualche cosa che tremava all'angolo delle palpebre.

Non osò domandarle nulla: solo, ripetette: – Buona notte.

Ella gli tese la manina, in silenzio: egli la strinse, poi aggiunse, dopo un istante, con voce un po' velata: – Parto domani.

*
* *

Quando Nello Spera, alle prime luci del giorno, schiuse l'uscio della sua camera per prepararsi alla partenza, mentre giù in cortile tintinnavano i sonagli della carrozza dell'albergo che l'avrebbe condotto alla lontana stazione, scorse sulla terrazzina, in fondo al corridoio, un'ombra che si disegnava, nella luce incerta.

Egli passò, con la piccola valigia a tracolla, senza far rumore per non destare gli altri ospiti dell'albergo, ma giunto innanzi al balcone dischiuso della terrazzina, si fermò, come trattenuto da una forza invisibile. E Pia D’Olmo, allora, venne a lui, lieve, silenziosa come un'apparizione.

In cielo era ancora una stella, assai grande, che impallidiva sempre più; nel corridoio, la fiammella del gas moriva, come stanca, con un palpito violento di luce turchiniccia. In quella penombra si strinsero la mano.

Ella parlò per prima: – Partite?

Egli chiese, con voce insicura: – Voi qua?

— Son mattiniera – fece la fanciulla, tentando di scherzare. – Anche ieri c'incontrammo assai presto per via...

— Ieri... – mormorò Nello, e tacque, vinto dal ricordo.

— Partite? – replicò lei, per rompere quel silenzio che li avvinceva entrambi con un vincolo strano e doloroso.

— Parto – egli rispose.

Poi, vi fu silenzio.

A tratti, i sonagli squillavano, nel cortile; si sentiva lo scalpiccìo del cocchiere e del facchino che trascinavano un grosso bagaglio: la fiammella del gas, nel corridoio, aveva gli ultimi guizzi lividi di luce.

Ed allora egli sentì che doveva parlare, che doveva dire l'ultima parola: e con un lieve affanno, con la voce che gli tremava un poco, parlò.

— Parto – disse – È necessario. Lo debbo. Anche voi l'avreste voluto. Ditelo: non è vero? È necessario ch'io parta, subito. Non dovevamo incontrarci: ci siano incontrati. Ed io ho inteso, in questo incontro, che la soglia della felicità era prossima. Potevo varcarla; potevamo varcarla. Non ho voluto; non dovevamo. Voi avevate data una parola: l'avevo data anch'io: la parola è sacra: il dovere ha vinta la felicità. Io ne piango, ma obbedisco. Voi non direte ch'io son pazzo. Io so che voi sentite quel che io sento, che voi volete quel ch'io voglio, e parto. Io non ho alcun diritto di interpormi tra voi e colui che amate: voi, tra me e l'altra, non siete, non «dovete» essere che un'intrusa... Sulla soglia della felicità, soltanto, ci siamo incontrati; ci separiamo. Ciascuno ritorni al suo dovere; ciascuno ritorni al suo destino. Addio.

Ella taceva, immobile, nella pallida luce; forse era l'alba che le scolorava il viso, così bianco fra le due bande di capelli oscuri, più bianco ancora per la luce dei grandi occhi di mare; forse era pallida anch'essa come lui.

— Mi approvate? – egli chiese, e la voce suonò come un gemito.

Ella gli tese le mani e le strinse; poi lo lasciò, d'un tratto e guardò intorno, al monte, al viottolo, al cielo smorto.

— Era necessario – disse.

Parve che qualche cosa si fosse spezzata, in quelle due anime. E si separarono, così, senz'altra parola.

Pia D'Olmo rimase ancora un istante alla terrazzina, col viso pallido rivolto alla pallida aurora: Nello Spera, al portone dell'albergo, mentre i cavalli s'avviavano, squassando le sonagliere, guardò la costa verde e i frassini rossicci, e la striscia bianca che saliva.

E nessuno dei due ebbe più una parola o un pensiero di rimpianto; e ciascuno ritornò verso il suo destino, verso quella via dalla quale un incontro, dovuto al caso, pareva li avesse distolti e verso la quale essi muovevano novellamente il passo, rassegnati in nome del dovere, rinunziando a qualche cosa che pareva, che era, forse, la felicità e che essi dovevano fuggire, poveri anelli dispersi di una sola catena che giammai, giammai, si sarebbe saldata.

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