Verso il Miraggio

...Passano a gruppi, a carovane, curvi sotto il peso delle bisacce sdrucite, facendo suonare gli scarponi ferrati sul lastrico di via Marina e del Piliero che il feroce male di luglio arroventa; passano, in branchi, come un gregge umano, un triste gregge di uomini, di donne, di fanciulli: uomini che la vampa ardente dei campi in mietitura riarse, che l'aratro incurvò, che il solco rese umili e pazienti; donne che conobbero l'asprezza del giogo, come bestie vaccine, che portarono il peso della legna sul capo, della soma sul dorso e dei figliuoli nel grembo con la stessa paziente rassegnazione di chi obbedisce a una legge fatale; fanciulli che, nati dalla zolla, vissero fra la siepe e il solco, come i serpenti e come le lucertole, e che già, a sette anni, strinsero la rude vanga con le piccole mani abbronzate o, chini sulla bruna terra avara, le strapparono, dal seno, il povero e stentato frutto nel quale – essi già lo sanno – è la Vita.

Vanno, tutti costoro, con uno stanco ballonzolare di spalle e di teste, urtandosi, spingendosi, ondeggiando qua e là, muti, impassibili, rischiando ad ogni passo di essere schiacciati da una di quelle pesanti vetture che trasportano i bagagli o travolti da un carrozzone di tram che passa veloce, scivolando sul lucido binario, come per una sfida a quella triste carovana che si trascina a piedi sotto il sole e nella polvere. E quanta ce n'è, di polvere, al passaggio di quelle pesanti scarpe ferrate! È un nembo, una nuvola fitta, densa, asfissiante: tutto quello che la larga via raccoglie d'ogni parte e in ogni modo, detriti, avanzi, granelli, corpuscoli impalpabili; polvere di carbone, lucida, nera, brillante, cascata giù dai carri, portata via dai piroscafi, spazzata dal vento; polvere fuligginosa, grassa, d'un nero d'inchiostro, piovuta giù dal fumo denso delle vaporiere e dei fumaiuoli di bordo; polvere di calce, bianca, accecante, dispersa dalle carriuole dei manovali, e poi sabbia, minuta, scricchiolante sotto i passi, e tutto quello che si spezza, si frantuma, si polverizza e che si accumula sulla via cadendo dall'alto, portato via dalle case e dai veicoli, trascinato dagli uomini o dal vento: tutto quello che v'è di più umile, e che si avventa sugli umili. È un nembo fitto, opaco, irrespirabile, che si caccia, così, negli occhi, nella bocca, nelle narici anelanti, e copre del suo strato grigiastro uomini e cose... Che importa? Essi vanno; curvi, silenziosi, stanchi, ma vanno, come spinti da una mano inesorabile. E i gruppi seguono i gruppi, i branchi incalzano i branchi, tutti indirizzati a una meta comune, tutti verso un sol punto, che li aspetta, laggiù: verso il Miraggio.

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Partono, così, giorno per giorno, a centinaia, i nostri contadini; mettono insieme poche lire e pochi cenci, e affrontano il viaggio, soli, talvolta, talvolta con la famiglia tutta. E il vecchio abbandona il focolare nero e cadente, innanzi al quale sognò tutti i sogni del suo crepuscolo, e la donna si stacca dall'alto e massiccio letto coniugale – unico suo orgoglio – che vide la gloria trionfale della sua prole infinita, e il giovane lascia la zolla rossiccia, che sa le ferite che la Possente mano di lui incise con l'aratro fecondatore e sa le canzoni che dal petto profondo di lui salirono in faccia alla cerchia dei monti, al ritmo del bidente che mordeva nel solco.

Nessun rimorso e nessun rimpianto, è in essi: la terra non dà più pane, il tralcio non dà più vino; o il pane è scarso e il vino è stentato; o, anche, di là dai monti e di là dai mari, una visione di prosperità assai più larga e più rigogliosa, di ricchezza infinita, un'abbagliante visione d'oro – fluente in lucide onde che scorrono a perdita d'occhio – sorride ad essi, con malìa irresistibile, e fa sentire loro amaro il sapore del pane nero e acre il gusto del vino che gemette dal grappolo della terra natìa.

Il Miraggio è là: ed è in una parola sola, che racchiude ogni speranza ed ogni promessa: la parola «America».

America? Quale? La popolosa ed industre America del Nord? La torbida e ormai esausta America del Sud? NewYork o Buenos-Ayres? Chicago o San Paulo? Essi non lo sanno; essi non sanno che questo: che laggiù è l'America, e l'America è il sogno, ed è, insieme, la realtà salvatrice.

