IL BEL GESTO

(25 OTTOBRE 1909)

Aristotele ha dichiarato l’uomo un animale socievole: non basta; vi è una categoria particolare, quella dell’uomo evoluto, che ha bisogno di qualche cosa, oltre che della società: ha bisogno di un piedistallo. Un palmo di tavola sopra due puntelli, una seggiola, magari una botticella vuota, gli bastano, per questo; purchè sia più in alto della folla e possa al momento opportuno, fare «il bel gesto».

L’uomo evoluto è un animale che ama di posare: ecco la definizione esatta. Un tempo, posava per l’incisore o lo statuario; più tardi ha posato per il fotografo: oggi posa per il cinematografo; in ogni caso, egli posa per la storia. E il momento buono arriva sempre per tutti, ed è quasi sempre un momento cattivo per gli altri. I gabbiani appariscono sul mare quando la tempesta infuria e l’onda si avventa schiumosa alla scogliera; l’uomo che ama di posare monta sul piedistallo quando sulla folle passa un’altra tempesta, e azzarda il gesto. V’è sempre, ai giorni nostri, un cinematografista di passaggio, per coglierlo e consacrarlo ai posteri, e, quando non v’è, si trova sempre un reporter vagante, che fissa nelle linee stampate del suo giornale l’avvenimento.

Il gesto, sogno ed orgoglio del grande guascone, nei sonanti versi di Edmondo Rostand; conforto di chi non ha altra ricchezza da lasciare ai posteri, perchè ne onorino la memoria; voluttà di chi chiede a prestito all’eroismo, per cinque minuti, il suo mantello, e se ne drappeggia!

All’uomo che posa non importa sempre di avere una pagina nei libri di testo per le scuole; basta, il più delle volte, avere un periodo nella gazzetta ebdomadaria del proprio paese e fare le spese delle conversazioni serali nella patria farmacia per quattro o cinque giorni. Egli era vissuto per quaranta o cinquant’anni ignorato: ed ecco che l’ora buona è arrivata e il gesto lo ha rilevato agli occhi del pubblico. Ora, il suo nome è letto nei caffè o ripetuto tra una pestatina nel mortaio e un’ebollizione di radici per decotto.

Ogni pretesto è buono, per il nostro eroe: una sventura, un delitto, una sommossa, qualunque cosa che rimescoli il fondo torbido delle acque che hanno stagnato a lungo. Egli pensa che, dopo tutto, Robespierre è diventato illustre per aver gesticolato, in un certo giorno, dalla tribuna, agitando in un certo modo i merletti della manica; e Desmoulins, e Saint-Just, e lo stesso Marat sono stati – pensa lui – dei «posatori» fortunati. Oggi, egli tenta alla sua volta la prova: non ha una rivoluzione francese a disposizione, ma ha intorno a sè il fermento delle masse inconscie che una sapiente agitazione massonica ha spinte oltre gli argini, come torrenti in piena, per protestare contro l’esecuzione di un anarchico spagnuolo. E si serve di questo fermento, per concimare la sua vanità. L’occasione è troppo bella per tacere: il piedistallo è di facile costruzione, perchè basta montare sulla schiena del primo fracassatore di fanali che passa. Ed egli vi monta.

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Quanta gente non si è servita del fenomeno Ferrer per farsi un quarto d’ora di réclame? Da quelli che hanno firmato dei manifesti di protesta a quelli che sono saliti in cattedra per fare delle concioni, è tutta una schiera di piccoli uomini e di figure ignote che è venuta a galla, con la schiuma del torrente che passava. Ma v’è un minuscolo gruppo che merita una menzione speciale, v’è un pugno di «protestanti» ai quali val bene la pena di consacrare venti linee di stampa, ed è quello degli spagnuoli... onorari. Otto o dieci persone, in questi giorni, si sono ricordate, d’un tratto, di essere state nominate, cinque anni fa, dieci anni fa, chi sa perchè, vice-consoli spagnuoli di una cittadina di provincia; quattro o cinque persone di quelle che, per solito, fanno collezione di ciondoli, e tempestano di lettere i deputati amici, e gli impiegati dei ministeri, e le segreterie delle ambasciate per avere un nastrino, una crocetta, una stellina, si sono rammentate di avere, in fondo ad un cassetto odorante di naftalina, una decorazione spagnuola, piovuta chi sa in qual modo. Nessuno dei nuovi amici lo sapeva, nessuno dei vecchi se ne ricordava più; tanto meglio: ecco l’occasione per fare il gran gesto. E questo gruppo di valentuomini ha sentito improvvisamente il rossore montargli alla fronte e lo sdegno salirgli ai precordi; e si è detto, ad alta voce,         innanzi allo specchio, per studiare l’effetto: – Questa nomina, questa croce non possono restare un momento di più in casa mia! Esse personificano la Spagna, terra che, come ora ho scoperto, è di barbarie e di sangue, e in cui pare che un tempo, come ho appreso dai giornali, c’è stata l’Inquisizione. Tutto questo mi si è nascosto, per farmi cadere nel tranello, mi si è mandato il brevetto; ma la verità viene sempre fuori. Io non voglio avere più nulla di comune con te, Spagna! Lo spettro di Ferrer si interporrà sempre, inesorabile barriera, fra te e i miei ideali!

A questo punto, parecchi di costoro si saranno domandati, in un raccoglimento di cinque minuti, quali fossero, veramente, questi ideali: ma hanno concluso che dovevano averne senza saperlo, perchè ogni uomo li ha, come monsieur Jourdan del Molière faceva la prosa, perchè ogni uomo ne fa.

Dopo di che, pienamente rassicurati, hanno scritta una bella nonchè sdegnosa lettera all’ambasciatore di Spagna e hanno rinviato brevetto ed insegne. Soltanto, hanno avuto cura di passare, prima, con la lettera ancora dissuggellata e col pacco postale ancora aperto, per la redazione di un giornale amico.

Il giorno dopo, tutto il mondo civile conosceva «il bel gesto!»

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Cara e grande nazione che serbi ancora intatta la tua bella fede, cara nobilissima terra di Spagna, che ogni giorno dài novelli eroi al tuo esercito, tra le schiere dei principi – Carlo, Filippo, Ranieri e Gennaro di Borbone – e nella oscura folla del popolo, e continui serena e forte per la tua via, sdegnosa del vano agitarsi delle nevrotiche sorelle latine, vinte da un’ebrezza malefica che le prime piogge hanno già spenta, che importa a te questo piccolo sprezzo di piccola gente?

Chi respinge le cariche che tu gli hai date, chi rimanda indietro le tue onorificenze, confessa di sentirsi indegno di esse. Tanto meglio! Serbale per i tuoi figli, o Spagna, per i tuoi soldati, che vanno a combattere intrepidamente col tuo nome sulle labbra, che muoiono con la faccia al nemico, avvolti nella tua bandiera gloriosa. Serbale per chi sa quello che esse ricordano, quello che esse dicono, quello che esse valgono, per chi sa conquistarle col sangue, come i padri, e con l’opera assidua; per chi sa difenderle, per chi sa difenderti, con la spada, con l’azione, col cervello. Serbale per chi adora in te la Madre sua, per chi lavora alla tua grandezza tenacemente, fervidamente. Lascia che si stacchino pure dal tuo fianco i parassiti; tu, sola e sicura, procedi sul tuo cammino, con la fede nei tuoi destini e nel tuo Re!

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