Cavalcavano da giorni in silenzio, curvi sotto il peso del viaggio e scambiandosi solo le parole necessarie. Persino Feyfeux aveva smesso con le sue litanie. In compenso, Thuillant produceva un lieve e costante ringhio rivolto al mondo attorno, come un cane teso ad abbaiare contro una minaccia. Lo Sfregiato, sulla sua nuova cavalcatura, un cavallino di montagna che a stento reggeva il peso, teneva il moschetto di traverso sull’arcione, pronto a fare fuoco. Poulidor apriva la strada, e spesso smontava da cavallo per osservare i segni sul terreno.
Il sergente Radoub cavalcava con la mano sull’impugnatura della pistola, come a cercare rassicurazione in quella presenza.
D’Amblanc curava l’irrequietezza ascoltando il dolore del proprio corpo. Dal costato si era diffuso alla spalla e iniziava ad arrampicarsi lungo il collo. Erano anni che il male non si ripresentava in forma tanto estesa. Covava il sospetto di quale fosse il motivo, ma ancora stentava ad ammetterlo. Il paesaggio era sempre più ostile. Dopo avere attraversato un tratto di terreno vulcanico, costellato di orridi e crateri, erano ridiscesi sull’altro versante dell’altopiano, immergendosi in una foresta, la più fitta che D’Amblanc avesse mai visto. No, non era esatto. In America ne aveva attraversate di altrettanto fitte e anche più estese. Forse era quella la ragione del suo male. Era di nuovo in America, di nuovo sottoposto alla fatica delle marce, di nuovo sotto il peso grave di un destino incerto che poteva celarsi dietro ogni cespuglio. Questo risvegliava nel corpo la memoria delle sofferenze patite nel nuovo mondo.
Notava come il sergente Radoub lo seguisse da vicino, il muso del cavallo a fare capolino sul suo fianco destro. In un’occasione il reduce lo sorresse, quando stava per scivolare giù di sella.
D’Amblanc stringeva i denti e proseguiva, come aveva fatto da giovane medico del reggimento del re, quando aveva dovuto riportare a casa sé stesso.
Stavano entrando in una zona sulla quale avevano informazioni confuse e discordanti. Qualcuno diceva che era una enclave girondina; altri sostenevano che parecchi scampati dell’esercito cristiano del Mezzogiorno avessero trovato rifugio in quei boschi.
Il giorno prima avevano incrociato un posto di blocco militare. I soldati della Repubblica stavano perquisendo il carro di una famiglia di contadini, in cerca di merce imboscata.
D’Amblanc aveva osservato le facce stolide dei villici che attendevano in fila al lato della strada, dal capofamiglia ai bambini. Non avrebbe saputo ipotizzare cosa stessero pensando dietro quei volti inespressivi. Pareva non pensassero affatto.
Mentre i militari controllavano le sue credenziali, D’Amblanc aveva chiesto loro di quale reggimento fossero e aveva scoperto che si trattava di un battaglione di reclute dell’ultima leva, agli ordini del generale Nanterre.
«Mai sentito», aveva commentato Radoub.
«È generale solo da un mese».
«Quanti anni ha?»
«Ventiquattro. Il generale di prima è scappato con i girondini».
Il militare aveva chiesto dove fossero diretti.
«Andiamo in un piccolo paese che si chiama Malacarne».
Il soldato aveva fatto mente locale ma non era riuscito a ricordare dove si trovasse. Poco male, aveva detto D’Amblanc, possedevano una mappa.
«È oltre la foresta».
«È la zona peggiore. Ci sono i monarchici laggiù». Poi aveva aggiunto: «Fate attenzione. Il battaglione si muove in fretta».
D’Amblanc non aveva inteso cosa il militare volesse dire. Aveva salutato e la piccola compagnia d’uomini era sfilata davanti alla famiglia di contadini seduta sul ciglio della strada.
Si erano inoltrati nel bosco, lungo un sentiero insidiato dalla vegetazione, che sembrava volerlo divorare.
