I.

Georgette disse: – Tocca a te.

Marie cercò di ritrarsi, ma le altre furono più svelte ad afferrarla.

– Adesso non metterti a starnazzare come un’oca!

Marie aveva tutte le intenzioni di farlo, se solo l’angoscia non le avesse strozzato la voce in gola.

– Avanti, poche storie! – sbraitò Georgette, mentre le altre la sollevavano di peso.

Marie lottò con tutte le sue forze, ma la presa era stretta, ai polsi, alle caviglie, e le pareva che lo diventasse sempre di più. Il ghigno di Georgette, sopra di lei, era mostruoso. La piegarono in avanti, chiudendole il collo nel buco. Le legarono i polsi dietro la schiena. Lei provava ancora a urlare, ma non emetteva suono.

Le sollevarono la sottana e le scoprirono le terga. La prima frustata risuonò secca ma il dolore arrivò dopo, come se le avessero posato sulla pelle una lama infuocata. La seconda fu anche peggio, perché ormai sapeva cosa l’aspettava. La terza, la quarta... Marie perse il conto, non aveva il tempo di riprendere fiato, era certa di soffocare, ma improvvisamente i colpi cessarono.

Sollevò la testa e davanti a lei c’era un uomo. Marat. Pallido e seminudo, solo uno straccio legato sui fianchi.

Disse: – Non lei, sciocche. Me.

In quel momento una freccia lo colpì al petto. Una seconda lo prese alla spalla. La terza si piantò nel fianco. Cadde in ginocchio, tutto bucato come un sansebastiano.

Marie si tirò su di scatto. Poteva sentire il proprio ansimare, mentre cercava di riempirsi i polmoni. Sollevò le mani. Erano libere. Il bruciore al fondoschiena era scomparso. Bastien dormiva beato li accanto. Un lieve chiarore oltre il vetro rivelava che doveva essere quasi l’alba.

Le occorsero alcuni minuti per calmarsi. Soltanto allora si alzò e andò a bagnare il viso al catino. La sensazione che altre volte l’aveva colta sembrava essersi moltiplicata, diffusa all’intorno, come se non si accontentasse più di ghermire lei, ma volesse saturare lo spazio e toglierle l’aria.

Spostò un cesto di gomitoli e pezze di stoffa e sedette sulla sedia, le mani in grembo. Avrebbe voluto riflettere su quel che le stava succedendo, ma non si sentiva in grado di farlo.

– Mamma...

Si riscosse. Bastien la osservava seduto sul letto.

Marie ordinò al ragazzo di andare dall’altra parte della strada, dalla signora Medon, a prendere un po’ di latte per la colazione.

Quando il ragazzo tornò, Marie aveva ravviato un po’ di brace e mise a scaldare il latte. Ci sbriciolarono dentro due gallette secche e mangiarono in silenzio. Tre colpi alla porta li spinsero ad alzare gli occhi dalle ciotole. Marie fece cenno al figlio di andare ad aprire.

La sagoma di Treignac si stagliò sull’uscio.

– Buongiorno.

– Non c’era bisogno che passavi a prenderlo. Veniva da solo, – disse Marie mentre riponeva le stoviglie.

L’uomo si tolse il cappello e fece un passo dentro la stanza.

– Lo so. Son qui per parlare con te. Si può?

Marie gli indicò la sedia e Treignac la raggiunse impacciato.

– Vai a farti un giro, tu, – disse rivolta al figlio. – Ma lascia la porta aperta. Sennò chissà che pensano le malelingue.

Il ragazzo obbedì.

Marie raccolse i ferri da maglia, si mise un gomitolo in grembo e prese a lavorare.

– Ti ascolto.

Treignac parve riflettere su come cominciare.

– Jacques non torna più, lo sai.

Marie non batté ciglio, continuando a incrociare i ferri.

– Mi dispiace, – riprese Treignac. – Davvero. Era un bravo patriota, pure con del sale in zucca. Faceva da padre al ragazzo...

– Questo lo so già, Treignac, – lo interruppe lei. – Sei venuto a dirmi cosa?

– I tempi sono quelli che sono, – riprese il poliziotto. – Io credo che non devi restare da sola con il ragazzo. Credo che hai bisogno di un uomo accanto.

– E saresti tu? – chiese Marie.

Treignac annuí.

– Non fare finta. Lo sai che da sola è difficile.

– Me la cavo da me, non vedi? – disse lei.

Tuttavia, mentre lo diceva, sollevò lo sguardo e Treignac vi lesse un’incrinatura, qualcosa che fino a poco tempo prima non ci sarebbe stato.

– Te la cavi, sì. Ma per quanto ancora? – Treignac fece un cenno in direzione della porta. – Sta succedendo di tutto. Se vivessimo assieme o fossimo sposati potrei occuparmi non solo di Bastien, ma anche di te.

Attese una delle sue stilettate velenose, ma non arrivò.

– Grazie dell’offerta, – disse invece Marie. – Ci penserò su. E grazie per quello che fai con Bastien. Ti chiedo di tenerlo a dormire da te stanotte. Io vado al club dei giacobini.

Treignac sospirò.

– Finirai per cacciarti nei guai, vero?

Marie si alzò e andò a prendere un gomitolo di colore diverso. Quindi si rimise al lavoro.

– Nei guai ci siamo già, Treignac. Tutti quanti. È così che deve essere. È la rivoluzione.

Lui annuí. Raccolse il cappello e se lo calcò in testa prima di raggiungere la porta.

– Pensaci davvero, Marie. Arrivederci.

Quando fu uscito, Marie rallentò il ritmo del suo sferruzzare, fino quasi a fermarsi, ma subito riprese con nuova lena, e un’espressione più determinata sul viso.

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