I.

Si piange tutti. Uomini, donne, bambini e bacucchi. Si piange tanto che la Senna si gonfia, pure col secco che fa. Chi si sgargarozza per strada, chi si stirpa i capelli, chi tira fuori lo schioppo e se ne va in giro come a dar la caccia a qualcheduno. Ma stavolta non sono gli Austriachi che arrivano; non sono gli Albioni che sbarcano; non sono i baciapile in Vandea, e manco i traditori girondini che alzano la testa.

Questa volta è una donna.

La baldracca. La saloppa impestata. La troia normanna. La serpe velenosa che è strisciata fino al petto del Grand’uomo.

Ce lo fissiamo bene in testa il suo nome inseculinculorum.

Charlotte Corday.

La femmina.

Non ci si può fidare di una femmina. È così dai tempi di Eva.

Gli è entrata in casa con l’imbroglio, cianciando che doveva incontrare l’Amico del Popolo e dirgli che lassù a Caen, nel bucodiculo da dove viene, i girondini sono in armi per marciare fin qua. E lui, chiuso nella sua bagnarola, costretto dalla rogna a scrivere e mangiare a mollo come una rana, non l’ha mica scacciata, ché il suo uscio era sempre averto per i cittadini che tenevano alla patria. E la troiaccia infingarda e smerda figlia d’un frate e d’una monaca ha tirato fuori un coltellaccio da cucina e gliel’ha ficcato nel petto.

Cosi muore Marat. Morso da una cagna lercia, allevata dai preti per azzannare a comando. Un’invasata, che vede santi e madonne a dirle d’accoppare quello e quell'altro. Pare che dopo è rimasta fermimmobile a fissare il niente, come se la mente le fosse scappata via. E la gente voleva mangiarla, l’assassina, non lasciarne manco un pezzetto, piluccarle anche l’ultimo ossicino e cacarla il giorno dopo di buon’ora, ma le guardie l’hanno tirata via, perché deve confessare chi l’ha mandata, chi l’ha convinta a morire per scannare Marat. Dopo si che le tagliano la testa e noi ci pisciamo sopra.

Intanto si piange. Pure i grandegrossi, pure la ceffaglia della rivagoscia, e i borseggiatori dei mercati, ché a Marat volevano bene tutti, perché non ha mai preso un soldo, perché sempre per i poveracci ha parlato e scriveva delle cose che sembravano scritte con la baionetta anziché con la penna.

Il corpo lo si voleva vedere tutti, ma Robespierre ha detto che è estate, fa caldo, meglio di no, si faccia un bel funerale. Ma pure il funerale, non esageriamo, ha detto, ché qua siamo appesi per la lingua, bisogna stare all’erta, pensare alla patria. Epperò almeno il funerale.

Cosi, stasera, Parigi intera viene a onorare l’Amico del Popolo, il tribuno della plebe, il martire martoriato. Zittizitti, con le fiaccole, le coccarde, fascia e faccia a lutto. Non manca nessuno. E se qualcuno manca, non ci mancherà.

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