5.

La carne di maiale rosolava sulle braci, gocce di grasso risvegliavano piccole fiamme.

L’orologio di San Palpano segnava le quattro, ma Bernard la Rana non dormiva. Chino davanti al fuoco, girava lo spiedo, pensando all’ultima volta che aveva cucinato un arrosto così. Roba di quando era ancora viva sua moglie. Adèle dormiva nell’altra stanza. Non aveva voluto svegliarla a un’ora così tarda, preferendo arrangiarsi con la brace.

Quella notte, un colpo di fortuna. Erano ancora in pochi, alla fila per il carbone – Bernard, quattro megere e un vecchio rimbambito – quando dal vicolo era sbucato un gecco che si guardava intorno a sparaguai. L’uomo teneva sulle spalle una carcassa. Fossero stati altri tempi, lo si poteva prendere per un assassino che cercasse dove nascondere il cadavere della vittima. Ma visto l’andazzo degli ultimi mesi, nessuno s’era fatto venire il minimo dubbio: quello era un macellaio che aveva preso accordi con un qualche gianfotti per portargli a casa un intero porcello, invece di venderlo al mercato al prezzo stabilito.

Corrergli dietro e incantonarlo era stato facile, ma poi il gecco s’era mollato il porcello dietro le spalle e per difenderlo aveva estratto una canna, che però non gli era servita a tenere lontano i calci di Bernard e la famigerata «mossa della rana» alla quale si doveva il suo soprannome: entrambe le mani appoggiate a terra, per spingere le gambe con più forza sulla faccia e sul petto dell’avversario. Un colpo che sembrava preso a prestito più dagli asini che dai batraci, ma il prestigio del lottatore aveva impedito a chiunque di paragonarlo a un somaro.

Il gecco era finito con il mento sul porfido, di fianco ai lardi del suo caro porcello. Quindi Bernard s’era fatto portare un coltellaccio e aveva fatto in pezzi la carcassa seduta stante, tenendo per sé la parte del leone. Né il vecchio né le donne se l’erano sentita di protestare.

Giunto a casa, aveva deciso di ritardare il suo secondo sonno per prepararsi uno spuntino come si deve, altro che pane e cipolla.

Ora l’arrosto era quasi pronto. Bernard controllò la cottura con un forchettone. Mentre cercava il coltello per tagliare un primo assaggio, senti passi pesanti sulle scale di fuori e, come faceva sempre in quei casi, agguantò il candelabro e andò ad aprire la porta per dare un’occhiata.

Un uomo grondante d’acqua, i capelli incollati alla fronte e le scarpe coperte di fango scendeva nel sottano. Si voltò verso la luce e Bernard lo riconobbe.

– Che hai combinato? – domandò.

– Un bagno nella Senna, – rispose Léo balbettando per il freddo.

– Per smaltire la sbronza?

– Per non farmi ammazzare.

Bernard alzò il candelabro sopra la testa e guardò meglio l’italiano. Tremava come un cencio steso in un giorno di brezza.

– Vieni dentro e togliti quella roba, – gli disse. – C’è il fuoco acceso.

Mentre Léo si spogliava e strizzava i vestiti sul pianerottolo per non infradiciare tutta la stanza, Bernard gli lanciò una coperta. Tolse l’arrosto dal fuoco e lo ravvivò con gli ultimi sterpi rimasti in fondo alla cassa.

Léo avvicinò una sedia al camino e ci si annidò come un piccione bagnato, il panno tirato su fino alle tempie. Tossì e sputò sul pavimento, per non infierire sulla fiamma timida che dava almeno un’impressione di calore. Bernard la Rana gli porse una forchetta con un bel pezzo di carne.

– Gli amici di Soncourt, – spiegò Léo masticando. – Quando sono arrivato alla Porta San Martino, erano lì ad aspettarmi.

– Tutta la ghenga? – chiese Bernard.

– Una decina. Con mazze e lame. Ho provato a sfumarmi per i vicoli del quartiere, ma ogni volta che svoltavo, me ne trovavo due di fronte. Alla fine, mi sono scapicollato al ponte di Nostra Signora.

– E ti ci sei nascosto sotto?

– Al contrario, l’ho imboccato. Una metà m’è venuta dietro, gli altri han preso il ponte del Cambio per aspettarmi sulla sponda opposta. Mi sono messo tra due fuochi. L’ho scampata saltando in acqua. Se poi sapevo anche nuotare era la fuga perfetta. Invece ho rischiato di annegare –. Il ricordo dell’impatto con l’acqua del fiume scatenò un brivido nel corpo di Léo. – Non avresti un po’ di vino? – domandò al padrone di casa.

