– Chi vi ha insegnato a sonnambulizzare? – chiese D’Amblanc.
Juliette Tourlan lasciò passare qualche istante prima di rispondere.
– Non capisco.
Era in piedi accanto alla figlia, le teneva una mano sulla spalla, e ogni tanto le dita scorrevano sulle punte dei capelli.
– Quello che fate alla bambina, – spiegò D’Amblanc. – Chi ve l’ha insegnato?
– Nessuno.
– Mentite.
– Il Signore non vuole che io menta. Nessuno mi ha insegnato.
– Avete visto farlo? – insistette D’Amblanc.
Questa volta la donna annuí.
– Siete stata sonnambulizzata in passato?
Un altro assenso.
– Da chi?
– Dal cavaliere d’Yvers.
Come Noèle Chalaphy, pensò D’Amblanc. Dunque era questo che faceva Yvers, metteva alla prova le proprie doti di magnetista sui contadini. Le parole di Mesmer gli rimbalzarono in testa. «Oggi avete visto un nobile magnetizzare einen Bauem, un contadino. Ma avete mai visto un contadino fare lo stesso a un nobile?»
– Yvers vi faceva addormentare? Vi parlava?
– Era la voce di un angelo... – rispose Juliette Tourlan con aria sognante. – Volevo ascoltarla per sempre. Mi parlava di Dio. E anch’io gli parlavo. È lui che mi ha insegnato a parlare bene e io l’ho insegnato a Margot. Ha aiutato la mia famiglia. Mi ha infuso la gioia.
D’Amblanc meditò su quelle parole. Avvertiva la presenza di Radoub, alle sue spalle, a pochi passi di distanza. Pareva che evitasse persino di respirare.
Madre e figlia lo fissavano, gli occhi dell’una erano la copia in miniatura di quelli dell’altra. D’Amblanc avverti ancora una fitta al costato e subito una seconda alla base del collo. Barcollò, ma riuscì a rimettersi dritto.
Streghe. Nei secoli oscuri le avrebbero bruciate sul rogo. Oggi si trattava di decidere se mandarle alla ghigliottina o in un sanatorio per alienati. Gli sovvenne un pensiero.
– Come è morto il padre di Margot? – domandò con voce soffocata.
– Non ho detto che è morto, – rispose la donna.
– Avete detto che è con Dio.,
– L’angelo è tornato a Dio.
Un’altra carezza sui capelli neri della figlia.
D’Amblanc senti un brivido crepitargli nella schiena. Ebbe la sensazione che anche Radoub avesse sussultato.
– Intendete dire che Margot è figlia...
– Dell’angelo. Si. Per questo ha il dono.
A Radoub scappò un’imprecazione a mezza voce.
– La preveggenza?
– La Vergine ci parla per bocca di Margot. Cosi sappiamo di chi possiamo fidarci e di chi no.
– Di noi cosa vi ha detto? – chiese D’Amblanc.
– Che il male che portate consuma voi stessi.
D’Amblanc si alzò e raggiunse la finestra, nel punto dove il soffitto era più basso. La luce cominciava a calare, e le persone là fuori prendevano l’aspetto di sagome vaghe, confuse con le loro ombre allungate. L’effetto era quello di creature gigantesche e smilze che si protendevano sulla via del paese.
– Perché non avete un parroco? – chiese.
La donna non rispose.
D’Amblanc si voltò verso di lei.
– Dov’è il parroco?
– È morto.
– Come il sindaco. Di cosa?
Ancora silenzio.
Radoub tossi nervoso, ma D’Amblanc fece finta di non averlo sentito.
– Cittadina Tourlan, ve lo chiedo ancora: di cosa sono morti il sindaco e il parroco?
La donna non rispose.
Un cenno di Radoub, che nel frattempo si era spostato a un’altra finestra, attirò l’attenzione di D’Amblanc.
– Là fuori hanno acceso delle torce. Scende il buio. Non mi piace per niente.
D’Amblanc guardò. Gli parve che i paesani si fossero avvicinati all’ingresso dell’abitazione. Un mormorio indistinto, una litania, si alzava dalla piccola folla. Forse una preghiera.
La scala cigolò e Thuillant si stagliò sulla porta.
– Sergente, è meglio se calate dabbasso.
Radoub si voltò verso D’Amblanc.
– Per l’ultima volta... – disse questi alla donna. – Di cosa sono morti il sindaco e il parroco?
– Era un prete falso, – sibilò la bambina.
D’Amblanc fu colto alla sprovvista.
– Mandato qui per conto della repubblica, – aggiunse la madre. – Il sindaco diceva perfino di essere lui, la repubblica.
