Una piccola azione teppistica reca in sé i germi della grandezza. Uno di quei casi in cui la forza non dipende dalla forza e la grandezza prescinde dalla statura degli interpreti, o meglio, degli esecutori.
La Forza, la Grandezza, la Bellezza sono su un piano anteriore, originario. È la visione del grande a conferire aura, a ordinare corpi in fondo grotteschi in configurazioni efficaci, ad attribuire a forme di vita non compiutamente umane una missione.
Il cavaliere d’Yvers osservava il gruppo, l’embrione in opera della sua armata di sonnambuli, e respirava l’odore delle strade. Si sentiva bene. Effettivamente, nel suo corpo e nella sua mente si era prodotto qualcosa di simile a una guarigione. Udiva i passi cadenzare con precisione il tempo che separa dalla morte, i polmoni ritmare con la forza di mantici il tempo dei respiri, e i muschiatini, molto avanti a lui, gli parevano ombre cinesi incaricate di avviare, sul fondale di quelle vie, la trama che avrebbe portato alla risoluzione, alla guarigione collettiva. Un organismo è sano se la colonia di organi che lo compone rispetta funzioni e gerarchie: che l’apparato escretore cachi, le gambe camminino, le braccia lavorino e il capo comandi.
Al suo fianco, Malaprez. Davanti a lui, andatura ballonzolante, il senzanaso La Corneille.
– Rallentiamo il passo, signore, – disse, volgendosi, il latore di quel viso mutilato. – Lasciamo che l’armata ci preceda di un bel po’. Dobbiamo sembrare passanti.
Il cavaliere d’Yvers, di umore olimpico, sorrise a sé stesso mentre ascoltava il servo ripetere a modo suo i concetti e le istruzioni che aveva ascoltato dal padrone solo qualche ora prima. Si senti come quando passeggiava coi cani, nella tenuta paterna, insieme a stupidi e fedeli molossi e bracchi bavosi e abitudinari. Rallentò e vide i sonnambuli, pronti all’azione, distanziarsi e svoltare l’angolo. Malaprez, per chissà quale ragione e seguendo chissà quali pensieri, sbuffò. La Corneille compì una specie di veronica e si accodò, come a nascondersi dietro le spalle del capo.
Voltarono l’angolo. Una cinquantina di passi davanti a loro, di fronte all’osteria, i sonnambuli si erano schierati, e invitavano a uscire con vocalizzi sguaiati. E i prossimi avversari uscirono, interdetti, dalla porta di quella fabbrica di ebbrezza e idee fallaci. Alle prime urla di risposta e ai primi insulti, si vide gente dirigersi a passo veloce verso il gruppo che già veniva alle mani. I muschiatini, a una sola voce, intonarono il nuovo inno antigiacobino, Il risveglio del popolo.
Il popolo. Astrazione assurda, eppure forza reale, primigenia. Yvers sorrise ancora. Dormienti che intonavano canzoni di risveglio e di riscossa, di fronte ad altri che avevano fatto del popolo un dio, un idolo. Pensò che il prossimo soggetto a comparire sulla scena, quello che avrebbe ristabilito un ordine risonante con l’ordine del mondo, si sarebbe forse presentato come un campione della generalità delle persone, o meglio come l’incarnazione delle assurde superstizioni e circonvoluzioni dei più. Per perseguire l’ordine, si sarebbe presentato come campione della medietà. Un condottiero capace di passare per uno della truppa. Un demarca.
Era un concetto nuovo, che meritava una riflessione ponderata. Intanto, là davanti, la mischia si accendeva. I muschiatini, insensibili al dolore, mulinavano braccia e bastoni, gambe e ginocchia e gomiti e testate. Gli avversari, giacobini abituati allo scontro, si avventavano con rabbia ma con scarsi risultati. La mesmerizzazione conferiva non solo insensibilità, ma anche l’abilità automatica di intuire colpi e azioni dell’avversario. Per strada c’era già mezzo foborgo. La danza somigliava a una buffa rissa tra burattini e, subito dopo, a uno di quegli scontri che costruiscono l’epica dei poveri, quella dei torti da ripagare, delle bastonate date e ricevute, dei soprannomi pronunciati col rispetto e la venerazione che un tempo altri popoli avevano tributato a ettori e achilli, o magari a qualche atleta o gladiatore.
Ormai gli avversari dell’armata erano troppi. Benché la truppa si portasse bene, il divario numerico fra arti e teste degli uni e degli altri cresceva sempre più. Alcuni, accorrendo verso l’epicentro degli scontri, chiesero a Yvers e ai suoi perché non s’unissero alla pugna.
– Sono convalescente, – rispose il capo. – A stento mi reggo in piedi. E i miei compari, – indicò Malaprez e La Corneille, – non hanno tutti i venerdì.
Gli sguardi si fissarono su Malaprez e La Corneille. Senza fare motto, il gruppo di sanculotti si allontanò in fretta, verso l’osteria.
Dall’altra parte della strada, Yvers notò un gruppetto di gendarmi. Parlottavano, indecisi, e gesticolavano. Guardandosi attorno, lasciarono la scena.
Yvers lo sapeva, erano quelle le istruzioni, quando la Gioventù Dorata – o chi per essa – si manifestava per vessare giacobini e plebaglia. I gendarmi avevano l’ordine di lasciar passare, lasciar accadere. L’apparente disordine di una sera contribuiva a edificare il nuovo ordine, non vi era tutore dell’ordine che ne fosse ignaro. Né vi era chi ignorasse che a prezzolare e comandare la Gioventù Dorata erano proprio i nuovi capi termidoriani, in primis Louis-Marie-Stanislas Fréron. Colui che, da infuocato montagnardo, era divenuto il più feroce persecutore dei vecchi robespierriani.
Situazione ideale, per l’Armata dei Sonnambuli.
– Ora, – intimò Yvers.
Il terzetto ripercorse i propri passi e svoltò l’angolo, in modo da uscire dalla visuale. La Corneille estrasse dalla tasca un fischietto da marinaio trovato da un rigattiere e soffiò forte.
L’armata, fra insulti, lanci di pietre e gli ultimi focolai di rissa, si ritirò. I difensori rinunciarono all’inseguimento, anche perché tra le file dei sonnambuli alcuni avevano spianato pistole e persino un fucile da caccia.
– Perché ritirarsi, mio signore? – La Corneille si era tolto il cappello e lo torceva tra le mani. Sembrava un contadino di fronte al prete.
Il cavaliere d’Yvers sogghignò.
– Grande, grande vittoria. Domani tutta Parigi parlerà degli scontri. Diranno che una schiera di coraggiosi è penetrata in uno dei covi della marmaglia e ha tenuto testa a un numero soverchiante di aggressori. Dirà che i sonnambuli se ne sono andati tutti con le loro gambe, a testa alta e intonando inni. Provvedi a che i feriti siano curati, e distribuisci il denaro. Ora è la nostra forma di terrore che deve battere le strade.
La Corneille, gli occhi lucenti di gioia servile, annuí col capo. Malaprez, per motivi indiscernibili, sbuffò come un cavallo da tiro. Ora bisognava uscire dal quartiere, ma il più era fatto. L’attacco dei sonnambuli a San Marcello era ormai storia.