Bernard aprí la credenza e gli versò un mezzo bicchiere di rosso. Quindi sedette di fronte al camino, come dovesse riflettere su qualche oscuro dilemma.

– È per la faccenda di Soncourt, – disse Léo in tono amaro, prima di tracannare il vino.

Bernard assunse un’espressione torva, accentuata dalle ombre che il fuoco gli proiettava sul viso.

– Le cose sono cambiate. Sarebbero cambiate anche se non conciavi Soncourt. Ora che il gatto è stato accoppato, i topi vengono fuori dalle fogne e si mettono a ballare. Quella gente vuole prendersi le strade. E sulla strada ci sei tu.

Léo dovette reprimere la rabbia e la frustrazione che gli salivano in gola.

– Cosa dovrei fare? Nascondermi? Andarmene? – domandò esasperato.

– Non hai molta scelta, – rispose Bernard rimestando le braci con l’attizzatoio. – Come contro Soncourt. O rinunci e sparisci, oppure li metti sotto prima che loro mettano sotto te.

– Fare la guerra uno contro cento? – ribattè Léo. – È una follia.

– Infatti non te lo consiglio. Fossi in te farei fagotto e me ne tornerei in Italia.

Léo rimase colpito da quelle parole. In un attimo si ritrovò davanti a Mingozzi, nella tenuta del conte Albergati. Il vecchio mentore gli dava il viatico che l’avrebbe portato a Parigi, sulle tracce di Goldoni, in realtà in fuga dalla sventura.

Bernard si avvicinò al candelabro e spense tre fiammelle su quattro. Le candele distribuite dalla sezione bruciavano in fretta, e una volta finite, non c’era garanzia di trovarne altre.

– Io me ne vado a letto, – annunciò. – La pancia piena mi ha fatto venir sonno. Quando hai finito di scaldarti, spegni tutto e chiudi la porta.

Léo annuí, mentre fissava le braci come per trarne un vaticinio.

Cinque minuti più tardi dormiva stravaccato sulla sedia.

Estratto da

«CORRIERE REPUBBLICANO»

Decadì 20 brumaio, anno III della Repubblica (lunedi, 10 novembre 1794)

Ieri sera, a Palazzo Egualità, s’era sparsa la voce che la società dei giacobini echeggiava di mozioni incendiarie contro i rappresentanti della nazione e che si discuteva il modo di sottrarre alla giustizia Jean-Baptiste Carrier, il più sanguinario di tutti i terroristi, responsabile dei massacri di Nantes e della Vandea.

Gli spiriti si scaldano, l’indignazione è al culmine e, all’istante, una colonna considerevole di cittadini, che presto s’ingrossa lungo il cammino, si porta verso il luogo delle sedute della società, al grido di «Viva la Convenzione!» e «Abbasso i giacobini!»

Si penetra all’interno e qualche donna, tra le cosiddette devote di Robespierre, viene schiaffeggiata e pure scudisciata, mentre le altre scappano lanciando alte grida.

All’interno della società, la cittadina Crassous sviene, il presidente si nasconde, ma tutto ciò non impedisce al tumulto di aumentare. Si lanciano pietre che rompono i vetri e rotolano nella sala.

La società fa una sortita; si combatte alla porta con esito incerto. I giacobini fanno pure dei prigionieri e li mettono sotto la propria protezione, sistemandoli a fianco del presidente con un berretto frigio in testa. Nel mentre, alcuni associati si dànno alla fuga con le donne, e sono accolti dal popolo con grida, costretti a marciare tra la folla, in mezzo a un corteo di tre o quattromila persone che li coprono di obbrobri. Per evitare le frustate, le devote giurano di non essere della società, mentre i giacobini ricevono qualche schiaffo e calcio in culo di passaggio.

Questa scena tragicomica è terminata grazie all’intervento dei rappresentanti del popolo, giunti in pompa magna, accolti da attestati di rispetto per la Convenzione nazionale.

I deputati hanno arringato il popolo e gli hanno fatto osservare che la costituzione consente la riunione delle società popolari. La risposta è stata che nessuno ne voleva alle società, ma solo ai giacobini, uomini sanguinari, sempre in rivolta contro la Convenzione, pur fingendo di rispettarla e obbedirle.

Grida di «Viva la Convenzione» si sono di nuovo fatte intendere per ogni dove.

I rappresentanti, soddisfatti, hanno invitato i cittadini a ritirarsi e un istante dopo tutto era calmo.

Share on Twitter Share on Facebook