6.

Il destino volle che Orphée d’Amblanc e padre Clément non giungessero mai a Aurillac.

All’alba del giorno dopo, un pastore sceso al lago per abbeverare le pecore scoprì il cadavere del prete che galleggiava nell’acqua. Era annegato. Come avesse fatto a uscire di casa nottetempo, eludendo la sorveglianza dei piantoni, rimase ignoto. Le guardie giurarono di non averlo visto. Né si seppe come mai il curato, invece di darsela a gambe, avesse deciso di recarsi al lago. Quando la verità sul caso raggiunse la voce popolare, qualcuno ipotizzò che Clément si fosse tolto la vita, oppresso dal rimorso e dalla vergogna. In cuor suo, D’Amblanc formulò un’ipotesi diversa, e cioè che gli uomini della famiglia Chalaphy avessero capito tutto e si fossero fatti giustizia da soli, forse pagando la complicità di Feyfeux o dello Sfregiato. Ma gli altri? I parigini? Erano rimasti a guardare? Quando si trovò faccia a faccia con Radoub, nel suo sguardo lesse qualcosa che seminò in lui il dubbio. Qualcosa che gli ricordò il commento del sergente davanti alla spoliazione e mutilazione dei cadaveri dei briganti, pochi giorni prima. «Lasciateli fare, cittadino. Lo ritengono un loro diritto, e in effetti lo è». Aveva detto così, il buon Radoub, e il suo era il tono di chi osserva i costumi di una popolazione selvaggia. «Non sappiamo quali odi attraversino queste terre». Era vero, pensò D’Amblanc. Lui stesso aveva provato una rabbia sorda davanti al male, e non era che un viaggiatore in transito, giunto dalla capitale e destinato a ritornarci; non avrebbe dovuto convivere con le conseguenze di quanto era successo, come invece quella gente. Di tutto questo non disse niente a Radoub. Aveva il sentore che non ce ne fosse bisogno.

Più tardi, quel mattino, padre Ledoux si recò all’alloggio di D’Amblanc. Lo fece per augurargli un buon viaggio e certo il dottore non era tanto sprovveduto da non capire cosa quell’augurio sottintendesse. L’affare Chalaphy era concluso. Il paese doveva leccarsi le ferite.

– L’anima di Clément è davanti al giudizio di Dio, ora. Il male deve essere lenito, – disse Ledoux. – La vostra presenza non farebbe altro che perpetrarlo.

– Io sono qui per compiere un’indagine scientifica. Devo chiedere alla ragazza di fare uno sforzo di memoria, per ricordare le terapie a cui la sottoponeva il cavaliere d’Yvers.

Il vecchio prete lo guardò con aria accondiscendente.

– Era appena una bambina, cosa pretendete che possa ricordare? Rassegnatevi: a nessuno di costoro importa della vostra indagine e della vostra scienza. Soprattutto se dovesse interporsi tra il crimine e il ritorno alla vita di sempre.

– Eppure dovreste saperlo: la vita di sempre è finita, – ribattè piccato D’Amblanc. – Tutto sta cambiando.

Ledoux annuí.

– Cosi pare. Tuttavia non potete imporre da solo il ritmo del mutamento. Gli Chalaphy non vi faranno mai più avvicinare a Noèle. La vostra indagine non ha speranza, cittadino D’Amblanc.

Il sergente Radoub premeva per ripartire alla svelta, perché quel posto non gli piaceva: metà del villaggio stava con i brissotini e la presenza di un delegato parigino con la sua scorta armata era come una bottiglia di alcol vicina a un falò. L’aria plumbea che incombeva sul paese rendeva nervosi anche gli altri uomini della scorta. I due alverniati erano i più impazienti.

D’Amblanc ruppe gli indugi, il gruppo si rimise in viaggio.

Estratto da

«IL PAPÀ DUCHESNE»

pubblicato a Parigi da Jacques Hébert

(n. 260, 17 luglio 1793)

II gran dolore del papà Duchesne

a proposito della morte di Marat

assassinato a colpi di coltello da una garza del Calvados, il cui mandante era il vescovo Fauchet.

I suoi buoni consigli ai bravi sanculotti perché si tengano in guardia, dato che a Parigi ci sono parecchie migliaia di cornuti della Vandea che si fanno ungere le sgrinfie per sgozzare tutti i buoni cittadini.

Marat non è più, cazzo. Gli aristocrassi sono al culmine della gioia, i buoni cittadini, disperati, vanno a piangere sul letto del loro vero amico. Io non fui tra gli ultimi a recarmi là, cazzarola, e assistetti all’interrogatorio della puttana. Ha la dolcezza di una gatta che usa la zampa di velluto per meglio sgraffignare, e non pareva più turbata che se avesse fatto la migliore azione. Il commissario le domanda il suo nome. Risponde di chiamarsi Charlotte Corday, figlia di un gentiluomo, e vuota tranquillamente il sacco, ammette di essere venuta a Parigi solo per ammazzare Marat, che ritiene il nemico della patria, e si rallegra di averlo sgozzato. Se avessi potuto fare di testa mia, avrei fatto carne da pàté di questa tigressa. Che t’aveva fatto Marat? Tu menti quando dici che lo consideravi un nemico del tuo paese, perché tu stessa l’hai riconosciuto come un buon cittadino e un bravo culo, dal momento che per incontrarlo hai cercato di suscitare la sua pietà. La perquisiscono, le trovano le tasche ben guarnite di pezzi grossi e falsi assegnati. Risponde su tutto con sicurezza e se ne va in prigione tranquilla, come se andasse a un ballo. Questo colpo qui non sarà l’ultimo che i nostri nemici devono infliggere ai patrioti. Gli stessi gianfotti che tante volte hanno incitato al saccheggio, non hanno altro mezzo per mettere Parigi sottosopra che di massacrare al dettaglio i buoni cittadini. Per questo io li invito a stare in guardia, a proteggere i veri amici del popolo. Sfortunatamente, il loro numero è modesto. Pensateci bene, sanculotti, che se Marat e Robespierre non fossero esistiti, voi non avreste più libertà di quanta ce n’è sotto la mia mano.

Io spero, cazzarola, che i nostri fratelli di provincia, che si sono lasciati infinocchiare, tornino sui loro errori. Allora vedranno da che parte sono i pugnali. Ecco già due deputati sgozzati dai brissotini, e i brissotini vivono ancora, non si sono presi nemmeno un cricco. [...] Che si elevi allora una tomba per l’Amico del Popolo, che i suoi resti preziosi vi siano esposti alla vista dei cittadini; che sulla stessa piazza e in faccia alla tomba si eriga il patibolo per Brissot, Fauchet e la normanda. Ma la ghigliottina non è davvero abbastanza per punire i traditori, ci vuole un nuovo supplizio, più terribile e più infamante, e uguale al crimine, se possibile, cazzarola!

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