Qualcuno, un agente, o il parente o il conoscente di un emigrato, gettò, là, nel paesello dell'Abruzzo o delle Puglie, la parola: ed essi si mossero, senza chiedere altro, senza indagare, fidenti in quella sola parola. E vennero in Napoli; e si imbarcano, oggi, così, cacciati nelle stive come bestie, l'una miseria a ridosso dell'altra, l'una speranza avvinghiata all'altra, e affrontano l'ignoto con la tranquilla rassegnazione degli umili che attendono in silenzio, e in silenzio, nell'ora suprema, piegano la fronte stanca alla morte vincitrice.

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Quale destino li aspetta? I giornali cittadini, le statistiche, le recenti circolari del R. Commissariato di emigrazione ce lo dicono, con una spietata crudezza: nell'America del Sud, nella Repubblica Argentina, sopra tutto, non c'è più lavoro: 160 mila operai, soltanto in questa repubblica, sono disoccupati, e, nella sola Buenos-Ayres, 40 mila. Altrove, con la mancanza di lavoro, è la peste o la febbre gialla che li decima. Nell'America del Nord l'industria trionfante uccide l'agricoltura: il fumaiuolo vittorioso sradica il tralcio e le braccia abbronzate scordano ha vanga.

E il Miraggio, a poco a poco, dilegua, e la triste realtà appare: la terra promessa non ha più raggi di sole e sfolgorii d'oro. È tutta una novella vita di lotte, di stenti, di sacrifizii, da iniziare, quando la speranza di lavoro c'è: e quando non c'è, le tristi carovane vagano, affamate, sul suolo straniero ed inospite, finchè il governo non cerca di rimpatriarle, restituendole alla terra che esse fuggirono in un'ora di scoramento del passato e di folle speranza nell'avvenire.

Ma il piroscafo che li riporta in patria s'incrocia, in pieno Oceano, con un altro piroscafo che muove per quel lido dal quale quello salpò: è un altro carico di emigranti, che muove, fidente, verso la meta sospirata: è un altro carico di sogni e di illusioni che solca le acque profonde. E i due piroscafi si rasentano, e quelli che tornano guardano quelli che partono, e le mani scarne si tendono dalle murate, come a trattenere la corsa pazza e cieca. È un momento solo; poi, ciascuno continua per la sua via, e dopo poco sul vasto specchio dell'acqua non sono che due punti neri, lontani l'uno dall'altro, e due pennacchi di fumo.

Una delusione e una fede: la scía delle due chiglie si fuse, poi tutto dileguò. Ma la visione di quelle scarne mani tese, in un muto appello disperato, già ha stretto il cuore, amaramente, a quelli che andavano, col sogno nell'anima; e già un fosco velario si è teso, lugubre vela, sulle antenne del piroscafo che muove incontro all'ignoto...

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Pure, anche in quelli che sono fortunati, che, con l'audacia o con la perseveranza, trovano lavoro e mettono da parte un buon gruzzolo, il ricordo del paesello natìo non si dilegua. La bianca chiesetta che li chiamò a sè, fanciulli, col dolce canto delle campane, e i campi verdi di grano, nel maggio odoroso, ritornano, spesso, alla mente di quelli che li lasciarono, da anni... E una nostalgìa si impadronisce di essi, a poco a poco. Essi risentono la dolcezza della capanna paterna e pensano che dev'esser grato, nell'ora suprema, posare la testa bianca sul guanciale del gran letto massiccio sul quale – tanti, tanti anni fa – si vide la luce. E scrivono alla moglie, che forse lasciarono in patria, o ad un parente o ad un amico, e gli chiedono se la terra, che essi coltivarono da coloni, si venda, se in patria ci sia una casetta o un pezzetto di terre da potersi acquistare. Talvolta, come nel mio Abruzzo natìo, lasciano appunto qualcuno della famiglia a coltivare la terra del padrone, perchè non passi ad altri coloni, e perchè sia più facile ad essi, un giorno, comprarla a suon di dollari dal signorotto di provincia che, stanco di oziare nel suo paesello, andrà a dissipare quei dollari, messi insieme con gli stenti e con le fatiche, nelle ebrezze del tappeto verde, alla più vicina città di bagni...

La terra ritorna, così, a chi la coltiva: è il socialismo applicato, non con le armi e con la violenza, ma col lavoro e col sacrifizio; e sia benedetto questo socialismo, che ridà alla patria quei figliuoli che se ne allontanarono.

Ma accanto a questi pochi, che si risollevano, quanti cadono, per non sollevarsi mai più! E le nude braccia dei contadini, che si tendono alla lancetta vaccinatrice, al momento di imbarcarsi, se sentono, con quella, innestarsi la rude energia che talvolta li salva e li fa vincitori, sentono, anche, insinuarsi il lento veleno che li ucciderà, forse, laggiù, lontani dalla terra natìa e sulla soglia del Miraggio, di quel Miraggio che la morte strappa ad essi e che non potranno raggiungere più, mai...

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