La litania saliva dalla strada sempre più forte.
– Li hanno uccisi loro! – ringhiò Radoub.
Un bagliore giallo riverberò sulla finestra.
– Andiamo via, D’Amblanc.
La litania saliva dalla strada, sempre più forte.
D’Amblanc sembrava catturato dalle due figure che aveva davanti. Lo colpì una fitta più intensa delle altre, che lo lasciò senza fiato. Si piegò e cadde seduto per terra.
La litania saliva dalla strada. Sempre più forte.
Radoub lo aiutò a rialzarsi, fece per trascinarlo via, ma D’Amblanc opponeva resistenza.
Arrancò verso la donna e la bambina.
Juliette allungò una mano ad accarezzargli il viso.
– È stata la Vergine a dirci di farlo, – disse.
– Devi liberare anche lui, mamma, – mormorò Margot.
La preghiera era ormai il rombo di una marea montante.
Thuillant tornò sulla porta e gridò che dovevano andarsene subito. Radoub prese a trascinare D’Amblanc, che faticava a reggersi in piedi.
– Devi farlo, mamma, – ripetè la bambina con gli occhi accesi di una luce nera. – Liberali tutti.
Juliette andò alla finestra e la spalancò sulla folla.
– Margot ha detto di liberarli! – gridò.
Una piccola selva di torce circondò gli uomini della scorta che difendevano l’uscio. Radoub scese le scale con D’Amblanc e giunto in fondo lo caricò sulle spalle dello Sfregiato, mentre gli altri tenevano lontana la gente spianando le armi. Feyfeux colpì una donna con il calcio del moschetto e quella crollò a terra. Gli uomini approfittarono del parapiglia per aprirsi un varco e fuggire.
Juliette Tourlan gridava ancora dalla finestra.
D’Amblanc, sballottato sulla schiena dello Sfregiato, vedeva la donna capovolta, come fosse appesa a un cornicione. Un pipistrello strillante.
Corsero fino alla canonica e si barricarono là dentro. Gli uomini si misero alle finestre con le armi spianate, mentre D’Amblanc veniva steso sulla panca.
Radoub ordinò allo Sfregiato di strofinargli i piedi, lui prese a sfregargli le tempie.
I paesani ci misero poco a presentarsi sullo spiazzo là davanti. Non avevano solo torce, ma anche forconi, falci, mannaie. Iniziò un lancio di pietre e zolle incendiate contro le finestre.
Dall’interno, Ipoulidor e Feyfeux esplosero alcuni colpi che fecero arretrare la canea. D’Amblanc si liberò dalla presa dei due uomini e strisciò fino alla finestra. Scorse Juliette in mezzo alla folla. Non poteva distinguerne i tratti, ma era come se la donna lo stesse guardando.
– L’Angelo può liberarvi dal male, – gridava. – Voi lo sapete. Non resistetegli.
A D’Amblanc parve che i dolori cessassero, per poi ricominciare più forti di prima, fino a farlo contorcere.
– Vieni. L’Angelo può guarirti. Ha guarito tutti noi.
II dolore divenne insopportabile. D’Amblanc estrasse una delle pistole e fece per puntarsela sotto il mento. Radoub lo fermò e gliela strappò di mano.
Ripresero a massaggiargli le estremità finché la crisi non raggiunse il suo picco e fece sputare fuori l’anima a D’Amblanc con quanto fiato aveva in corpo.
In quell’istante il cielo tuonò.
Il boato dei paesani si mescolò allo schianto del campanile che crollava sullo spiazzo. Non pochi vennero schiacciati. D’Amblanc vide la sagoma di Juliette sparire sotto una nuvola di polvere e detriti. La gente prese a fuggire in tutte le direzioni, ma i più si buttarono in ginocchio a pregare.
Il secondo rombo aprí uno squarcio sul tetto della chiesa.
Il terzo centrò lo spiazzo davanti all’edificio e fece a brandelli altra gente.
Radoub diede l’ordine agli uomini di uscire. Lui e lo Sfregiato sollevarono D’Amblanc e corsero lontano dalla canonica, in tempo per vedere una quarta e una quinta cannonata distruggere ciò che rimaneva di quel lato del paese.
Appoggiato a un albero, D’Amblanc riprese fiato. Feyfeux e Thiullant li raggiunsero trascinando con sé i muli e i cavalli. Il chiaro di luna rendeva ben visibile il paese di Malacarne che veniva sbriciolato. I lampi sul crinale della collina indicavano la posizione delle batterie. Radoub decise di allontanarsi ancora. Muoversi in mezzo alla boscaglia, e con le bestie al seguito, fu una tortura. A D’Amblanc sembrò di vivere il proprio incubo, con i rami che gli graffiavano il corpo e la faccia, mentre si teneva stretto all’arcione, piegato in avanti sul collo dell’animale. Gli altri procedevano a piedi, sfruttando quel poco di luce lunare che si intrufolava là sotto, spinti dalla paura e dalla disperazione.
