L’avocato fiscale della causa contro Ferrer fu il capitano Rafales, uomo acuto, integerrimo, giusto, energico, eloquente. Egli cominciò il suo discorso dimostrando nel modo più irrefragabile che i disordini di Barcellona avevano tutti i caratteri di una vera insurrezione a mano armata. Perciò la causa che si doveva promuovere nei riguardi dei colpevoli era di competenza del tribunale militare a norma delle leggi vigenti, che non patirono mai, nè possono patire eccezioni di sorta. Ferrer fu giudicato dalla Corte Marziale come sarebbe stato giudicato qualsiasi altro delinquente sul quale fossero pesati gli stessi crimini. La stessa procedura seguita altre volte in consimili circostanze non diede mai luogo a recriminazioni di sorta da parte di nessuno.
Dopo questa premessa l’avvocato fiscale passa a domandarsi chi fosse il capo dell’insurrezione. E risponde così alla questione: «Il comandante, il superiore o il capo di una insurrezione è colui il quale cerca chi deve agire, spinge e dirige gli altri, alza la voce, indica e distribuisce mezzi destinati all’esecuzione del piano prestabilito. Se tale è il carattere del capo di una ribellione, si può sostenere che ne fosse investito Francisco Ferrer? I fatti seguiti corrispondono ai suoi disegni e alle sue istruzioni? La prova di tutto questo esiste negli atti processuali?»
A questa seconda questione l’avvocato fiscale è in grado di rispondere, con piena coscienza, affermativamente; e si accinge a dimostrarlo dietro la scorta delle testimonianze, che non potrebbero essere più convincenti e decisive, sopratutto perchè introdotte nella causa anche da persone che la pensavano come Ferrer. Le loro deposizioni acquistano quindi un valore di veridicità che non potrebb’essere infirmato. Altre testimonianze furono poi prestate da persone che offrivano le più serie garenzie.
L’avvocato fiscale comincia a citare la deposizione del tenente colonnello della guardia civile, signor Leonzio Ponte, il quale attesta che Ferrer prese parte attiva ai moti di Masnou e Premia, invitando altresì i suoi partigiani ad accorrere a Barcellona «per difendere i loro fratelli». Il tenente colonnello notò ancora che la «Fraternità repubblicana» di Premia poteva essere considerata il quartiere generale dei sediziosi e degli incendiari.
Vi è poi un noto giornalista, Manuel Jmenes Moya, testimonio non sospetto, perchè, in causa delle sue idee, fu confinato in Maiorca. Egli depose che, secondo la sua opinione personale, il segnale della rivolta partì dalla «Solidarietà operaia» nella quale erasi tenuta una riunione clandestina. I capi della «Solidarietà» inviarono poi varii dei loro delegati in alcune località per fomentare l’insurrezione, che doveva essere diretta da Ferrer e da altri suoi compagni appartenenti alla Lega antimilitarista.
Il consigliere comunale signor Narciso Verdagner Callès afferma su informazioni ch’egli crede di poter chiamare esatte, che le sollevazioni scoppiarono per iniziativa e sotto la direzione degli elementi più o meno anarchici. Questi elementi erano guidati da Francisco Ferrer e da un giovane professore di lingue, certo Fabrè. L’accusa è assodata maggiormente dal signor Giovanni Alsina Estival, consigliere di Premia. Questi fin dalla sua prima deposizione, resa davanti al giudice istruttore, fissa il carattere grave che assunsero gli avvenimenti di Premia dopo l’arrivo di Francisco Ferrer e il suo colloquio con l’Alcade. I conterranei del medesimo teste affermano che un’ora dopo la partenza di Ferrer cominciarono a manifestarsi le violenze.
Il signor Valentino Alonso, tenente dei carabinieri, dichiara a sua volta, che, allontanatosi Ferrer, il movimento rivoluzionario assunse un aspetto diverso da quello che aveva prima: anche il signor Adolfo Cesa e il signor Paolo Reic Cesa affermano concordi che, dopo il colloquio con Ferrer, i rivoluzionari presero un altro orientamento.