Il cavaliere d’Yvers terminò la lettura del foglio quotidiano, e subito volle ricominciarla daccapo, partendo da testata e frontespizio. Era necessario soppesare e valutare ogni parola, ogni punto, ogni virgola. Non solo necessario, ma doveroso: quel lungo articolo era stato scritto per lui. Il giornale stesso era andato in stampa per lui. Mille copie in giro per Parigi, vendute al freddo e al gelo da un esercito di strilloni, affinché una raggiungesse lui.
Quale sperpero, pensò Yvers. Quale onore, da parte di gentaglia che d’onore era priva. Era ancora soltanto un avvertimento? O era già la dichiarazione di guerra? Nell’un caso o nell’altro, tutto procedeva. Il grande giorno era in arrivo.
Si mise più comodo in poltrona, e tornò a studiare la missiva inviatagli dal potere termidoriano, al tempo stesso in segreto e coram populo.
«L’ORATORE DEL POPOLO»
di Fréron
deputato alla Convenzione nazionale
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Che ai cenni della mia voce la Francia si risvegli
Senato, sii attento. Popolo, porgi l’orecchio
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Prezzo: tre soldi n. LVIII del 3 nevoso
mezzi astuti impiegati dai faziosi per assicurarsi l’impunità dei loro crimini.
confutazione delle seguenti dichiarazioni gravi: esiste una fazione dittatoriale dell’opinione pubblica; l’opinione pubblica è in controrivoluzione.
pericoli di agitazione monarchica in seno alla coraggiosa gioventù di Parigi, contro la quale è necessario vigilare.
– Mio signore...
Yvers alzò lo sguardo dal giornale. Sull’uscio c’era La Corneille. Anche l’uomo senza naso aveva in mano un foglio, ma arrotolato e legato da uno spago. Nessun sigillo.
– Si?
– Questa è la pianta che avete chiesto. C’è ogni dettaglio. Non solo della Torre, ma di tutto il complesso.
– Molto bene, La Corneille, – disse il cavaliere. Si alzò e prese il rotolo. – Puoi andare.
Rimasto di nuovo solo, Yvers posò l’oggetto sul tavolo, senza aprirlo. Tempo al tempo. Dopodiché, tornò a sedersi e riprese la lettura.
Le frasi erano fuochi d’artificio inumiditi, che stentavano a prendere il volo e scoppiavano a un palmo da terra. Era lo stile di Fréron. In superficie, il deputato si difendeva dagli attacchi delle altre correnti termidoriane, colpiva a destra e a sinistra, faceva professione di fedeltà alla Repubblica; sotto il primo strato, diceva a lui, a Yvers, che aveva tirato troppo la corda.
L’Armata dei Sonnambuli era crudele.
L’Armata dei Sonnambuli seminava il caos.
L’Armata dei Sonnambuli metteva in grave imbarazzo i politici che usavano i muschiatini come milizia.
E il grave imbarazzo si stava trasformando in grave pericolo.
Torniamo a quella che è stata definita «la fazione dittatoriale dell’opinione pubblica». Sotto questo nome si vogliono indicare principalmente questo giornale, «L’oratore del popolo», e i suoi amici nella Convenzione nazionale e nella gioventù. Vi è chi opera per farci desistere dall’onorevole e doloroso compito che ci siamo imposti di fronte ai nostri concittadini. Per ottenere ciò, non si rinuncia a un solo mezzo e ogni trucco viene impiegato. Mentre si interviene a gran voce contro di noi alla Convenzione, in segreto si cerca di dividerci. Traditori e mestatori ci accerchiano, per alienarci gli uni dagli altri, gettando discredito sulle persone che le circostanze ci portano a impiegare nella nostra intrapresa. Piccoli Machiavelli da anticamera, macchinatori mediocri e gelosi, essi vogliono disunire i patrioti. Costoro sfruttano alcuni sfortunati eccessi compiuti dalla gioventù nella sua opera mondatrice, nel suo lavoro quotidiano di mozzare le velenose code del robespierrismo, dopo che la giustizia repubblicana ne ha mozzato le teste; essi ingigantiscono tali eccessi e sbraitano la ridicola accusa, l’odiosa accusa: «L’oratore del popolo» dà ordini alla feccia! Dalle sue pagine il deputato Fréron invia monarchici e addirittura criminali mesmerizzati a incendiare, terrorizzare i foborghi, uccidere impunemente!
Quale turpe rovesciamento della verità, quello di rinfacciare il terrore a chi si impegna a ripulire le strade dal terrorismo. E quale mancanza di vergogna, nel ripristinare all’uopo vecchi allarmi, vagheggiando di controrivoluzioni dei sonnambulisti, per aizzare contro di noi i buoni abitanti dei foborghi.
Ipocrita commediante, pensò il cavaliere d’Yvers. Per ogni dove, uomini in maschera e pagliacci. Gli ultimi atti della Grande Parodia.
Sappiano i traditori che tutto questo non servirà a niente. Il popolo di Parigi sa riconoscere le serpi, e le schiaccerà, come va schiacciando, giorno dopo giorno, l’irriducibile robespierrismo.
È senz’altro vero, lo abbiamo detto, che vi sono stati eccessi. Azioni che hanno recato danno alla nostra causa e alla lotta della gioventù; azioni che vogliamo definire spropositate, perché non vorremmo mai sospettare in esse un proposito, un intento inconfessato: gettare sulla nostra opera il manto dell’ignominia.
Se davvero per le strade della capitale, nelle file di quella che è stata chiamata Gioventù Dorata, vi fossero fautori del restauro della monarchia, e addirittura nuovi o vecchi fedeli del prerivoluzionario credo mesmeriano, si tratterebbe di una cospirazione ancor più viscida e serpentina di quella che stiamo denunciando.
Sia chiaro a tutti: noi esortiamo a vigilare e, se necessario, epurare. Noi siamo i primi e più grandi difensori della Repubblica sul fronte interno. L’abbiamo difesa e la difendiamo dal robespierrismo; l’abbiamo difesa e la difenderemo da monarchici e quant’altro.
Presto il governo si sarebbe mosso contro i sonnambuli. Il cavaliere d’Yvers lo aveva previsto, e perseguito, e aveva già pronta la nuova mossa.
La Francia intera si sarebbe fermata, sbalordita e sconvolta, all’arrivo della più grande notizia dalla morte di Luigi. Il mondo sarebbe rimasto a bocca aperta.