Poulidor venne mandato in avanscoperta e tornò dopo mezz’ora, dicendo che si trattava di un contingente di giubbe blu della Repubblica. Decisero di attendere nel bosco la fine del bombardamento. D’Amblanc sbirciava i pezzi che tuonavano uno dopo l’altro. Quando i colpi cessarono, iniziò l’incursione. I soldati risalirono il versante e piombarono sul paese. Le due ore successive furono un susseguirsi di ordini, grida, legno sfondato, spari, fuoco, altre grida.
Uno spettacolo al quale D’Amblanc e la scorta assistettero muti, come in attesa del proprio stesso destino. La luna era ormai alta nel cielo, quando decisero di palesarsi. A scanso di equivoci, mentre uscivano dall’intrico di rami intonarono La Marsigliese.
Gli artiglieri e i fanti li circondarono e li scortarono fino a un piccolo falò in mezzo alle macerie del campanile, intorno al quale si radunava un capannello di facce logore e mal rasate.
D’Amblanc trovò la forza di porgere all’ufficiale in comando la lettera del comitato. Il giovane che la ricevette si rivelò essere il generale Nanterre in persona.
– Da dove venite? – domandò.
– Da qui, negoddio! – rispose Radoub. – Quando avete iniziato a cannoneggiare ci siamo messi in salvo nel bosco. Per poco non ci restavamo sotto.
– Malacarne è un covo di partigiani della monarchia, –disse l’ufficiale. – O almeno lo era, – aggiunse. – Ci è stato segnalato che il villaggio dava asilo a un gruppo di scampati dell’esercito cristiano del Mezzogiorno.
– Ne siete sicuro? – chiese D’Amblanc con un filo di voce.
Il giovane sorrise sconsolato per la sua ingenuità.
– Questo non è un posto né un tempo dove si possa nutrire il dubbio troppo a lungo.
Alla luce di una lanterna da campo, D’Amblanc osservò meglio il viso del generale. Il suo sguardo era quello di un vecchio.
CONVENZIONE NAZIONALE
Estratto dalla seduta del 5 settembre 1793
(anno II della Repubblica francese, una e indivisibile)
barère, a nome del comitato di salute pubblica Da molti giorni, tutto sembrava annunciare una sommossa dentro Parigi. Lettere intercettate, dirette all’estero oppure ad aristocratici residenti in Francia, dichiaravano lo sforzo costante dei loro agenti affinché ci fosse una sommossa in quella che essi chiamano «La Grande Città». Ebbene l’avranno, questa sommossa... [Si alzano vivi applausi] ma l’avranno organizzata e regolarizzata da un esercito che eseguirà finalmente quel gran motto che dobbiamo al comune di Parigi: «Mettiamo il Terrore all’ordine del giorno». E così che spariranno in un istante i monarchici, i moderati e la turba controrivoluzionaria che agita la città. I monarchici vogliono il sangue? Ebbene, avranno quello dei cospiratori, dei Brissot, delle Marie Antoniette. Da domani, il comitato vi proporrà il modo per avere à Parigi un esercito rivoluzionario di seimila uomini e duecento cannoni [Applausi].
jeanbon saint-andré C’è un’altra misura da prendere. Esiste a Parigi una classe d’individui che, malgrado la debolezza del loro sesso, fanno molto male alla Repubblica. Corrompono i giovani, e invece di renderli vigorosi e degni degli antichi Spartani, ne fanno dei Sibariti, incapaci di servire la libertà: intendo parlare di quelle donne impudiche che fanno un vergognoso commercio dei loro fascini. È una peste della società, e ogni buon governo dovrebbe bandirle dal suo seno. Domando che il comitato di salute pubblica esamini se non sarebbe utile soffocare questo germe di controrivoluzione, deportando oltremare le donne di malavita [Applausi].
Una delegazione delle tre sezioni di Sant’Antonio domanda giustizia contro coloro che hanno ingannato il popolo sulla situazione degli approvvigionamenti di Parigi. Noi non abbiamo servitori, dice l’oratore, per andarci a cercare il pane; sono le nostre donne a farlo, e molte hanno perduto la vita alle porte dei fornai. Preghiamo l’assemblea di decretare che cento uomini per sezione percorrano le campagne e facciano eseguire la legge che ordina l’esportazione dei grani nelle diverse regioni della Repubblica.