D’Amblanc immaginava gli uomini di quelle lande più impegnati a resistere alla pressione della natura che a decidere chi dovesse governarli, se un tiranno o loro stessi.
Transitarono davanti a due cadaveri, gonfi e dilaniati dagli animali notturni. Poulidor fu il primo a notarli, ma il fetore era talmente intenso che non ebbe bisogno di avvertire la compagnia. Tennero i fazzoletti sulla bocca e sul naso. Le carcasse erano stese una accanto all’altra, sul bordo del sentiero, come se qualcuno ve le avesse lasciate a bella posta. Thuillant diede di stomaco, senza nemmeno smontare.
L’immagine si stampò nella mente di D’Amblanc: i tratti del volto indistinguibili ormai, niente scarpe né zoccoli, niente borse né camicie. Oltre agli animali della notte, qualcun altro aveva visitato i cadaveri, senza prendersi la briga di seppellirli. Non lo fecero nemmeno loro. Tirarono diritto fino al tramonto, quando si accamparono di nuovo sotto le stelle, in prossimità di un torrente che serpeggiava in mezzo alla foresta.
Gli uomini ne approfittarono per bagnarsi e lavare via il sudiciume del viaggio. Allestirono un magro pasto, mentre D’Amblanc si distendeva, trattenendo il fiato per il dolore.
Radoub preparò il giaciglio accanto al suo.
– Quanto credete di potere andare avanti?
– Cosa intendete dire? – ribattè D’Amblanc.
– Intendo dire che il laudano è finito.
– Posso farcela. Stringerò i denti.
Gli occhi acquosi di Radoub luccicavano ai raggi della luna.
– Sono soltanto vecchie ferite o avete anche qualche osso fuori posto?
D’Amblanc senti la voce riaffiorare dal pozzo dei ricordi, inconfondibile.
Aus meinen Händen...
– Le ossa non c’entrano. Sono i ricordi.
– I ricordi?
Dalle mie mani das Fluidum... il flusso investirà l'ostacolo e lo spazzerà via.
– Una volta un uomo mi ha detto che a riaprire le cicatrici sono i ricordi cattivi. Lui riusciva a mandarli via senza bisogno di ricorrere al laudano.
– I brutti ricordi fanno male soltanto al cuore, – ribattè Radoub. – Avete male al cuore?
D’Amblanc ci pensò un istante, quanto bastò a ricordare un profumo e un paio di occhi verdi.
– Forse si.
Il sergente sospirò. La stanchezza gli segnava il viso impietosa.
– Che vi è successo in America?
– Durante un trasferimento gli indiani ci attaccarono e fui catturato, – rispose il dottore.
Radoub grugni.
– Ricordo bene gli indiani. Alle volte ho dubitato che appartenessero al genere umano. Sono capaci di cose indicibili...
– Non sono diversi da noi, – replicò D’Amblanc. – Sono simili nel bene e nel male all’uomo come doveva essere nei giorni in cui il mondo era agli inizi. Simili nella mentalità ai nostri contadini e pastori più poveri. Ciò che fecero a me non è dissimile da quello che potrebbero farvi i bifolchi della Vandea o anche quelli di qui.
Una fitta lo costrinse a interrompersi, troncandogli il fiato in gola.
Radoub non si mosse, si limitò a scrutarlo con severità.
– Sono convinto che sarebbe meglio tornare indietro.
– Non adesso, – ribattè D’Amblanc ritrovando la voce. –Non ancora.
– Accidenti, D’Amblanc... – obiettò l’altro, ma venne interrotto.
– Sono io il capo della missione. La decisione spetta a me.
– Io però vorrei riportarvi a Parigi tutto intero.
D’Amblanc trasse alcuni respiri profondi.
– Se dovessi avere una crisi, dite agli uomini di strofinarmi le tempie e i piedi con vigore.
Il sergente mormorò qualcosa tra sé e sé, quindi si voltò su un fianco per provare a dormire.