2.

Palazzo Egualità non era mai stato il genere di luogo che D’Amblanc amasse frequentare. L’amore mercenario lo rattristava, il lusso dei ristoranti gli pareva uno spreco, il gioco d’azzardo risvegliava le sue cicatrici. A maggior ragione, dopo tutto quel che era accaduto.

Ma Chauvelin gli aveva rivelato che l’Armata dei Sonnambuli faceva capo a un custode del palazzo, l’uomo col naso di cuoio. Sicuramente La Corneille era solo un intermediario tra il cavaliere d’Yvers e le sue milizie. Immaginava che i due si incontrassero, di quando in quando. E il cavaliere aveva certo bisogno di una base per le sue magnetizzazioni collettive. Da un monarchico che aveva eletto a rifugio l’ospizio di Bicêtre, ci si poteva ben attendere che scegliesse Palazzo Egualità come sede dei suoi intrighi. Nascondersi nel luogo più ovvio era una strategia di cui aveva già verificato l’efficacia.

Ecco perché, da un po’ di tempo, D’Amblanc frequentava i caffè sotto le arcate e i tavoli sparsi nel giardino. Trovava penoso muoversi tra muschiatini e mervegliose, con la loro parlata demenziale, la violenza che accumulavano e avrebbero scaricato al calar del sole, la nostalgia per un tempo ingiusto e vigliacco. Non era che una versione diurna del Ballo delle Vittime.

No, così non andava bene.

Non andava bene che quasi ogni catena di pensieri portasse infine a quella sera. Alla donna a braccetto con Armand Chauvelin. A Cécile che gli diceva: «Dio solo sa quanto avrei voluto essere Olympe de Gouges. Sono riuscita soltanto a essere la vedova Girard».

Per distogliere la mente da quelle frasi, D’Amblanc si concentrò su chi aveva intorno. L’attenzione divenne un temperino, col quale intagliò e acuminò il proprio disprezzo verso gli Incredibili.

Per alcune settimane erano sembrati confusi, quasi sul punto di sbandare. Scaramouche ne aveva messi fuori combattimento almeno una ventina, notte dopo notte, storpiati, mutilati, uccisi in un susseguirsi di imboscate. Tuttavia, negli ultimi tempi, le azioni dell’uomo in maschera si erano fatte più rade. Precisamente, dopo l’attacco dell’Armata dei Sonnambuli alla Gran Pinta di Sant’Antonio, ovvero: proprio nel momento in cui veniva più invocato.

Bisogna fargliela pagare. Ci vorrebbe Scaramouche. Ci penserà Scaramouche. Mi sa che cercavano Scaramouche. Dov’era Scaramouche? Hanno sfidato Scaramouche.

Non vi era dubbio che Yvers avesse alzato il livello dello scontro. Forse l’eroe col mantello stava meditando su come rispondere.

Quale che fosse il motivo, i muschiatini avevano t’atto un sospi’o di sollievo, ed e’ano to’nati a sta’nazza’e.

– Occhi aperti, Jean. Vedrai che questa è la volta buona.

– Dite sempre così, – protestò il ragazzino. – Comincio a pensare che non lo incontreremo mai.

– Ma no, ma no. È solo che deve aver cambiato indirizzo e così non riesco più a contattarlo. Sta’ tranquillo, lo troveremo. Intanto cosa prendi, una cioccolata?

D’Amblanc fece segno al cameriere e gli affidò le ordinazioni.

Mentre attendevano, una donna si avvicinò al loro tavolo strascicando i piedi. Era molto pallida e dava l’impressione di reggersi sulle gambe in equilibrio precario. Con un filo di voce, domandò se, per favore, potevano lasciarle qualcosa da mangiare. D’Amblanc si rese conto alla prima occhiata che la donna aveva bisogno di un medico, oltre che di cibo. Le indicò una sedia vuota, la pregò di mettersi comoda, ma fu interrotto dalle grida del cameriere.

– Fila via, non disturbare i clienti, – sbraitava l’uomo, senza tener conto che proprio il cliente lo stava invitando a non allontanare la poveraccia. Quella però già scappava, come un topo sorpreso in dispensa, e quando D’Amblanc le andò dietro e la toccò sulla spalla, ebbe in cambio una sbracciata nel petto e un lasciatemi stare.

Tornò al tavolo e di nuovo sedette accanto a Jean, che già esibiva un bel paio di baffi color cioccolata.

– Io non credo che il cavaliere verrebbe in questo posto, – disse scuotendo la testa.

D’Amblanc gliene domandò il motivo.

– Perché questa gente... – Jean cercò le parole. – Secondo me finge di essere nobile, ma si vede bene che non lo è. Guardate quegli uomini, per esempio –. Il dottore si voltò. Un gruppo di muschiatini si era radunato intorno alla mendicante che li aveva appena visitati. – Vedete come ridono, parlano ad alta voce. I loro modi sono volgari. Per questo trattano male una donna del volgo. Perché sanno di essere peggiori di lei.

I muschiatini erano quattro, accompagnati da un paio di mervegliose, che però si tenevano due passi indietro. Avevano circondato la mendicante e battevano i bastoni sul pavimento del porticato. D’Amblanc non capiva quel che stavano gridando, ma la scena era eloquente. Si alzò e si diresse verso il drappello.

Mentre camminava, le voci gli arrivarono più chiare.

– Te l’abbiamo già detto che qua non ci devi veni’e.

– La tua vista ci schifa, puah.

– Se ti dài una lavata, maga’i t’ovi il modo di guadagnaci la pagnotta.

– Ma così conciata, ti si può tocca’e giusto col bastone.

D’Amblanc vide alzarsi uno dei randelli nodosi che quella feccia chiamava «potere esecutivo». La donna gridò e si riparò la testa con le braccia. Il bastone si abbassò senza colpirla.

– Pau’a, eh? – sghignazzò il muschiatino.

Buh! – gli fece eco un altro.

– Smettetela, – intimò D’Amblanc. Gli uomini gli riservarono uno sguardo distratto. – Sono un medico, fatemi passare. Quella donna ha bisogno di cure.

– Ma ce’to, dotto’e. Infatti noi ci stiamo p’endendo cu’a di lei. Non vedete? È lei che non vuole.

La donna aveva estratto tre ferri da calza e li stringeva fra le dita come artigli. Graffiava l’aria intorno. Ringhiava in preda a una crisi nervosa.

II muschiatino capobanda le sputò addosso.

La donna scattò, ma fu sufficiente uno spintone per buttarla col sedere per terra.

– Pa’ola mia, dotto’e, – disse quello, – se a te piace il gene’e, goditelo tu questo fio’ellino. Noi non ci spo’chiamo le mani con una mentecatta puzzolente.

E così dicendo alzò una mano e indicò agli altri che era tempo di andare.

Il gruppo obbedì scancherando, e l’ultimo della schiera, abbracciato alla sua mervegliosa, mollò un calcio nella schiena della poveretta.

D’Amblanc la vide accasciarsi.

Si precipitò su di lei e le sollevò la testa.

Aveva perso i sensi.

I ferri da calza rotolarono via con un tintinnio metallico.

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