9.

Yvers procedette a braccia allargate per non sbattere contro le pareti, fino al cancello.

Si fece riconoscere dalla sentinella.

– Chi siete? – chiese quello.

– Il commissario Pouland. Richard mi ha concesso di uscire da qui per non dare nell’occhio. Affari privati. Gli ho promesso di essere di ritorno prima dell’alba con un paio di fiaschi di vino per tutti.

– Uhm. Allora uno lo portate a lui e l’altro lo lasciate qui. Altrimenti sbrisga.

– Affare fatto, – tagliò corto Yvers.

Il cancello venne aperto e Yvers intravide il traguardo.

Ancora pochi passi e sarebbe stato salvo.

Avverti i passi di corsa nel viottolo alle proprie spalle.

– Fermate quell’uomo! – senti gridare. – Non fatelo uscire!

La sentinella non ebbe il tempo di rendersi conto di nulla. Ricevette un colpo al setto nasale con la parte bassa del palmo della mano aperta, che glielo conficcò nel cervello. Crollò come un sacco vuoto. Yvers uscí rapido.

Indugiò appena un istante. Quanto bastò per confermare la sua sensazione. L’inseguitore era uno soltanto. Lo stesso di quel pomeriggio ai giacobini, ne era certo. Il cavaliere ebbe la netta consapevolezza di trovarsi di fronte all’avversario di tutta la vita. Davanti a lui, ansimante, stava il suo doppio. L’uomo che era riuscito ad arrivargli più vicino di chiunque altro. Nell’oscurità, con la neve che gli planava in faccia, non riusciva a distinguerne i tratti, ma per qualche ragione lo immaginò con il volto di Pinel. Di Marat. Di Robespierre.

Non trattenne un sorriso. Quindi fischiò e si mosse verso Malaprez, che già attraversava la strada per andargli incontro.

– Uccidilo, – gli disse. – Ci ritroviamo al ponte.

Il gigante biondo marciò spedito verso D’Amblanc, che sbucava dall’uscita di servizio senza aspettarsi l’attacco. Nello sguardo di Malaprez non c’era niente. Nient’altro che l’ordine impartito e che avrebbe eseguito senza scrupolo alcuno.

Sguainò la lama nascosta nel bastone del cavaliere, ma prima che potesse calare il fendente, uno sparo spezzò in due la notte. Un suono secco, come uno schiocco di frusta o un petardo.

Malaprez vacillò, portandosi una mano alla base del collo, da cui fuoriusciva uno zampillo di sangue. Léo gli stava dietro le spalle, a un solo passo di distanza, la pistola ancora spianata e fumante.

– Svelto, dottore, è andato di là! – disse indicando la via più a destra nel bivio che si apriva di fronte a loro.

Malaprez tornò a sollevare la lama contro D’Amblanc, che schivò il primo affondo, per un soffio. Prima che l’energumeno potesse portarne un secondo, Léo gli fu addosso. Si aggrappò alla sua schiena, si arrampicò su di lui come una scimmia e prese a colpirlo alla testa con il calcio della pistola. D’Amblanc ne approfittò per smarcarsi e correre dietro a Yvers.

Léo si senti abbrancare da quelle mani enormi e scaraventare a terra, sopra il foglio ancora bianco che copriva il lastrico della strada. Malaprez gli stava davanti. Una scia di sangue gli copriva la spalla e metà del petto. Anche i capelli erano impiastricciati. Léo pensò che sarebbe morto così, ucciso da quell’essere mostruoso, schiacciato come un pidocchio. Ingloriosa fine per un uomo del suo talento, proprio dopo avere fatto la migliore rentrée della sua carriera.

Malaprez oscillò ancora, infine crollò giù lungo disteso.

La neve si macchiò di sangue e di fango.

Acsé, – disse lui rimettendosi in piedi.

Dal cancello del Tempio sbucava fuori un drappello di soldati della guarnigione.

Qué a i armittän l èsen e i marón, – disse Léo a sé stesso, mettendosi a scappare. Mentre si allontanava, pensò che non ne poteva più. Se fosse uscito vivo da quella nottata, non voleva più correre per un bel pezzo. Boiaddio.

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