6.

– Sono il dottor D’Amblanc. E questo è il mio assistente. Devo controllare le condizioni di salute del delfino.

Il portiere fece segno ai due di avvicinarsi. Il chiarore di una lanterna illuminò i volti.

– D’Amblanc? Mi ricordo di voi. Siete stato qui... Dio, sembrano passati secoli. Avete il lasciapassare del comune?

D’Amblanc porse la carta civica e il vecchio documento che portava sempre con sé, il lasciapassare firmato da Chauvelin ai tempi dell’Alvernia.

– Questa è la mia nomina ad agente del comitato di sicurezza generale, – disse in tono risoluto. – Il comitato ha validi motivi di ritenere che stanotte l’incolumità del delfino sia minacciata. Devo assicurarmi che stia bene.

Il portiere prelevò il documento con aria annoiata.

– Con questo non posso farvi entrare, cittadino. Serve la carta del comune, e poi il consiglio avrebbe dovuto avvertirmi del vostro arrivo.

D’Amblanc si avvicinò.

– L’allarme è giunto poco fa. Non c’è stato tempo di avvisarvi.

– Dovevate almeno farvi scrivere due righe con la data di oggi, mi spiace...

D’Amblanc trasse un profondo respiro dominando a stento la rabbia. Fu sul punto di sbottare, ma Léo glielo impedi, toccandogli il braccio e facendosi avanti.

– Come vi chiamate, cittadino? – chiese al portiere.

– Io? Émmanuel Darque.

– Émmanuel Darque, se questa notte accadrà qualcosa al delfino, sapete chi riterranno responsabile? Colui che non ci ha fatti entrare. Cioè voi.

Il portiere lo guardò storto.

– Io faccio soltanto il mio dovere di buon patriota... Non ci provate a mettermi in mezzo! Sto a questo posto da tanti anni, dai tempi del principe di Conti.

Léo gli mostrò un sogghigno malizioso, degno di un grande attore.

– Capisco... Quindi secondo voi quale testa farebbero cadere? Quella di un agente del comitato di sicurezza o quella di un vecchio servitore dell’antico regime?

Per qualche istante i dubbi si diedero battaglia sulla faccia dell’uomo, la cui espressione mutò come il volgere rapido delle stagioni. Alla fine, sembrò avere un’illuminazione.

– Sentite: io adesso tiro il campanello che squilla dritto dritto nella Torre. Cosi arriva uno dei commissari e la facciamo prendere a lui, la decisione.

Detto questo si attaccò a una cordicella e aspettò, mentre un nevischio sottile cominciava a scendere dal cielo.

L’attesa si fece lunga. Darque suonò ancora e ancora, senza successo.

– Vedete? – lo incalzò D’Amblanc. – È come vi dicevo. Sta succedendo qualcosa, là dentro.

Il portiere, allora, si attaccò a un’altra cordicella.

– Ora chiamo due guardie, – disse, – e vi faccio scortare alla Torre. Però entrate voi soltanto, dottor D’Amblanc. Il vostro assistente non ha nessun lasciapassare.

D’Amblanc fece per protestare, ma Léo glielo impedì ancora.

– Uno è meglio di nessuno, – sentenziò. Poi a bassa voce, tra sé, aggiunse: – Stasera è destino che io mi geli le chiappe.

Il clangore del cancello risuonò nella notte e Léo fece segno a D’Amblanc di entrare.

Il dottore recuperò i documenti e si affrettò verso le guardie che gli venivano incontro.

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