Eh... Adesso bisogna contarti la parte smerda. Tocca farlo. Era smerda pure l’altra, ma era uno smerdo che noi si poteva dire qualcosa, perché in fondo era in nome nostro che s’era fatto quel baraondo, la guerra, il Terrore... Era spinti dalla paura che mettevamo nella cute noialtri, il Sovrano Popolo Sanculotto, che si decideva questo e codesto e ci si mandava l’un l’altri al patibolo e perde chi ci arriva per primo.
– Anche arrivarci per ultimo, mica è stata ’sta grande vittoria...
– L’ultimo ha visto di più, e almeno se l’è goduta.
– L’ultimo chiude la porta, e Robespierre l’ha chiusa in faccia a noi, che come sempre l’abbiamo presa nel barsacco.
– Sbrisga! «Come sempre» un bel zullo! Perché sarà anche durata poco, ma durante quelpoco li abbiam fatti tremare, gli aristocchi, i gianfotti, i pierculi...
– Si, ma guarda come siam ridotti adesso...
– Mica credere, mettiamo ancora scago... Mettiamo scago perché ci si è provato una volta, e niente esclude che ci si provi ancora.
– Sarà...
– Scommettiamo?
– E che scommetto? I buchi che ho nella gabbana?
Prima era comunque un bello smazzo, si faceva la fame e tutto, ma i giochi erano aperti, mentre dopo... Dopo è andata ben peggio, e peggio ancora. Indiragionperculo, preparati ché arriva la storia del Grande Smerdo, quello che noi non si poteva più dire niente, perché niente era più in nome nostro, anzi, era proprio in nome di qualchedunaltro, cioè di quelli che non eravamo riusciti ad accorciare. Ci si incazza ancora, a pensarci oggi... Comeché la vuoi mettere e comeché l’abbiano messa e la metteranno, alla fine la verità è una e una sola: ne avevamo tagliate troppo poche.
Già, perché ancertopunto sono sbucati fuori dei gecchi che già prima qualcheduno li aveva occhiati, tipo a Palazzo Egualità o dove si faceva a pacche per soldi, ma poi li si è visti dilagare, diventare sempre di più, e chi erano lo abbiamo nasato: mentecattume, la schiuma lercia dell’onda, l’onda che ci aveva portati fin lì. Mentre noialtri la cavalcavamo, loro stavano sotto, poi sotto ci siamo finiti noi e...
– Loro chi?
Erano giovini aspiranti pierculi ché finché c’era la rivoluzione dovevano tener la cresta bassa per evitare potature, zac!
Erano giancaccole che renitevano la leva e zompavano da una città all’altra per non essere arruolati, pum! Pum!
Erano garzi della bottega di papà che aspettavano di ereditare l’accaparro, sgraffign!
Erano sfaccendati che, in anni come quelli, si permettevano il lusso di annoiarsi, sbadigl!
– L’ho sempre detto, io, che la noia è controrivoluzionaria.
– Non la noia: gli annoiati. Garzo, diffida di chiunque si lamenti della noia che patisce. Chi ti dice che si annoia è uno stronzo, sempre, uno che ti vuol mettere il gioppino nel retro.
Questiquà ce l’avevano a morte coi sanculotti, e coi giacobini, e con la qualunque, purché fosse a sinistra dei cazzi loro. Aspettavano solo il momento di farcela pagare, per aver osato salire sul palco e bloccare la recita, e intanto vivacchiavano nel foyer, sognavano chissà cosa, vivevano di borsa nera.
Pensa che non dicevano la erre, per non dover dire l’iniziale della rivoluzione. Pa’lavano così, dicevano cose tipo: «Inc’edibile!» o «Pa’ola mia, oggi è p’op’io una bella gio’nata».
Quand’è a’ivato Te’mido’o hanno avuto il via libe’a. Li ha a’uolati la ’eazione pe’ bastona’e noialt’i. È cominciata la ’ep’essione...
– Svitoddio, la vuoi finire? Mi fai tornare in mente quelli là, finisce che ti spacco il muso...
Li dovevi vedere, girare per le strade di Parigi con quei ghigni sulla faccia, i randelli e gli abiti sbrilluccicosi... Palandrane multicolori piene di spille e ammennicoli, orecchini, capelli tenuti su con la chiara dell’uovo, per dire che loro potevano pure sprecarle, le uova fresche, mentre nei foborghi il popolino si torceva dalla fame.
– Ma chi li manteneva?
C’era chi aveva uno sgobbo in ufficio, chi aveva i soldi di papà e chi campava col mercato nero. Gli altri erano pagati dai gianfotti termidoriani per fare gli sgherri, e infierire sulla rivoluzione che tirava gli ultimi. Dovevi vederli, coi collettoni verdi, i culotti d’antan, le stivalazze scintillanti, e certi inutili occhiali pinzanaso colorati di rosso, di viola, di blu... Facevano male agli occhi, dal gran che risplendevano. Per questo li chiamavano la Gioventù Dorata. Li comandava gente che fino a pochi giorni prima era «terrorista», ecco la parola, è venuta fuori proprio in quei giorni, si dava la caccia al «terrorista». «Terrorista» era chiunque rammentasse al prossimo che anche i ricchi cagano.
Questo fu la Gioventù... Termidorata: una sorta di «sanculotteria dei ricchi», il popolo di strada dei reazionari. C’era chi aveva nostalgia del Capeto, ma non era necessario: importanza era odiare i poveri. Per essere chiari: mica gli dispiaceva che ci fossero i poveri, perché così potevano percularli.
– Se non c’è un povero, a chi si sente superiore il ricco o aspirante tale?
– Però il povero deve stare al suo posto, e soprattutto esser privo di favella, o quasi. Deve dire solo «Sissignore», riga.
La più grossa differenza tra noialtri e lorolà era che i sanculotti avevano alzato la testa e non si erano fatti metter sotto facile, nemmeno da Robespierre, mentre i giovini dorati prendevano ordini da gentuzza sminchia come Fréron, uno che si diceva avesse un marone solo, che fino a poco prima era «terrorista» pure lui e adesso ci faceva la guerra, che l’asino se lo fotta in Guyana...
– Gli ex terroristi che ce l’avevano coi terroristi. Quelli erano i peggiori.
Com’è come non è, han cominciato subito a darci giù che ci davan giù. Protetti dalle guardie è facile, puoi fare quel zullo che vuoi: braccare la gente cento contro uno, pestare le donne e i vecchi, ammazzare di pacche i mendicanti, dar fuoco agli ultimi club giacobini rimasti...
Tanto, eravam tutti te’o’isti.